sabato 1 ottobre 2011

Berlusconi, sindrome dell'assedio "Così il Colle ci destabilizza"


di CARMELO LOPAPA

Un intervento "fuori spartito", che in quei termini il Cavaliere proprio non si aspettava. Nel fortino sempre più assediato di Palazzo Grazioli, un presidente del Consiglio già alle prese con l'ennesimo ultimatum della Marcegaglia e con la valanga di firme anti-porcellum che i referendari gli hanno appena rovesciato contro, commenta con un misto di asprezza e preoccupazione le parole del capo dello Stato.

A Silvio Berlusconi è chiaro che quei fendenti sul popolo padano che non esiste, sull'illegalità della svolta secessionista, pur inappuntabili nel merito, colpiscono al cuore l'asse che lo lega a Umberto Bossi e che tiene in piedi il governo. Una filippica "a freddo" che - è il suo commento più riservato - rischia di "destabilizzare" ulteriormente il governo. Raccontano che abbia tirato un sospiro di sollievo solo leggendo la reazione tutto sommato contenuta di Calderoli.

Ma la preoccupazione resta. Anche per quel che l'uscita di Napolitano comporta in prospettiva. L'uscita, in realtà come di consueto ben ponderata dal Colle, è il sintomo dell'apprensione del Quirinale per un quadro politico generale che appare alquanto deteriorato e fragile. Da qui la necessità di una nuova legge elettorale che ricostruisca la "fiducia nelle istituzioni".

Ma la schiettezza e il linguaggio senza sconti con cui si è espresso il capo dello Stato sono state anche il termometro per misurare quanto siano ridotti al lumicino ormai i rapporti tra il presidente e il Senatur, un tempo improntati alla cordialità e alla lealtà. E la bordata che lancia a sua volta stamattina la "Padania" all'indirizzo del Quirinale ne è la conferma.

Gli industriali, i sindacati, la magistratura, il colle più alto. Il presidente del Consiglio affetto da sindrome dell'assedio è intenzionato comunque a resistere. Lo ripete ai massimi dirigenti del partito che lo vanno a trovare in giornata dopo la riunione pidiellina del mattino in cui, sotto l'occhio vigile del segretario Alfano, si riscrivono le regole per i futuri congressi locali. Non partecipano Alemanno, Scajola, Formigoni, le anime critiche del Pdl. Il Cavaliere incontra Francesco Storace, poi Alfano e Gianni Letta, Verdini, si rivede in via del Plebiscito anche Mauro Masi, l'ex dg Rai. Con loro, con i coordinatori e i capigruppo che lo sentono nel pomeriggio si dice comunque disposto a mettere mano alla riforma elettorale, se a dicembre la Consulta darà via libera al referendum sull'onda del milione e 200 mila firme depositate ieri.

La consultazione è una bomba da disinnescare. Due i paletti che Berlusconi torna a fissare per la nuova legge: "L'indicazione diretta del premier e le preferenze per restituire il potere di scelta agli elettori, bisogna ascoltare le istanze che vengono dall'esterno del Palazzo". Perché, per dirla col vicecapogruppo Massimo Corsaro, "la raccolta di firme ha posto il problema, ma non lo risolve e noi ce ne faremo carico".

Per adesso tuttavia, in cima all'agenda c'è il decreto sviluppo - da mettere a punto la settimana prossima per rispondere a Confindustria - e la partita Bankitalia. Berlusconi fa sapere che si prende un week end di riflessione sulla scelta del governatore. Salvo confidare ai ministri più vicini che servirà a stemperare la tensione con Tremonti, ma la strada per lui è segnata e porterà a Saccomanni.

Detto questo, con almeno un paio degli interlocutori di ieri il Cavaliere si è lasciato andare anche a previsioni sul futuro, suo e del partito: "Io non voglio restare qui in eterno, confido molto nell'opera di Angelino, ma prima di fare un passo indietro voglio essere certo che l'Italia non vada in mano alla sinistra e che si amplino i confini della coalizione".

Il capo del governo spera ancora nel coinvolgimento di Casini, nonostante il leader Udc continui a chiudergli la porta in faccia. "Pier sa bene che a sinistra non ha margini di manovra e che non potrà stare altri cinque anni all'opposizione" è stato il suo ragionamento.

Ma mentre Berlusconi guarda fuori dal suo recinto, le fibrillazioni sono in aumento proprio dentro il Pdl. E la fuoriuscita di Santo Versace ne è stata solo l'avvisaglia. La regola di "una testa un voto" decisa ieri in vista dei congressi locali, ma soprattutto l'apertura alle preferenze annunciata da Alfano angoscia decine di parlamentari, dalla rielezione a questo punto più che incerta.

È una fronda molto silenziosa delusa dal segretario, pronta a tutto pur di sopravvivere. "Spero che il Pdl trovi una quadra al suo interno, sembra sempre più una federazione di correnti" dice un preoccupato Storace, leader della Destra. In Transatlantico raccontano che uno strappo significativo potrebbe maturare, anche sotto forma di un documento, già nelle prossime settimane.

(01 ottobre 2011)

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