UGO MAGRI
Ieri sera Berlusconi è calato a Roma. Di solito dalla Sardegna, dove trascorre i weekend fino a quando regge il clima, si dirige su Milano per sbrigare certe sue faccende private. Se d’improvviso il Cavaliere ha cambiato programma, dev’esserci per forza una ragione di speciale importanza. Qualcuno dello staff la collega alle due telefonate di ieri, la prima a Cuneo e la seconda a Bisceglie, in cui Berlusconi ha sparso la sensazione di volersi tuffare nelle misure per lo sviluppo e per la crescita che «esamineremo» in settimana, ha detto. Pare abbia già incontrato Gianni Letta, suo braccio destro. E si prepara una mattina di fuoco, riunioni con i fedelissimi prima di tornare ad Arcore, perché c’è da decidere il «chi», il «come», ma soprattutto il «che fare».
Domanda numero uno: che fare con Tremonti? Berlusconi non ha deciso se licenziarlo o invece no. Se dar retta a chi (la lista è lunghissima, ma sicuramente la guidano Galan e Crosetto) gli suggerisce di «cacciare Giulio addebitandogli la colpa delle decisioni sbagliate» e chi (vedi Fitto, ma pure anti-tremontiani come Cicchitto, per non dire di personaggi prudenti tipo Letta e di Bonaiuti) invitano il premier a considerare il momento, sarebbe da pazzi scatenare una guerra col titolare dell’Economia proprio adesso che lo «spread» con i bund tedeschi viaggia intorno ai 400 punti. Tra l’altro il Professore, che ieri è tornato a Pavia direttamente da Washington, non ha la minima intenzione di dimettersi. E casomai vi fosse costretto dalle circostanze, vale l’immagine colorita di un ministro economico: «Sarebbe come avere nel governo un kamikaze con il giubbotto pieno di esplosivo: Giulio salterebbe in aria, ma tutti noi con lui...».
Meglio evitare. Non per caso a sera Bossi, che nonostante la salute vede più lontano di molti, annotava: «Tremonti non è in pericolo». E dovendolo «sopportare» al Tesoro, meglio ottenere la sua collaborazione per fare in fretta questo decreto sullo sviluppo, di cui ancora nulla è nero su bianco, solo poche idee (avrebbe detto Flaiano) ma confuse. Il libro dei sogni berlusconiano punta a «quota 90», il rapporto tra debito pubblico e Pil che quasi per incanto crolla di 30 punti dall’attuale 120 per cento, riportandoci tra i paesi semi-virtuosi. La bacchetta magica si chiama «dismissioni», in pratica la vendita di asset pubblici, immobiliari e non. Guai però a toccare Eni ed Enel, avverte Osvaldo Napoli, in quanto fruttano soldi freschi all’Erario, venderli sarebbe un autogol. Ci sarebbe l’immenso patrimonio immobiliare. Verdini ha consegnato a Berlusconi un dossier ricco di numeri e di proposte. Lo stesso Tremonti ha convocato per giovedì un incontro sull’argomento, si chiamerà «seminario» in modo che nessuno immagini decisioni rapide, né tantomeno svendite dei gioielli di Stato. Se ne potrebbero ricavare centinaia di miliardi, però il demanio è passato agli enti territoriali, ci va di mezzo il federalismo, il groviglio legislativo è pressoché inestricabile.
Ma il vero pozzo di denari cui tutti pensano, perlomeno nel Pdl, si chiama condono. Fiscale o edilizio, parziale o tombale, non ha importanza, purché vi si attinga senza falsi pudori... L’armistizio con Tremonti dovrebbe consistere, secondo quanto va maturando in queste ore, in una sorta di compromesso: il partito cessa di attaccarlo, mette la sordina a Brunetta e agli altri critici del Professore; in cambio lui finge di dare ascolto ai colleghi di governo, e consente qualche operazione di finanza straordinaria fin qui negata. Per dirla con un personaggio ruvido ma sincero come Cicchitto, «per andare avanti servono grandi decisioni, bisogna prendere di petto il debito pubblico». Altrimenti, tutti a casa.
1 commento:
SE NE RICORDANO SOLO ADESSO CHE OCCORRE ABBATTERE IL DEBITO PUBBLICO? COS'HANNO FATTO PER OLTRE 15 ANNI? AH GIA', IL BUNGA BUNGA.
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