lunedì 21 novembre 2011

La spartizione è appena cominciata


COMMISSIONI, RAI, COPASIR, TUTTO SI NEGOZIA

di Paola Zanca

La bomba è pronta. Scoppierà a marzo, quando scade il consiglio di amministrazione della Rai e la direzione generale; quando dovranno essere rieletti i commissari dell’Agcom e quelli del Garante per la privacy.

Una ventina di poltrone che ne terremoteranno molte di più. Dirigenti e direttori, consulenze e incarichi: e a decidere “chi va dove” sarà il Parlamento delle larghe intese. Inutile domandarsi quale sarà il criterio di spartizione: uno a me, uno a te, un altro al Terzo Polo. In mezzo c’è l’incomodo, che ha già cominciato a battere i piedi. È l’opposizione, nella persona della Lega Nord.

Se infatti i 7 membri del Cda Rai e il successore di Lorenza Lei, gli 8 commissari dell’autorità garante per le comunicazioni e l’erede di Corrado Calabrò, i quattro garanti dei dati personali con l’aggiunta del sostituto di Francesco Pizzetti resteranno in carica fino a primavera, c’è una poltrona che dovrebbe liberarsi subito, quella del Copasir.

IL COMITATO parlamentare per la sicurezza della Repubblica è composto da dieci parlamentari e controlla i servizi segreti. Visto il compito delicato, la norma dice che deve essere presieduto da un esponente della minoranza parlamentare e che al suo interno deve essere garantita “la rappresentanza paritaria della maggioranza e delle opposizioni”. Ora a guidarlo c’è Massimo D’Alema (Pd). Ha rimesso il suo mandato ai presidenti di Camera e Senato perché possano valutare “l’anomalia” del momento. Ma alla Lega “le buffonate” non piacciono: quel posto è loro, D’Alema se ne vada. Dalle parti di via Bellerio sono nervosi. Non hanno preso bene le dichiarazioni del leader Pd che ieri ha detto: “Mi pare che il primo obiettivo della lotta della Lega siano le poltrone, non so quale sarà il secondo”. Loro sono furibondi e avvertono: “Se non ci danno quello che ci spetta ci mettiamo a fare i cattivi su tutto”. Cioè la commissione di Vigilanza Rai, le 14 commissioni permanenti di Camera e Senato, le giunte, le commissioni speciali e d’inchiesta.

La Lega (in qualità di partito della ex-maggioranza) ne presiede 5: la commissione Bilancio, la Esteri e quelle sulle Attività produttive, i Lavori pubblici e le Politiche comunitarie. Considerando la mole di lavoro che le aspetta, non sarebbe così complicato rallentare i lavori del governo Monti.

PER QUESTO nel Pd devono fare i conti con due istinti contrapposti: da un lato evitare di concedere alla Lega di “crogiolarsi nel ruolo dell’opposizione”, perché quella che sostiene il nuovo esecutivo “non è una maggioranza politica”. Dall’altro sperare che D’Alema non sia “così sprovveduto da non considerare le conseguenze che comporterebbe tenersi quella poltrona”. Ancora una volta il mediatore potrebbe farlo il Terzo polo: se Fini, da presidente della Camera, sarà uno degli incaricati di valutare l’affare-Copasir, Casini potrebbe essere la persona giusta per favorire lo “scambio” tra la poltrona di D’Alema e quella della commissione Esteri, ora nelle mani del leghista Stefani. Pare che la trattativa sia a buon punto, anche se ovviamente i leghisti sbraitano appena gliela nomini. “Noi lasciare la commissione Esteri? E poi che altro vogliono? Ok, lo facciamo, ma solo dopo che Fini se ne va dalla presidenza della Camera”. Ricordano che loro si sono “dovuti sorbire” Giulia Bongiorno in commissione Giustizia (in verità, contro la deputata finiana, hanno tuonato giorno sì e giorno no).

Tra i leghisti non c’è accordo su come gestire la partita. Né tantomeno sui nomi. La parte vicina a Umberto Bossi fa il nome di Roberto Maroni: l’ex ministro dell’Interno è il più adatto a quel ruolo. Ma i parlamentari vicini a “Bobo” sanno che finire al Copasir significherebbe arginare la sua ascesa politica e tenersi Reguzzoni come capogruppo (in teoria “scade” a Natale). Candidare il braccio destro di Bossi al posto di D’Alema, invece, sarebbe un modo per farlo uscire di scena senza drammi e far cominciare il cammino da leader a Maroni . Ma sono ipotesi che non fanno i conti con una certezza, che pare assodata, sia tra i maroniani che nel cerchio magico: “D’Alema non se ne andrà mai, dovremo rivolgerci al Capo dello Stato”.

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