venerdì 11 novembre 2011

LA PRIMA DI MONTI “BASTA PRIVILEGI”


Al Colle per i dettagli della squadra di governo Ma B. prova il colpo di coda: “Vediamo se ci stiamo”

di Paola Zanca

Le valigie sono pronte. Ma Mario Monti, di ritorno da un convegno a Berlino, non è nemmeno passato da casa a prenderle. “Gliele porto io”, dice la moglie, anche lei in partenza da Milano. I minuti sono contati, il presidente della Repubblica ha bisogno di vederlo in fretta, non c'è tempo da perdere: sabato il voto della legge di Stabilità e le dimissioni del premier, domenica mattina un rapido giro di consultazioni, la sera il giuramento del nuovo governo, pronto a presentarsi lunedì mattina all'apertura dei mercati. L'investitura ufficiale, in verità , non c'è ancora stata: ieri Monti è salito al Colle solo per ringraziare il Capo dello Stato della nomina a senatore a vita. Ma basta guardare la durata del colloquio per smontare in un attimo la versione ufficiale: due ore, un tempo infinito per la tabella di marcia frenetica. Li ha battuti solo il presidente del Consiglio dimissionario, il terzo incomodo: a colloquio con i suoi, ieri, Berlusconi è rimasto per quattro ore di fila.

La febbre e le coliche

Le discussioni, come ovvio, hanno due toni decisamente diversi. I primi due pensano alle “tante cose da fare” a cominciare dalla “cancellazione dei privilegi - così dice Monti - e delle rendite di fatto di tutte le categorie della società”. L'altro, il terzo incomodo, briga con mezzo partito, spaccato a metà tra chi vuole andare a votare e chi partecipare al governo Monti. E a sera – con la “febbre alta”, una “piccola colica” notturna e i fischi presi fuori dal Senato – il suo sostegno “ineludibile” al professore, è diventato un generico “vediamo” a chi gli chiedeva del futuro delle larghe intese. Tutto a questo punto si gioca sui nomi. Non solo perché la composizione del governo dirà se il nuovo esecutivo è davvero di emergenza o è un inciucio di rango istituzionale, ma anche perché è sui nomi che Berlusconi e i suoi valuteranno il da farsi.

Zio Gianni (e pure Enrico)

In Transatlantico lo chiamano già “il governo della famiglia Letta”. Gianni, lo zio, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio uscente che il premier vuole assolutamente lasciare a palazzo Chigi. Enrico, il nipote, il vicesegretario del Pd disposto ad andare in pasto al governo del presidente. Pronto a fare il ministro del governo Monti? Mentre sale le scale della Camera dei Deputati, il nipote allarga le braccia e sorride, come se anche questa fosse una scelta “ineludibile”. Poi chiarisce: “Tutto è possibile in queste ore. Ma è più probabile un governo di soli tecnici”. È la linea ufficiale del Pd, l'unica in grado di disinnescare le mine che Berlusconi sta mettendo sul cammino delle larghe intese. Come si fa a giurare fedeltà alla Repubblica a fianco di Altero Matteoli o di Ignazio La Russa, di Franco Frattini e perfino del ministro della Giustizia Nitto Palma?

L’album del giuramento

I democratici considerano la domanda “prematura”, ma i primi a fargliela sono gli (ex?) alleati dell'Italia dei Valori. Il portavoce del partito di Di Pietro Leoluca Orlando ha gli occhi fuori dalle orbite quando immagina la fotografia che potrebbe vedere sui giornali lunedì. “Dobbiamo tenere duro: ora ci attaccano, ci danno degli irresponsabili, poi si scoprirà che avevamo ragione”. Nel Pd sperano di uscire dall'impasse, sperano che Napolitano e Monti alla fine si decidano a fare a meno dei politici. O almeno di non volerli tra i ministri e di lasciarli solo sottosegretari. Ci sono tante personalità, da Giuliano Amato allo stesso Monti (che potrebbe tenere l'interim all'Economia) da Renato Siniscalco a Umberto Veronesi, che potrebbero gestire le delicate questioni di governo. Per questo, quando si sparge la voce che al posto di Nitto Palma a occuparsi di giustizia (e di conseguenza dei guai del premier) potrebbe andare la capogruppo al Senato Anna Finocchiaro, dal Pd reagiscono così: “Non esiste!”, anche se ammettono che “trovare un tecnico che si occupi di quel ministero sarà una delle cose più difficili”.

Il governo Goldman Sachs

La Lega resta “fuori per controllare meglio”, dice Umberto Bossi, e “contratterà volta per volta” le misure con il nuovo governo. Loro lo considerano un commissariamento da parte di “un’oligarchia di banchieri e finanzieri”, una “banda bassotti”. Difficile liquidarla come una sparata leghista anche per chi nel governo ci sarà: se a governarci saranno “Mario Monti, i due Letta e Mario Draghi da Bruxelles - confessa qualche centrista - l’Italia rischia di diventare una filiale di Goldman Sachs”.

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