mercoledì 12 ottobre 2011

Tremonti, l’esattore suicida



di Ugo Arrigo*

È davvero curiosa la politica economica di questo Stato-cicala che consuma allegramente più risorse di quelle che ha nella bella stagione economica per poi presentare senza alcun segno di contrizione il conto ai suoi cittadini-formica quando sono afflitti dalla carestia. La doppia manovra estiva ci permette per la prima volta di veder scritto nero su bianco un risultato mai più raggiunto dai tempi di Quintino Sella: il pareggio di bilancio, la sostanziale eguaglianza, almeno per un paio d’anni, tra la spesa pubblica e le entrate pubbliche. Obiettivo nobile che si dovrebbe perseguire sempre fuorché durante e in coda a recessioni. E invece esso viene perseguito proprio in coda alla più grave recessione degli ultimi 70 anni e forse anche in testa a una nuova probabile recessione. L’obiettivo sbagliato al momento sbagliato.

CORRIAMO ALLORA il rischio che il pareggio di bilancio si riveli un evento falso e dannoso: non lo raggiungeremo e passeremo molti guai. Di essi vi sono tracce abbondanti nell’aggiornamento al Def, il Documento di Economia e Finanza 2011, che si discute in questi giorni in Parlamento, elaborato da Giulio Tre-monti e alla base della débacle di governo di ieri.

Il primo guaio è l’assenza di crescita: nei tre anni dal 2011 al 2013 l’incremento del Pil reale resta nettamente sotto l’un per cento annuo e nel quadriennio 2011-14 la crescita complessiva è prevista dal documento governativo al 3,4 per cento. Se consideriamo invece il quinquennio 2010-14 essa arriva al 4,8 per cento, meno di quanto si sia perso nel solo 2009 (allora il Pil diminuì del 5,2 per cento). In sostanza il Pil reale del 2014 non avrà ancora raggiunto il suo livello del 2008, anno che in Italia fu già di recessione, e risulterà dell’1,7 per cento inferiore al Pil del 2007, livello che potrebbe essere raggiunto con queste velocità solo nel 2016. Servono in sostanza ben nove anni per recuperare il biennio recessivo 2008-09. Il secondo guaio è che non di sola stagnazione economica si tratta bensì di recessione vera e propria. Nell’aggiornamento al DEF la crescita del 2011 è infatti indicata nello 0,7 per cento che corrisponde tuttavia all’incremento già acquisito col secondo trimestre. Nel secondo semestre 2011, anno in cui gli effetti della maxi-manovra estiva sono trascurabili, è implicitamente prevista crescita nulla. Possibile che il Pil, come sostiene il DEF, ritorni a tassi positivi nel 2012-13, biennio in cui si manifesteranno i consistenti effetti della manovra e si dovrà raggiungere il pareggio di bilancio? Davvero poco probabile; assai verosimile invece che si torni a variazioni negative compromettendo tanto la crescita quanto il pareggio: gli analisti di JP Morgan prevedono cinque trimestri consecutivi col segno meno che ci porterebbero a una riduzione del Pil dell’1,2 per cento nel 2012 dopo una crescita solo dello 0,5 per cento nel-l’anno in corso. Se avessero ragione, nel 2012 il Pil italiano sarebbe di nuovo agli stessi livelli del 2009, quasi 6 punti percentuali al di sotto del livello del 2007. Il terzo guaio deriva dal fatto che sinora abbiamo ragionato solo delle dimensioni della torta, le risorse che la collettività realizza attraverso il Pil, e non sul numero dei commensali. Se consideriamo il Pil pro capite l’analisi peggiora visto che la popolazione aumenta, seppur lievemente nel tempo. Mentre il Pil totale del 2010 in termini reali era allo stesso livello di quello del 2003, il Pil pro capite del 2010 risulta allo stesso livello di quello del 1999. In undici anni i passi in avanti compiuti sono stati interamente cancellati da equivalenti passi all’indietro. Poiché la previsione di crescita annua del Pil nell’aggiornamento al DEF è nel triennio 2011-13 dello stesso ordine di grandezza dell’incremento della popolazione negli anni recenti, se esso proseguirà invariato il Pil pro capite, pur nello scenario ‘ottimistico’ del governo, è destinato a rimanere fermo.

IL QUARTO GUAIO è l’aumento di una pressione fiscale già a livelli record. Essa è prevista in crescita dal 42,7 per cento del 2010 a quasi il 45 per cento nel biennio 2013-14, un valore che non trova riscontro in nessun altro paese industrializzato (salvo Danimarca e Svezia). Al netto del Pil sommerso, che le tasse non paga e che il Centro Studi Confindustria ha stimato lo scorso anno al 20 per cento del Pil totale, tali valori divengono ancora più preoccupanti: la pressione fiscale corretta risulta infatti crescere dal 53,4 al 56,1 per cento. Nessun Paese al mondo ha mai sperimentato livelli così elevati e nessun paese al mondo con pressione fiscale elevata la ha mai alzata di quasi tre punti di Pil in periodi di recessione o immediatamente posteriori. Con quale credibilità il governo sostiene ora che si occuperà di provvedimenti per la crescita se nel suo documento ha previsto che non vi sarà nessuna crescita?

La politica economica del paese va nella direzione opposta a quella corretta e non vi è alcuna possibilità di cambiarla se non cambiando chi la fa. Ma neppure le opposizioni hanno chiarito che farebbero se fossero al governo. Per questa ragione i differenziali di rendimento sui titoli pubblici si sono impennati. Quando le forze politiche si convinceranno a sostenere con ampio consenso parlamentare un governo con indiscussa competenza tecnica potrebbe essere tuttavia troppo tardi.

*professore di Scienza delle finanze all’Università la Bicocca di Milano

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