mercoledì 12 ottobre 2011

TREMONTI E SCAJOLA SILURANO IL CAIMANO



Non votano e sul Bilancio il governo va sotto Fini: mai successo. Nel Pdl guerra per bande

di Marco Palombi

A las cinco de la tarde. Silvio Berlusconi guardava nel vuoto a las cinco de la tarde nell’aula di Montecitorio. Sul tabellone si legge: 290 voti il centrodestra, 290 pure l’opposizione. La caduta è clamorosa. Muore l’articolo 1 del Rendiconto generale dello Stato, in sostanza il bilancio della macchina pubblica: entrate, uscite, patrimonio attivo e passivo, stato finanziario. Numeri, ma i numeri su cui si basa tutta la politica economica del governo, che adesso è dunque azzerata. È un secondo, un secondo solo di silenzio attonito nell’intero emiciclo, lo sguardo del Cavaliere vaga senza apparenti connessioni col momento presente, quando alla sua sinistra esplodono gli applausi. Il nostro trasale e intanto parte il coro: “Dimissioni, dimissioni”.

La rabbia e gli insulti

Il presidente del Consiglio serra le mascelle, si alza con lo scatto che l’età gli consente e s’avvia all’uscita lungo i banchi del governo scavalcando. È il caso, a quel punto, a metterci lo zampino: il suo ultimo ostacolo è l’odiato Giulio Tremonti, appena arrivato, che s’agita tentando di aggiustarsi la sedia. L’uomo del predellino non regge la vista: lo strattona non proprio gentilmente (una sorta di “levati di mezzo”), poi alza gli occhi verso i “suoi” deputati e si lascia andare a un gesto sussultorio traducibile all’ingrosso con “ma come si fa a farsi fregare così?”. La vista del capo arrabbiato è come una frustata per gli onorevoli del predellino. La rabbia raddoppia: il gruppo vocia e smania e freme e diffonde nell’aria parole irriferibili sul ministro dell’Economia. Conviene, però, tornare indietro di qualche minuto. La Camera è in seduta: si votano la nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza e, appunto, il Rendiconto generale. Il dibattito s’era trascinato noiosetto fin dal lunedì, ma alle 16:30, quando si inizia a votare, arriva la prima sorpresa: la mozione di maggioranza passa per soli due voti, 287 contro 285. Si saprà poi che è una strategia: il segretario d’aula del Pd, Roberto Giachetti, aveva chiesto a quattro deputati di nascondersi fino al voto importante, quello sul Rendiconto. A Pdl e Lega, comunque, quei due voti di vantaggio non erano piaciuti ed era partito l’allarme per recuperare gli assenti: è per questo che a Montecitorio sono costretti a precipitarsi persino Berlusconi e Bossi. Niente da fare, sul tabellone si legge: centrodestra 290 voti, opposizione pure. Articolo 1 bocciato. La disfatta è cocente, casuale e simbolica. Se il Cavaliere se n’è andato in aula a votare come un peones, infatti, il senatur s’è fermato a fare uno dei suoi soliti spettacolini in yiddish coi giornalisti e non ha fatto in tempo. Per non parlare di Giulio Tremonti, che in aula è arrivato ma non ha votato lo stesso – tanto risultava in missione – o della defezione del prode Domenico Scilipoti: ieri non è crollato tanto il bilancio dello Stato, quanto l’intero impianto simbolico del governo.

La lista nera

A frittata fatta, comunque, l’unica cosa che importava a Denis Verdini e agli altri maggiorenti del Pdl era capire se si trattava di “un tradimento o di una cazzata”. Tabulati alla mano, hanno dunque analizzato le assenze. Eccole, compresi i deputati in missione: quattro leghisti (fra cui Bossi e Maroni), 17 del Pdl (Scajola, Tremonti, Frattini, Martino e altri sparsi di tutte le correnti), 7 responsabili (gli ex Idv Scilipoti e Porfidia, il centrista Pionati, Paolo Guzzanti) e qualcuno pure nel gruppo Misto (il sudista Miccichè, l’ex finiano Andrea Ronchi). Significativo, oltre alla presenza in aula dell’opposizione, anche il voto contrario al Rendiconto di Calogero Mannino – ex ministro Dc, che ultimamente ha parlato molto con Beppe Pisanu – e Santo Versace. “Tremonti deve spiegare” , sbraitavano un po’ tutti; “sono stati gli scajoliani”, accusavano i vertici del gruppo Pdl.

La caccia ai traditori

In realtà sono proprio il capogruppo Cicchitto e i suoi vice ad essere sul banco degli imputati: “È stato un incidente, non un complotto – spiega infatti Denis Verdini – Avevamo i numeri, poi dall’aula sono usciti Bossi, Cossiga, Gianni e Testoni e siamo andati sotto. Chi s’incazza con Tremonti non guarda ai fatti”. Come che sia, per l’opposizione questo equivale ad un voto di sfiducia: “Il governo si deve dimettere per ragioni costituzionali e non politiche”, spiegava Dario Franceschini subito dopo il voto mostrando ai cronisti il parere del professor Giovanni Pitruzzella (“dopo il voto contro il rendiconto la conseguenza politica non può essere che una crisi di governo”) e l’Enciclopedia del diritto (“il voto contrario del Parlamento sul Rendiconto assumerebbe il significato di una sfiducia al governo”). Parole al vento per i berluscones, in quei minuti ancora in preda ad una rabbiosa rimozione del reale: andiamo avanti con gli altri articoli, diceva serafico Cicchitto in capigruppo. Incredulo Gianfranco Fini: “È un fatto che non ha precedenti. Riuniamo la Giunta per il Regolamento”. È toccato al sottosegretario all’Economia Alberto Giorgetti, alla fine, spiegare che l’articolo 1 sotterra l’intero Rendiconto, senza il quale non si può approvare l’assestamento di bilancio per il 2011. Risultato: ora sono i vertici del Pdl a dire che l’esecutivo dovrà chiedere di nuovo la fiducia in Parlamento, magari su un nuovo Rendiconto. Quirinale permettendo.

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