GIANNI BARBACETTO
Ci sono, in una città, cose minime, storie piccole, paesaggi urbani minori, che però contribuiscono a fare, di un luogo, un luogo in cui è un po’ più bello vivere. Sono segnali impercettibili, di cui solitamente ci si accorge soltanto quando non ci sono più. Facevano parte del fondale urbano, chi ci badava? Ma una volta scomparsi, resta, impercettibile, l’irrimediabile rimpianto di una storia finita.
A Milano, uno dei piccoli luoghi che andrebbero preservati (ce ne sono tanti, come sanno soltanto i pochi che vogliono davvero bene a questa strana città) è il circolo “Combattenti e reduci” ospitato nel casello del dazio al lato sinistro dell’Arco della pace. L’associazione nazionale Combattenti e reduci (Ancr) è stata fondata con regio decreto nel 1923. I suoi circoli, in giro per l’Italia, stanno sopravvivendo ai combattenti e ai reduci che sono in via d’estinzione: per fortuna, nel senso che dopo il Secondo conflitto mondiale le guerre non si sono ripetute, almeno quelle dichiarate e quelle combattute in casa.
Il circolo dell’Arco della pace (curioso questo cortocircuito tra guerra e pace) è un luogo dove i pensionati vanno a giocare a carte, il pomeriggio; ma è anche una trattoria, cucina davvero casalinga e prezzi davvero modici, nel centro di Milano. È un assoluto anacronismo estetico e commerciale, a un passo dai nuovi locali fighetti di corso Sempione, disegnati dagli architetti e frequentati da modelle emaciate e boys dall’incerta vocazione.
La città è questo: sovrapposizione di esperienze e di progetti, di costruito e di vissuto, di passato e di futuro. Tutti uguali sono i quartieri dormitorio e certe città giardino spacciate come meraviglie da imprenditori molto egoriferiti. La metropoli, invece, è commistione, intreccio, sovrapposizione, contagio. Vivano, dunque, i locali dell’happy hour. Ma vivano anche i “Combattenti e reduci”. Non per gusto passatista, nostalgismo d’accatto, elogio dei miserabilini. Ma per voglia di diversità, gusto del molteplice, moltiplicazione delle esperienze estetiche e dei vissuti urbani.
Qui scatta una confessione: a chi scrive piacciono i grattacieli (e New York non è forse la più “forte” città del mondo?). Nessuna banale nostalgia del passato, dunque, di una vecchia Milano con il “coeur in man” (è poi mai esistita?). Ma accanto ai grattacieli (possibilmente costruiti senza mazzette e senza delegare le scelte urbane d’interesse collettivo a chi riesce a mettere le mani sulla città), lasciateci anche i “Combattenti e reduci”.
Invece la famiglia di Annamaria Pignataro, che dal 1994 conduce la trattoria e il circolo dell’Arco della pace, il 28 febbraio 2012 dovrà andarsene. Sfratto esecutivo. Avrebbe dovuto lasciare i locali e l’attività già il 30 settembre, ma “siamo riusciti a ottenere una proroga, perché abbiamo messo la cosa in mano a un avvocato”.
La vicenda è precipitata dopo l’entrata in scena del Demanio dello Stato. Prima il dazio dell’Arco della pace era gestito dal Comune di Milano, a cui i gestori hanno pagato regolarmente l’affitto per anni. Poi è arrivato il Demanio, che ha intimato lo sfratto. Ci sarà senz’altro qualche buona ragione per questa scelta e ci sarà pure una solidità burocratica dietro questa decisione. Ma se al di là della burocrazia si riuscisse a intravvedere anche un minimo di progettualità urbana (assurdo chiederla al signor Demanio?), allora si potrebbe sperare che il circolo dei “Combattenti e reduci” dell’Arco della pace possa sopravvivere.
Il Fatto Quotidiano, 13 ottobre 2011
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