di Marco Travaglio
L’altra sera Giuliano Ferrara ha riattaccato i suoi comizietti serali su Rai1 con una lode sperticata al suo padrone: “eroe popolare”, “anomalia felice della Storia”, “uomo umile e sorridente”. Ma anche bello, elegante, slanciato.
E fin qui nessuna novità: la voluttà con cui questo fenomeno da baraccone, scambiato per “molto intelligente” a destra e a sinistra, slinguazza chiunque comandi e gli passi uno stipendio è ormai leggenda. Semmai ci sarebbe da obiettare sul titolo “Radio Londra”, che evoca un che di scomodo, pericoloso, catacombale, come gli appelli dall'esilio del generale De Gaulle dopo l'occupazione nazista della Francia. Invece è la voce del regime che parla dal primo canale della Rai di regime sciogliendo inni al capo del regime.
Ma neppure questa è una novità: sono trent'anni che noi cittadini stipendiamo questo giullare di tutte le corti: prima come consigliere comunale Pci, poi come europarlamentare Psi, poi come trombettiere garofaniero su Rai2, poi come ministro e portavoce del primo governo Banana, poi come direttore del Foglio clandestino coi sussidi della Presidenza del Consiglio, ora come primo trombone del Cavalier Patonza su Rai1.
L'altra sera il noto campione d'indipendenza raccontava agli italiani sfortunatamente capitati alla visione e all'ascolto che del suo padrone non possiamo fare a meno perchè “ha introdotto in Italia alcune cose importanti”:
1) “la possibilità di scegliere chi va a Palazzo Chigi” (forse non sa che il premier lo sceglie il capo dello Stato, non gli elettori, visto che siamo e restiamo una Repubblica parlamentare);
2) “un nuovo modo di guardare l'economia” (poche ore dopo ha provveduto Standard & Poor's a guardare la nostra economia in un nuovo modo: declassandola);
3) “un nuovo linguaggio della politica”. E almeno questo è vero. Un tempo, per quanto malavitosi, i politici italiani si sforzavano di parlare una lingua diversa da quella della malavita. Ora i linguaggi coincidono, e Ferrara modestamente è all'avanguardia. Commentando l'indagine di “questi ragazzotti in cerca di protagonismo” (i pm di Napoli) sul ricatto a B. di Lavitola & Tarantini ha dichiarato: “Che c'entra col ricatto il fatto che degli amici sono un po’ insistenti e alla fine ti spillano dei quattrini? Io li proteggo, embè? È un ricatto questo? No, è protezione di un amico. Io sono molto ricco e generoso, gli ho dato dei soldi. È reato questo?”.
Provate ora a rileggere queste parole con un lieve accento siciliano, meglio se con inflessione corleonese: “Minchia, signor commerciante, scusasse se sono tanticchia insistente, ma vossia è motto ricco, c'ha i piccioli pure int'u culu e abbiamo saputo puro che c'ha delle bedde criaturi che vanno alla scola in cima alla strata, ma bisogna starci attenti a ‘sti picciriddi, quacchiduno potrebbe facci del male, e noi li vogliamo sempre in salute, infatti siamo qui a offrirci la protezione, che costa puro poco... E me lo chiama pizzu chistu? Ma quali pizzu, quali riato! Chista protezione è! Generosità è! Ci siamo capiti, ah? Che facciamo, ripassamo domani?”.
Basta tradurre in corleonese le ultime esternazioni del premier e dei suoi turiferari per coglierne il senso profondo.
“Valter, rimani all'estero”. “Te l'avevo detto che ci intercettavano”. “Non vado a testimoniare per non darla vinta ai pm”. “I magistrati hanno ridotto in miseria Tarantini”. “L'indagine deve passare a Roma”. E anche la chicca di Ferrara sui pm “ragazzotti”.
Viene in mente il giudice Rosario Livatino che, appena osò indagare su mafia, politica e massoneria nell'Agrigentino, fu subito insultato dal presidente Cossiga: “Possiamo continuare con questo tabù, che ogni ragazzino che ha vinto il concorso ritiene di dover esercitare l’azione penale a diritto e a rovescio, come gli pare e gli piace, senza rispondere a nessuno?”.
La mafia risolse il problema ammazzando il giudice ragazzino il 21 settembre 1990. Trentun anni a oggi.
Ferrara, commosso, l'ha voluto commemorare da par suo.
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