giovedì 22 settembre 2011

I poteri “forti” sfiduciano B.



CORRIERE DELLA SERA E SOLE 24 ORE NE CHIEDONO LE DIMISSIONI

di Stefano Feltri

Quando le agenzie battono la notizia che Silvio Berlusconi sta salendo al Quirinale per qualche minuto sembra che l’auspicio di Sole 24 Ore e Corriere della Sera sia stato accolto. Invece niente dimissioni, si è parlato del prossimo governatore della Banca d’Italia (il favorito sarebbe Fabrizio Saccomanni). Ma il messaggio, a Palazzo Chigi e al Quirinale, è arrivato chiaro: i cosiddetti “poteri forti”, o “poteri anglofoni” come li chiamano negli ambienti berlusconiani, ne hanno abbastanza. Investitori inclusi, che ieri hanno venduto Mediaset scommettendo sul tracollo: -5,32 per cento, solo 2,35 euro per azione.

APPROFITTANDO della notizia del declassamento del debito italiano, il Corriere e il Sole 24 Ore (un pochino, a modo suo, anche l’Avvenire) chiedono a Silvio Berlusconi di farla finita. Giorgio Napolitano, al Colle, incontra il premier sapendo che la finanza, l’industria e perfino la Chiesa hanno deciso che un’epoca è finita.

“Signor Presidente, l’Italia prima di tutto”, è il fondo del solitamente prudente direttore del Sole Roberto Napoletano. La richiesta che la Confindustria, tramite il suo giornale, avanza è la seguente: “Il presidente del Consiglio dimostri di amare davvero l’Italia e di avere, di conseguenza, la forza e la volontà di farsi da parte se è costretto (come tutto rende evidente) a prendere atto che non riesce a fare quello che serve”. Confindustria è una lobby. E come tutte le lobby vuole vedere risultati concreti, che non arrivano. Anzi: nelle varie versioni della manovra è salito il conto presentato alle aziende, a cominciare dalla Robin Hood Tax sul settore dell’energia, che ha ricadute su tutte le altre. E tassare i consumatori non è il modo migliore per far ripartire la domanda interna.

La pressione degli industriali più irritati sulla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia è cresciuta, soprattutto da Veneto e Lombardia. E così negli ultimi giorni, dopo mesi di punture di spillo, la Marcegaglia ha cambiato registro: “Riforme in settimana o governo a casa”. E ieri il direttore del Sole, Napoletano, ha formulato quella richiesta di dimissioni immediate che la Marcegaglia ancora non ha esplicitato. La vera novità è il Corriere della Sera che mai aveva schierato una delle sue firme più compassate come Sergio Romano per chiedere “l’uscita di scena del premier”, come recita l’occhiello dell’editoriale di ieri, “Una possibile soluzione”. Fino a non molto tempo fa il Corriere di Ferruccio de Bortoli si limitava ad ammiccare a governi tecnici guidati da un altro editorialista, il presidente della Bocconi Mario Monti, smorzando gli scandali e le inchieste dietro titoli come “Premier al telefono, un caso” (memorabile apertura del 9 settembre, quando si parlava dell’invito a restare all’estero di Berlusconi a Valter Lavitola). Ora le cose sono cambiate: la crisi di credibilità dell’Italia, dovuta soprattutto al Cavaliere e alla gestione dell’emergenza da parte del governo, inizia a pesare parecchio sugli azionisti del Corriere. Ieri la banca Intesa San Paolo ha subito il taglio del rating da parte di Standard & Poor’s, inevitabile dopo il declassamento dei Btp di cui è imbottita. E subito il capo azienda Corrado Passera ha detto di essere d’accordo con la Marcegaglia: “Il governo è legittimato” solo se adotta subito riforme per la crescita . Altrimenti grazie e arrivederci.

La Fiat, altro azionista di peso di via Solferino, ha già fatto sapere come la pensa per bocca di Sergio Marchionne, il 3 agosto: “Sto con Giorgio Napolitano. È necessario avere una leadership più forte che ridia credibilità al Paese”.

POI C’È un ragionamento politico, al Corriere, che è al centro dell’editoriale di Sergio Romano: il blocco sociale (lombardo, conservatore, moderato) che si riconosce nel giornale di via Solferino non può permettersi che con Berlusconi affondi anche il Pdl e il bipolarismo. “Non è interesse di nessuno che una grande forza politica, votata in tre circostanze dalla maggioranza degli elettori, si dissolva”, scrive l’ex ambasciatore. Meglio quindi l’uscita morbida alla José Zapatero: Berlusconi dovrebbe convocare le elezioni, annunciare che non si ricandiderà dando tempo al Pdl di attrezzarsi per sopravvivere alla sua dipartita.

Il direttore di Avvenire Marco Tarquinio è molto più cauto nel suo articolo “Disinteresse e coraggio”. Dietro formule come “è il momento delle convergenze possibili” si capisce che anche il giornale di Vescovi ne ha abbastanza. Ma una certa prudenza è d’obbligo, visto che la Chiesa è riuscita finora a dribblare i sacrifici, conservando i suoi privilegi fiscali (tipo l’assenza di Ici sugli immobili commerciali).

Dal Colle Napolitano osserva. Berlusconi gli ha spiegato che se andrà solo se sfiduciato in Parlamento. Ma se la maggioranza alla Camera ancora c’è, quella nel Paese – o almeno tra i “poteri anglofoni” – si è volatilizzata.

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