venerdì 30 settembre 2011

La carta sbiadita del federalismo


E il federalismo? Che fine ha fatto la promessa che ha illuminato l'alba di questa legislatura? Risposta: giace sepolta sotto un cumulo di detriti normativi. Di proroghe, deroghe, cavilli. Di commi che si contraddicono a vicenda. Di decreti che annunciano il decentramento fiscale, mentre le manovre economiche centralizzano la politica fiscale, togliendo ossigeno alle Regioni non meno che ai Comuni.

Sicché il federalismo, che avrebbe dovuto rafforzare la coesione nazionale (federare significa unire), ha invece creato nuove spaccature: degli enti locali contro lo Stato, delle Regioni ordinarie contro quelle a statuto speciale, del Nord contro il Sud. Mentre il federalismo fiscale, che avrebbe dovuto alleggerire il carico di tasse che ci portiamo sul groppone (se il sindaco ci va giù troppo pesante, la volta dopo non verrà rieletto), nel frattempo ha generato l'esito contrario. Secondo uno studio della Cgia di Mestre, dal 1995 al 2010 (gli anni della Lega di governo) le tasse nazionali sono aumentate del 6,8%, quelle locali del 138%.

Eppure l'idea federalista è dirompente, anche se è poi finita sotto un cono d'ombra rispetto alla crisi economica o alle vicende giudiziarie del presidente Berlusconi. Un'idea capace di rigenerare il nostro tessuto connettivo, e infatti in molti casi i provvedimenti del governo hanno ottenuto l'assenso delle opposizioni. Ma il suo nemico è in primo luogo un nostro antico vizio: troppo diritto. La legge delega n. 42 del 2009 ha fin qui allevato 8 decreti delegati. A loro volta, questi decreti s'affidano a ulteriori atti normativi: ne serviranno una ventina soltanto per il fisco dei Comuni, 67 per mettere a regime i primi 5 decreti varati dal governo. Ma non è finita, perché c'è sempre l'eventualità di altri decreti integrativi e correttivi. E soprattutto perché a giugno il termine biennale della delega è stato prorogato: di 6 mesi o anche di un anno, a seconda dei casi.
E i contenuti? Talvolta in odore d'incostituzionalità, come la rimozione dei governatori che non rispettino i piani di rientro dal deficit sanitario. Talvolta assemblati in fretta e furia con uno strappo procedurale (da qui l'unico decreto legislativo respinto da Napolitano durante il suo settennato). Talvolta lacunosi (manca per esempio un riferimento chiaro ai livelli essenziali delle prestazioni, manca più in generale un coordinamento fra i decreti). Talvolta incongruenti (ai Comuni va tutto il «fisco del mattone», ma non il gettito dell'Iva sulle nuove costruzioni). E in ogni caso sempre sperimentali, sempre rinviati alle calende greche (il nuovo tributo locale, l'Imu, decollerà nel 2014, ammesso che il prossimo governo lo mantenga in vigore).

Non è una novità: le norme italiane o sono retroattive o veleggiano in un futuro imperscrutabile. Abitano in un altrove, come i politici che vi danno fiato. Ma qui e adesso, la politica ha segato le risorse degli enti territoriali per il 2012 di 4 miliardi, che s'aggiungono agli 8,5 miliardi già defalcati. Significa che la Lombardia dovrà tagliare un treno su due, ha detto Formigoni; o altrimenti alzare il prezzo del biglietto, che però negli ultimi mesi è cresciuto del 25%. Significa che Regioni e Comuni dovranno chiedere più quattrini, più ticket, più tasse ai loro cittadini; ma senza restituire più servizi. In breve, significa che gli enti locali non hanno mai avuto così poca autonomia come negli anni ruggenti del federalismo fiscale.

michele.ainis@uniroma3.it

Michele Ainis
27 settembre 2011

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