di Marco Travaglio
Massima solidarietà ai segugi del Giornale e di Libero, dopo la decisione del gip di Bari di confermare il mandato di cattura per Valter Lavitola.
Mestiere usurante quant’altri mai, quello del segugio berlusconiano. Non consente ferie né riposi settimanali, vista l’attitudine a delinquere del padrone, che non si ferma mai, nemmeno di domenica e feste comandate. E impone addestramenti da truppe lagunari, viste le continue piroette, contorsioni, salti mortali carpiati con avvitamento e arrampicate sugli specchi che richiede h24.
Ricapitoliamo. A settembre il gip di Napoli Amelia Primavera ordina la cattura di Lavitola e Tarantini, accusati dai pm Greco, Curcio e Woodcock di avere ricattato B.
I segugi di B., sentiti i legali di B., si scatenano: il ricatto a B. non sta in piedi perché sia i ricattatori sia il ricattato negano il ricatto. Risate sullo sfondo.
I pm convocano B. come testimone-vittima del ricatto e, siccome B. non si presenta e manda un memoriale, minacciano l’accompagnamento coatto. I segugi di B., sentiti i legali di B., strillano: B. non dev’essere convocato come teste, semmai come indagato, dunque con la facoltà di non presentarsi e non rispondere. Risate sullo sfondo.
A furia di sentire B. e i legali di B. dire che B. dev’essere indagato, il Tribunale del Riesame l’accontenta: la Procura deve indagarlo per aver pagato Tarantini per indurlo a mentire ai pm di Bari. I segugi di B., sentiti i legali di B., tuonano: abbasso il Riesame che vuole perseguitare B. con un’altra falsa accusa, e comunque del caso non deve occuparsi la Procura di Napoli, ma quella di Roma. Il gip Primavera legge il memoriale di B., lo prende per buono, e stabilisce che i pagamenti a Tarantini e Lavitola sono avvenuti a Roma, dunque l’inchiesta passa a Roma. I segugi di B., sentiti i legali di B., esultano: il gip Primavera, che aveva firmato gli arresti e sposato la tesi del ricatto dunque era stata crocifissa assieme ai pm, diventa un’eroina che dà torto ai pm e manda finalmente l’inchiesta nella Capitale dove, visti certi precedenti, riposerà in pace in saecula saeculorum. Intanto però il Riesame dice che la competenza è di Bari, dove Tarantini prezzolato da B. ha reso le sue deposizioni farlocche. I segugi di B., sentiti i legali di B., spargono altro incenso: viva il Riesame e viva Bari, che adesso è una garanzia, Laudati sii mi procuratore. Bari non tradisce le attese: indaga Lavitola per aver indotto Tarantini a mentire su B., ma si guarda bene dall’indagare anche B. e, quel che è meglio, chiede al gip di revocare il mandato di cattura per Lavitola per mancanza di gravi indizi di colpevolezza. I segugi di B., sentiti i legali di B., srotolano le lingue felpate, a pennello. Olindo Sallusti, vedovo Rosa, titola sul Giornale: “L’inchiesta su Silvio? Una bufala. Revocato l’ordine di cattura per Lavitola... Sarebbe ora di cacciare certi magistrati e mettere alla berlina certi giornalisti”. Chiocci e Di Meo: “Crolla il teorema Woodcock: Lavitola non va arrestato”. Libero: “Sberla ai pm, Lavitola non va arrestato”. Dunque non era vero niente: B. non ha mai detto a Lavitola di restarsene all’estero, non ha mai allungato 800 mila euro in nero a Gianpi e Valterino, le telefonate intercettate non sono mai avvenute. Tutto è bene quel che finisce insabbiato. Già che ci sono, i segugi di B., sentiti i legali di B., preparano l’elenco delle cose da fare per gli ispettori di Guitto Palma e Arcibaldo Miller, perché prendano meglio la mira sui pm napoletani e sull’ex pm barese Scelsi, quello che osava indagare. Nella foga di leccare il grande capo Culo Flaccido, i poveretti trascurano un piccolo dettaglio: sui mandati di cattura non decide il pm, ma il gip. E ieri che ti fa il gip? Respinge la richiesta del pm di revocare l’arresto di Lavitola. Il pm, come lo scolaretto dietro la lavagna, è costretto a chiedere un nuovo arresto. Come dice Zio Tibia, “sarebbe ora di cacciare certi magistrati e mettere alla berlina certi giornalisti”. Tipo lui, per esempio.
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