domenica 30 ottobre 2011

Da Mani Pulite a Scelsi: la lunga guerra tra magistrati


ARRESTI, VELENI E ACCUSE INCROCIATE ALL’OMBRA DELL’UOMO DI ARCORE

di Antonella Mascali

Dagli anni ’90 fino ad oggi, è stato un susseguirsi anche di lotte tra magistrati, oltre che tra il potere politico e le toghe. Dai tempi di Mani pulite, alle stragi di Capaci a via D’Amelio, per arrivare a un’inchiesta su un giro di prostitute di casa a palazzo Grazioli, la residenza romana di Silvio Berlusconi.

Il Bari-gate

Ed è attorno a questa indagine, della procura di Bari, che è in corso uno scontro durissimo. I protagonisti sono Pino Scelsi, il primo pm che ha indagato su Gianpaolo Tarantini e il procuratore, Antonio Laudati. Scelsi ha inviato un esposto al Csm nel luglio scorso in cui accusa Laudati di aver rallentato le indagini, di avergli impedito di concluderle. A settembre viene ascoltato dal Consiglio. Conferma tutto. Racconta che il procuratore ha promosso la teoria del complotto contro il premier, ordito da Massimo D’Alema, attraverso Tarantini e la escort, Patrizia d’Addario.

Scelsi racconta anche la riunione con Laudati, nel giugno 2009: si presentò come “Inviato del ministro della Giustizia”, Angelino Alfano.

Si scopre che il procuratore ordina una relazione a una “squadretta” di finanzieri alle sue dipendenze, datata gennaio 2011. In quel documento le fiamme gialle scrivono un rapporto sull’indagine Tarantini. Alcuni passaggi sembrano un dossier su Scelsi: “A partire da maggio 2009 su disposizione e per volere del dott. Scelsi, veniva dato particolare impulso alle indagini. Tanto che improvvisamente venivano imposte accelerazioni e assunte scelte quasi mai caratterizzate da logica investigativa”. La relazione finisce al Csm. L’ha inviata il procuratore generale di Bari, Antonio Pizzi. Che - davanti al Consiglio - esprime il suo sconcerto per quel documento: “Sono indagini dirette a verificare il comportamento dei magistrati”. Laudati, al Csm, nega tutto. Rischia che il Consiglio lo trasferisca per incompatibilità ambientale, mentre a Lecce è indagato per favoreggiamento, abuso d’ufficio e tentata violenza privata ai danni di Scelsi.

Tangentopoli

La “guerra” fra magistrati, quando c’è di mezzo un’indagine su Berlusconi, è puntuale. Ne sa qualcosa Antonio Di Pietro. Chi non ricorda l’allora pm più famoso d’Italia togliersi la toga in aula, al processo Enimont e annunciare le sue dimissioni dalla magistratura? A Barbacetto, Gomez e Travaglio, nel libro Mani pulite, Di Pietro contestualizza la sua scelta: “Piovevano attacchi, denunce, minacce, ispezioni e dossier da tutte le parti. Avevamo contro molti colleghi, a cominciare dai procuratori generali di Milano e della Cassazione che ora ci scippava il processo Cerciello (generale della Gdf ). E poi la lettura politica di ogni atto, aggravata da quella sciagurata fuga di notizie sull’invito a comparire (a Berlusconi nel ’94, ndr)”. Il pm di Brescia, Fabio Salamone, indagherà per 54 volte su Di Pietro e per una quarantina sugli altri membri del pool Mani pulite. Tutte le inchieste si concluderanno con proscioglimenti. Una delle indagini nasce da dichiarazioni dell’imputato Cerciello: “È stato il dottor Di Pietro, dice il 3 aprile 1995, a volere a tutti i costi che si tirasse fuori il mio nome. Nel carcere di Peschiera ho appreso che il pool voleva far dire al maresciallo Nanocchio il nome di Berlusconi”. Il tribunale di Brescia dirà che Salamone non era obbligato a dare credito “a un imputato, Cerciello, che esercita il suo diritto di difendersi, e quindi anche di mentire”.

Gli ispettori a Milano

Nel marzo ’96, i pm di Milano, Ilda Boccassini e Gherardo Colombo, ordinano l’arresto di un magistrato romano, Renato Squillante, potentissimo capo dei gip. È accusato di corruzione in atti giudiziari. L’inchiesta è quella denominata “Toghe sporche”. Per mesi lo avevano fatto intercettare. Una cimice era stata piazzata al bar Tombini. Squillante, seduto al tavolo con Augusta Iannini, allora gip, oggi capo dell’ufficio legislativo del ministero della Giustizia, e altri commensali, parla anche di fondi neri e Berlusconi. Boccassini e Colombo saranno indagati a Brescia per abuso d’ufficio. Si erano opposti, appellandosi al segreto istruttorio, di far visionare agli ispettori ministeriali, il fascicolo dell’indagine, il famoso “9520/95”. Saranno prosciolti. Il processo milanese, che vedrà imputati tra gli altri anche Previti e l’ex giudice Filippo Verde (in quello stralcio, Berlusconi), sarà annullato dalla Cassazione, dopo due gradi di giudizio, per incompetenza territoriale, e trasferito a Perugia.

Appalti e mafie

Negli anni più recenti, lo scontro tra magistrati che è finito sui giornali per mesi, è stato quello di Catanzaro e di Catanzaro e Salerno, per l’avocazione delle inchieste “Poseidone” e “Why Not”, di Luigi De Magistris.

Al Csm è finita anche la diatriba tra le procure di Palermo e Caltanissetta per le indagini sulla trattativa Cosa nostra-Stato e per la gestione di Massimo Ciancimino.

A Reggio Calabria nei mesi scorsi il procuratore Giuseppe Pignatone e l’aggiunto, Michele Prestipino, hanno messo sotto inchiesta, per corruzione in atti giudiziari, Alberto Cisterna, della Direzione nazionale antimafia, ex pm reggino.

Cisterna, a sua volta, ha querelato per diffamazione, insieme al procuratore di Ancona, Vincenzo Macrì (ex pm calabrese), il collega Prestipino: durante una cena a Milano, nel 2010, avrebbe detto che Cisterna e Macrì avrebbero protetto la ‘ndrangheta.

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