sabato 19 novembre 2011

I nuovi ministri al primo giorno di scuola "Possiamo alzarci?"


MATTIA FELTRI

Istruzioni per l’uso: «Ci hanno spiegato che la notizia è quando siamo seduti, non quando ci alziamo». Un neoministro (consegnato al rigoroso silenzio dalle infrangibili direttive del premier Mario Monti, e terrorizzato che il suo nome esca malgrado la futilità dell’osservazione) racconta che pochi di loro sapevano di godere di alcune vaste licenze, tipo quella di alzarsi dallo scranno e andare al bagno. Allineati alle loro abitudini cattedratiche, erano convinti di essere vincolati a un obbligo di presenza almeno fintanto che la seduta era in corso. Ecco spiegato perché, soprattutto giovedì al Senato (ma qualcuno pure ieri), i ministri erano rimasti al loro posto, irremovibili anche durante i non cruciali interventi di un Ugo Grimaldi o di un Mario Pepe. Non era soltanto una presenza programmatica, come nel caso di Mario Monti, che voleva esibire un’immagine da cambio di regime. «Tutti frementi aspettavamo una sospensione», ha detto il ministro, confessando di essere arrivato al limite dell’esondazione.

Ecco, questa è un’altra di quelle notarelle di colore che hanno il compito di contribuire a renderci simpatici i signori tecnici, ancora così digiuni di faccende di casta. Tanto è vero che persino un vecchio e simpatico frequentatore di palazzi come Piero Giarda (è stato sottosegretario al Tesoro e al Bilancio fra il 1995 e il 2001 con Lamberto Dini, Romano Prodi, Massimo D’Alema e Giuliano Amato) giovedì, al Senato, faceva quello smarrito e alla buvette chiedeva quale fosse la procedura: «Prima pago e poi consumo, o prima consumo e poi pago?». Ma dottor Giarda, gli è stato detto, qui prima si consuma.

E però molto garbata è stata anche l’immagine del commesso che ieri ha mostrato al ministro del Welfare, Elsa Fornero, come funzionano i tasti per votare. Sembrava la visita della scolaresca, sebbene poi le gaffe più evidenti le abbiano commesse gli scafati fra gli scafati, come per esempio
Pierluigi Bersani che si è fiondato verso i banchi del governo per salutare alcuni ministri, e quindi dando la schiena all’aula: peccato mortale, per l’etichetta parlamentare. Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha dovuto riprendere il segretario del Pd mentre ha finto di non vedere il medesimo peccato quando lo ha commesso Silvio Berlusconi, il quale si è poi intrattenuto a scambiare qualche impressione col neopremier, e mentre uno dei tanti onorevoli iscritti a parlare lo faceva al vento.

Ci si abituerà a tutto. Nel giro di poche settimane questi ufo dell’arena politica impareranno a menadito quali sono gli andazzi, che cosa è consentito e che cosa no e soprattutto a chi (Monti, per dirne una, si è infine arreso e ha consegnato alla
Daniela Melchiorre la palma di prima parlamentare di cui ha platealmente ignorato le parole). Non si trasecolerà più, non quanto i ministri hanno trasecolato ieri mentre Bersani svolgeva la sua dichiarazione di voto a decibel mai registrati nelle sessioni accademiche; «conosciamo la colla dei manifesti», ha detto Bersani ai leghisti aggiungendo un altro grano alla collana che comprende chicche come «saremo mica qui a schiacciare i punti neri alle coccinelle?». Quando il leader democratico ha concluso il suo intervento gettando platealmente i fogli sul leggìo, come un consumato (molto consumato) teatrante, al governo sono rimasti tutti con la bocca aperta, per poi approdare al sorriso. Sì, madamine, il catalogo è questo. E a dir la verità non hanno ancora visto nulla se il massimo dell’eversione è stato il lutto al braccio indossato da Domenico Scilipoti, uno chi ieri non è riuscito nemmeno a celebrarsi un funerale decente.

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