sabato 15 ottobre 2011

Fini: "Elezioni a marzo, Bossi staccherà la spina"


Ven-du-ti! Ven-du-ti! Ven-du-ti!». Il coro degli «Indignados» che si preparano alla grande manifestazione di oggi alza forte la sua voce fino alle finestre dello studio del presidente della Camera. Gianfranco Fini non nasconde la sua preoccupazione: «Speriamo che non succeda niente. Questi giovani sono sinceri nell’esprimere il loro disgusto per la situazione in cui siamo. Molti di loro hanno buone ragioni per essere indignati, anche se forse non è giusto parlare solo di antipolitica. Se non c’è più la politica, infatti, anche l’antipolitica diventa difficile».

Ammetterà, presidente Fini, che quello che è successo nell’ultima settimana tra il governo e la Camera non è stata proprio un’iniezione di fiducia per l’opinione pubblica.
«Non posso darle torto, ma non credo che ci si potesse aspettare una conclusione diversa. Era chiaro che il governo avrebbe preso la fiducia, e altrettanto che da oggi tutto ricomincerà come prima».

Negli ultimi tre giorni è successo di tutto: le opposizioni sull’Aventino, il Quirinale costretto a intervenire due volte per contenere uno scontro insanabile, e alla fine Berlusconi che ottiene 316 voti di maggioranza e canta vittoria.
«Voto più, voto meno, non cambia molto. Se Berlusconi pensa di poter governare con una maggioranza così stretta, provi pure. Negli ultimi mesi non mi pare che ci sia riuscito. Forse, per la prima volta, ne è consapevole: per uno come lui, grande comunicatore, ridursi a fare un discorso mediocre come quello di giovedì vuol dire che ha rinunciato al grande orizzonte e alle riforme epocali che si aveva sempre sognato».

Lei è proprio convinto che Berlusconi cominci a rassegnarsi alla fine del berlusconismo?
«Con questi numeri e con le difficoltà che ha dovuto fronteggiare fino all’ultimo, inseguendo i dissidenti uno per uno, non solo non è in grado di realizzare le riforme, ma neppure di prendere i provvedimenti necessari per la crisi economica. I tagli annunciati da Tremonti sono già apertamente contestati dai ministri interessati. È stato Cicchitto, il capogruppo del Pdl, e non un membro dell’opposizione, a dire chiaramente che il decreto sviluppo, dalla gestazione lunga e sofferta, non potrà certo essere a costo zero. Parlava chiaramente al Presidente del consiglio e al ministro dell’Economia. Scajola per le stesse ragioni ha spiegato che la sua fiducia è a termine. Inoltre la Bce ha appena ribadito che i paesi più a rischio, tra cui l’Italia, devono prepararsi a una manovra aggiuntiva. Mal contati, di qui a fine anno, mancano ancora una ventina di miliardi di euro. Un governo come questo non è assolutamente in grado di trovarli per mettere a posto i conti».

Eppure Andreotti diceva che per un governo è sempre meglio tirare a campare che tirare le cuoia.
«Altri tempi. Berlusconi è il primo a sapere che c’è una grande distanza tra le cose che ha promesso e quelle che ha realizzato. Basta leggere i sondaggi per accorgersi che la delusione s’è ormai fatta strada anche tra i suoi sostenitori».

E allora cosa farà?
«Proverà a vivacchiare più o meno fino a Natale, farà di tutto per ottenere l’approvazione di nuove leggi ad personam, indispensabili per trasformare quelli che lo riguardano in processi “pret a porter”, tagliati su misura per garantirgli l’impunità con la prescrizione breve o altri espedienti. Poi andrà alle elezioni. Presto, molto prima di quanto ci si possa aspettare, sarà Bossi a staccare la spina. Andremo alle urne a marzo 2012».

Ne è sicuro?
«Si voterà con l’attuale legge, per rinviare il referendum. Non solo io, tutti hanno capito che andrà così e cominciano a prepararsi a questa scadenza. Lei ha qualche dubbio al proposito?».

Non è questo. E’ che se il governo è uscito da questa prova con un risultato assai magro, non mi pare che l’opposizione possa cantare vittoria. Doveva essere il passaggio decisivo per archiviare Berlusconi e dar vita a un governo di larghe intese e a una nuova fase politica, e s’è visto com’è finita.
«È vero: anche questa che era un’ipotesi ragionevole, l’unica che poteva permettere di affrontare seriamente i gravi problemi imposti dalla crisi economica e tentare di varare le riforme più urgenti, è franata di fronte all’ostinazione di Berlusconi di non accettare di fare un passo indietro e guardare solo al suo interesse personale».

Presidente Fini, ma come si poteva pensare che Berlusconi accettasse un nuovo ribaltone?
«Guardi che nessuno ha mai pensato a un ribaltone. Anzi, il punto di partenza di qualsiasi ipotesi era che sarebbe stata praticabile solo col consenso del Pdl e costruita attorno alla maggioranza che ha vinto le elezioni. Il segno di discontinuità chiesto a Berlusconi, data la gravità della situazione, non significava che sarebbe dovuto andare all’opposizione».

Ma dall’interno del Pdl, chi aveva offerto appoggio a una prospettiva del genere?
«Apertamente Pisanu, e con più timidezza lo stesso Scajola, che si sono battuti fino alla fine per convincere il premier a pilotare lui stesso questo passaggio. E riservatamente, mentre la trattativa era in corso, sono stati in molti a farsi vivi, spingendo nella stessa direzione. Parlo di personaggi di prima fila del Pdl, ministri, dirigenti del cerchio più vicino al presidente del consiglio».

E lei che lo conosce da tanto tempo e così da vicino ha sperato davvero che stavolta Berlusconi potesse mollare?
«Io sono stato a sentire e ho dato le mie risposte a chi mi faceva domande. Quando il governo è stato battuto sul rendiconto, pensavo che l’occasione di un chiarimento fosse arrivata. E non perché ci fosse un obbligo giuridico – che non c’è - alle dimissioni. Ma un atto di sensibilità, un gesto politico, nel rispetto della chiarezza e di una prassi consolidata, questo c’era da attenderselo. Tra l’altro, se si fosse dimesso, Berlusconi, com’è accaduto in passato anche a governi diversi dal suo, sarebbe stato probabilmente rinviato alla Camera per verificare se avesse ancora la fiducia».

Di nuovo invece Berlusconi non s’è fidato.
«Pervicacemente, non ha voluto dimettersi. Ed è venuto in aula a dare dello sfascista a chiunque si proponga di dare al nostro Paese un esecutivo più adeguato alle necessità del momento. Confesso che ho trovato insopportabile sentir pronunciare l’accusa di sfascio da chi è riuscito a distruggere in tre anni il suo governo, il suo partito, la sua maggioranza e la credibilità internazionale dell’Italia».

Sia sincero: mentre lo ascoltava si sarà detto che con Berlusconi non c’è niente da fare.
«Mi sono reso conto che il governo, in un modo o nell’altro, avrebbe avuto la fiducia e che l’ipotesi di un altro governo usciva almeno per ora dall’orizzonte di questa legislatura».

E non s’è rammaricato dell’ingenuità delle opposizioni che avevano creduto ai segnali di fumo che venivano dal Pdl?
«Non credo che fossero segnali di fumo. E le opposizioni, nel corso di questi quattro giorni hanno fatto di tutto per dare la propria disponibilità a un cambiamento. Poi si sa: in un contesto del genere, giocano tanti fattori, le volontà dei singoli, le pressioni, le piccole convenienze, il trasformismo, che è una malattia diffusa e, ahimè, non è una novità. E in ogni caso quattro deputati della maggioranza non hanno votato la fiducia.

Se si andrà a votare con l’attuale legge Porcellum, e con il premio di maggioranza come posta, non crede che ci si andrà di nuovo con due schieramenti e non con i tre attuali?
«No, sono sicuro che saranno tre. La novità sarà il Terzo polo, che ha grandi potenzialità e potrà intercettare tutto lo scontento che viene dagli elettori di centrodestra e anche parte di quello del centrosinistra. Per questo, dobbiamo arrivare al voto con un maggiore amalgama, una spinta unitaria, un’unica identità programmatica. Non abbiamo molto tempo, ma possiamo riuscirci».

Se le elezioni saranno nel 2012, pensa che Berlusconi sarà nuovamente candidato premier?
«È molto probabile. Se non lo chiede lui, sarà il suo partito a chiederglielo. Non vedo vere alternative nel Pdl».

E lo considera ancora un avversario forte?
«Le dico la verità: molto meno del passato. Anche se in Parlamento riesce ancora a trovare i numeri di cui ha bisogno, le amministrative a Milano e Napoli e il voto dei referendum hanno dimostrato che Berlusconi ha perso la sua presa su gran parte del paese reale».

Non teme che con la stanchezza e l’esasperazione che c’è in giro nei confronti del Palazzo, Berlusconi possa essere tentato dal cavalcare di nuovo il vento dell’antipolitica?
«Con lui tutto è possibile, ma credo che finirebbe col farsi ridere dietro. Se è vero che con la crisi della politica, se non sapremo reagire, tutti corriamo il rischio di apparire come personaggi di un palcoscenico immobile, di quel teatrino – e credo sia il primo a saperlo - Berlusconi è diventato la prima marionetta».

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