martedì 13 settembre 2011

Legittime le dieci domande a Berlusconi "Erano diritto di cronaca e di critica"



LIANA MILELLA
"Assolte". Non offesero né l’onore, né tantomeno la reputazione di Berlusconi. Le "nuove dieci domande" - ideate, proposte allo stesso premier e da lui rifiutate, scritte da Giuseppe D’Avanzo il 26 giugno 2009 sull’intreccio politico-giudiziario dei casi di Noemi Letizia e di Patrizia D’Addario - furono "un legittimo esercizio del diritto di critica e la lecita manifestazione della libertà di pensiero e di opinioni garantita dall’articolo 21 della Costituzione". Che fissa i paletti del diritto di cronaca.

LE PRIME DIECI DOMANDE A BERLUSCONI

LE NUOVE DIECI DOMANDE A BERLUSCONI

Era ricorso ai giudici il Cavaliere, in sede civile, assistito stavolta da una Ghedini donna, Ippolita, la sorella di Niccolò. Era il 25 agosto 2009. Ma Angela Salvio, toga in servizio presso la sezione civile del tribunale di Roma, il 5 settembre gli ha dato torto. Repubblica ha esercitato, al contempo, "il diritto di cronaca e il diritto di critica". D’Avanzo non era andato "oltre" nel mettere in fila quelle domande, che seguivano le prime dieci, pubblicate non appena esplose la storia del rapporto tra il capo del governo e la minorenne Noemi. Poi, svelata dalla stessa D’Addario la storia delle escort portate a Roma da Tarantini, le domande presero una nuova veste. Che fece infuriare Berlusconi. Pronto a chiedere un milione di euro in forma di risarcimento. Centesimo più, centesimo meno, giusto la cifra che ha poi versato a Tarantini.

Il giudice Salvio non esita. Gli dà torto e lo condanna a pagare le spese legali. Firma una sentenza di 15 pagine destinata a pesare nella storia dei rapporti tra la stampa e il potere politico. Per due ragioni. La puntualità nel ricostruire un contesto in cui le "nuove dieci domande" videro la luce. E i riferimenti ai pilastri del diritto. Da una parte ci sono date e fatti di quei giorni. Essi portarono alle dieci domande. Il 27 aprile, un articolo della finiana Ventura sul "velinismo". Il 28 Repubblica rivela la festa di Noemi con Berlusconi. La sera stessa parla Veronica Lario, la moglie, che denuncia il "ciarpame senza pudore". Il 3 maggio Veronica rende pubblica la richiesta di separazione. Il 17 giugno esplode il caso D’Addario. Scrive la Salvio: "In un paese democratico costituisce un diritto-dovere della stampa chiedere conto e ragione dei comportamenti a chi ricopre cariche politiche ed esercita il potere di governo, per soddisfare l’interesse pubblico della formazione del giudizio complessivo di valore sulla persona che occupa posizioni di vertice, non solo sull’ attività pubblica svolta, ma con riferimento al patrimonio etico e alla coerenza dei comportamenti".

La Costituzione, la Convenzione europea dei diritti dell’ uomo, il nostro codice penale parlano chiaro. Non c’è diffamazione a mezzo stampa se c’è "un interesse pubblico dell’informazione", se "la notizia è vera", se è espressa "in forma civile nell’esposizione dei fatti e nella valutazione". Al diritto di critica è concessa qualche licenza in più. Può essere esercitato "con toni aspri, duri, enfatici, impietosi, dissacranti". E nel valutare le espressioni usate "non si può prescindere da un esame globale del complesso dell’argomento trattato".

Erano giustificate le dieci domande? Esse, documenta la Salvio, "non sono state "catapultate" sul giornale da un momento all’altro". Giungevano "a conclusione di un articolo di D’Avanzo che conteneva la ricostruzione analitica degli accadimenti che si erano succeduti in un brevissimo lasso di tempo, che era ben conosciuti e facevano parte della memoria storica recente dei lettori che avevano potuto seguire il rincorrersi di dichiarazioni, fatti, smentite, interviste, foto, registrazioni". Cos’erano, dunque, le domande di D’Avanzo? "Poste in maniera civile, garbata e misurata, senza allusioni o insinuazioni malevoli, erano riflessioni critiche sintetiche di interpretazione dei fatti". Il diretto interessato, Berlusconi, può ritenerlo "fastidioso, impertinente e sgradevole", ma tutto ciò rientra "nella lecita manifestazione del diritto di critica al potere politico e a chi ricopre posizioni di particolare responsabilità pubblica". Perde Ippolita Ghedini, vincono Virginia Ripa di Meana e Carlo Federico Grosso, i legali di Repubblica. Perché la gente ha diritto di sapere cosa fa Berlusconi e, in quanto uomo pubblico, di criticarne l’operato.
13 settembre 2011

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