di Andrea Cottone
Plurime omissioni” finalizzate “a salvaguardare lo stato di latitanza di Bernardo Provenzano” hanno “contrassegnato l'attività istituzionale dei carabinieri del Ros” nel biennio '95-'96.
A quasi 16 anni di distanza arriva un raggio di luce su una delle vicende più oscure della recente storia italiana: la mancata cattura di Provenzano datata ottobre 1995, quando un infiltrato in Cosa nostra, Luigi Ilardo, aveva portato i carabinieri fino al casolare di Mezzojuso, nel Palermitano, dove si nascondeva l'allora primula rossa. Per questi fatti l'ex generale e l'ex colonnello del Ros, Mario Mori e Mauro Obinu, sono sotto processo a Palermo per favoreggiamento aggravato dall'agevolazione mafiosa.
E mentre Mori ha annunciato di rinunciare in quel processo all'eventuale prescrizione, il gip di Palermo, Maria Pino, emette una sentenza che, rigettando il ricorso contro l'archiviazione della presunta calunnia di Michele Riccio - il grande accusatore del mancato blitz – entra nel merito.
E parla di “sommersione di dati importanti” nelle indagini su Provenzano; di atti d'indagine “assolutamente incongrui” rispetto all'obiettivo; di una condotta che non si deve “ascrivere a difficoltà tecniche od organizzative né ad errori di valutazione” da parte di Mori e Obinu ma “a una deliberata strategia di inerzia”. A ciò il giudice aggiunge anche l'interruzione dei flussi di comunicazione fra investigatori e Procura di Palermo coincidente col passaggio di Michele Riccio dalla Dia al Ros dei carabinieri.
“Alla continuità e compiutezza di informazione garantite dalla Dia – scrive il gip - si è contrapposto il silenzio lungamente serbato dal Ros”.
Un “silenzio” che “non può ritenersi casuale, né frutto di inefficienza o di carenze organizzative”, un cambiamento di linea “incongruo rispetto a un evento lungamente ricercato”.
Il pm titolare dell'indagine, Nino Di Matteo, ha già annunciato che la sentenza sarà depositata agli atti del processo a Mori e Obinu.
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