lunedì 12 settembre 2011

LUCA FLORES: UNA VITA AL PIANOFORTE

“Il linguaggio della musica è uno, ed è quello dell'anima, là dove le parole ci ingannano con i loro mille significati. E' libera di volare in paradiso, di scendere nelle viscere dell'inferno o di starsene a galleggiare nel limbo. Io amo quei musicisti che cantano, scrivono e suonano ogni nota come se fosse l'ultima.'

La musica è così, è un urlo fra le stelle e l’infinito, ti dà la chiave d’accesso al mondo dei perché. Un mondo non aperto a tutti ma solo a quelle grandi anime che, dotate di una genialità che supera ogni limite, possono raggiungere questa libertà, librarsi sulle ali della immaginazione e con forza disumana attraversare gli Inferi e tornare sulla Terra. Tutto questo attraverso una nota, un dipinto, una poesia. Ciò che non deve stupire è che, paradossalmente, a tradire i Grandi, spesso è proprio quello stesso genio che lentamente gli corrode l’anima e la mente.

È questo il caso di Luca Flores, pianista jazz di primo piano nel panorama italiano degli anni Settanta.

Nato a Palermo nel 1956 si trasferisce, piccolissimo, insieme alla famiglia in Mozambico; qui il padre, geologo di fama internazionale, aveva avuto un incarico di lavoro. Proprio nell’Africa Nera, all’età di cinque anni, stimolato dalla mamma comincia a suonare il pianoforte. L’Africa è una realtà contraddittoria, è insieme vita e morte e sarà così anche per Luca: in Africa muore infatti la madre Jolanda, in un incidente stradale. Luca era insieme a lei quando accadde l’incidente e in qualche modo si sentiva colpevole. Con questo passato non chiuderà mai completamente i conti ma disperatamente tornerà presente nella sua vita, uno strazio e un dolore che col tempo diventeranno sempre più intollerabili. L’unico modo che ha per mantenere vivo il legame con la madre è proprio il pianoforte e a partire da allora nasce il suo maniacale attaccamento allo strumento e alla musica.

Dopo la morte di Jolanda la famiglia Flores si disperde, i due fratelli maggiori vanno a studiare in Inghilterra, Luca e Barbara in Italia, a Firenze. Al conservatorio Luigi Cherubini si diploma in pianoforte con il massimo dei voti ma il suo destino non è quello di diventare un pianista classico. Nel 1974, infatti, inizia l’attività jazzista imponendosi a livello nazionale, prima, internazionale poi. La sua bravura lo porta a suonare con altri big del jazz: Chet Baker e Massimo Urbani.

Il successo non lo rende felice e lo vive chiuso in una sorta di solitudine mentale; imprigionato com’è nei ricordi combatte contro le ombre del suo passato e solo quando è seduto al pianoforte, quasi sottratto dalla realtà, trova un po’ di pace. Ormai vittima della sua stessa genialità aveva subito i disagi della sua mente in un percorso esistenziale e artistico che lo avevano trascinato verso il buio. Luca è triste, ombroso e taciturno, nemmeno l’amore di una ragazza riesce a destarlo. Comincia presto, ma con estrema lentezza, a dare segni di squilibrio. Prima con ingiustificate paranoie, poi con atti di autolesionismo, si taglia i polpastrelli e un dito, e infine, con un suicidio riuscito dopo quelli annunciati, nel 1995, dopo aver registrato quello che forse rappresenta il suo testamento spirituale in musica: How far can you fly. Finisce qui la parabola umana e professionale del musicista.

Gli ingredienti per un film, un film all’italiana, melodrammatico per intenderci, ci sono tutti: il protagonista, genio incompreso, la tragedia familiare e il trauma, un amore sbocciato ma non coltivato, il suicidio finale.

Un film, quello di Riccardo Milani per dire che ciò che alla fine sopravvive di una vita speciale, così come delle vite ordinarie di noi tutti, è ciò che siamo capaci di lasciare agli altri; nel caso di Luca Flores, alcuni pezzi straordinari, delle mani prodigiose, un sorriso inerme. Il filosofo Wittgenestein suggeriva nel suo Tractatus: 'Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere'; è per questo che non vogliamo qui recensire il film “Piano solo”, da venerdì 21 settembre nelle sale cinematografiche. Semplicemente prima di avvicinarci ad una pellicola importante quale è la biografia di uno dei più grandi jazzisti che il Bel Paese abbia partorito, riteniamo che sia bene saperne di più.

Per gli appassionati del genere non ci resta allora che augurare: buona visione.

di Giovanna Starace

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Avevo letto il libro di Veltroni, con DVD allegato, adesso ho visto il film. Ho tutti i dischi di Luca Flores. Datevi da fare, ne vale la pena.