martedì 1 novembre 2011

APPESI ALLO SPREAD




I mercati cercano di dare il colpo di grazia all’Italia differenziale a 410 punti, rendimenti del debito oltre il 6%

di Stefano Feltri

Tocca a Pier Carlo Padoan, il capo economista dell’Ocse, tradurre in italiano il messaggio che arriva dai mercati: “Pensare che nessuno ci farà fallire perché siamo troppo grandi come italiani è un gioco troppo pericoloso e non vero”, dice ai microfoni di Radio 24. I numeri sembrano dargli ragione, in una giornata drammatica come le peggiori di agosto, quando l’Italia non aveva ancora approvato la manovra da 60 miliardi e quando la Bce non sosteneva il nostro debito comprandolo dagli investitori che da mesi se ne stanno liberando.

LO SPREAD, la differenza tra quanto rendono i titoli di Stato italiani a 10 anni e gli omologhi tedeschi, si è assestato ben al disopra il 4 per cento, arrivando nella giornata a toccare 4,10, una soglia pericolosissima. La ragione è evidente nel dato gemello, il rendimento dei Btp, cioè quanto il mercato considera giusto costi il nostro credito: si sfiora il 6,2 per cento. Per capirci: all’ultima asta di Btp, venerdì, il Tesoro ha venduto il debito a un prezzo in aumento del 15 per cento rispetto all’asta precedente. Cioè al 6,06 per cento, un tasso mai visto da quando i nostri conti pubblici sono in euro. Il mercato cosiddetto secondario, cioè quello dei titoli scambiati tra investitori privati (il mercato primario è quello delle aste, cui partecipano operatori specializzati), dice che quel tasso è ancora poco. L’Italia è un Paese a rischio e deve pagare di più. E quindi, salvo sorprese, quando il 15 novembre il Tesoro dovrà rinnovare altri 9 miliardi almeno di Btp subirà un ulteriore salasso, con tassi ancora in crescita. Si sta verificando il temuto effetto valanga: i mercati non si fidano della capacità del governo Berlusconi di rispettare le promesse di riforme, lo spread si alza, il debito diventa sempre più costoso assorbendo miliardi di euro che arriveranno da ulteriori tagli di spesa o aumenti delle tasse.

LA BORSA di Milano, ovviamente, ne risente: a fine giornata chiude in rosso del 3,82 per cento. A parte Fiat, che da giorni va male per modifiche nella struttura dell’azionariato, sono le banche ad affondare piazza Affari. Intesa Sanpaolo perde il 7,39 per cento (e non è neppure uno degli istituti che deve fare l’aumento di capitale imposto dall’Europa), il Monte Paschi sprofonda del 6,16, Unicredit perde il 5,67. Anche qui c’è un circolo perverso: le banche sono guardate con diffidenza dai mercati perché devono trovare oltre 14 miliardi per affrontare le difficoltà dei titoli pubblici in cui hanno investito. Più faticano a trovare quei soldi, più sono esposte al rischio che le cose vadano davvero male. Soprattutto se ogni giorno che passa i titoli di Stato italiani in cui hanno pesantemente investito continuano a crollare sul mercato, perdendo valore.

In queste condizioni l’Italia arriva al vertice G20 di Cannes di giovedì dove, pare, Berlusconi farà ulteriori promesse. Ma la settimana è lunga e i giorni in cui i mercati si scatenano di solito sono quelli prima del weekend.

Nessun commento: