venerdì 4 novembre 2011

Noi stiamo col Cainano


di Marco Travaglio

Per carità, va bene tutto. Ma quando pure la Bertolini, Paniz e Stracquadanio si schierano contro il Cainano, il nostro antiberlusconismo è messo a dura prova. Un conto era sganciarsi un anno e mezzo fa, quando Fini e i suoi rifiutarono di votare la legge bavaglio e il processo breve, criticarono la revoca della protezione a Spatuzza e furono sbattuti fuori dal Pdl per “manifesta incompatibilità con i valori fondanti del partito”, cioè per eccesso pur tardivo di legalità. Allora sganciarsi costava ancora parecchia fatica e un pizzico di coraggio: si pagava il pedaggio di quello che Squaquadanioquaquà definì con Luca Telese “il trattamento Boffo”, puntualmente abbattutosi sul groppone di Fini, Granata e Bocchino (peraltro bravissimo a farsi male da solo).

Ora è troppo comodo mordere la mano che ti ha nutrito per vent’anni. Comodo e un tantino indecente. Perché è vero che solo i fessi non cambiano idea, ma dipende dai tempi. Se uno la cambia quando non gli conviene, si può pure credere al suo tormento interiore. Se la cambia sempre e solo quando gli conviene, non è resipiscenza: è paraculaggine.

A leggere le liste degli scontenti, malpancisti e indisponibili last minute, vengono in mente quelli che qualcuno, forse Giorgio Bocca, chiama i “partigiani di città”: che se ne stettero al calduccio in pantofole nelle loro belle case fino al mattino del 25 aprile 1945, quando, avuta certezza della Liberazione, scesero in strada a manifestare belli freschi, profumati e pettinati, i vestiti puliti e ben piegati, un passo avanti ai partigiani di campagna appena scesi a valle con gli stivali infangati, le camicie sudate, le giacche strappate da due anni di guerra.

Per questo, nell’ora che volge al desio, il pensiero corre commosso al povero nano che mantiene da vent’anni gente indegna di tutto, persino di lui.

Squaquadanioquaquà era il portaborse della Maiolo, dicesi la Maiolo: diventò una star tv, chiamato a recitare la parte del più berlusconiano di B. Lo imitava perfino nel parrucchino, teorizzò financo la prostituzione come scorciatoia per il Parlamento. E ora partecipa alle congiure notturne contro il suo spirito guida? Ma dai, su, un po’ di pudore.

Paniz è un simpatico signore bellunese che si crede un eroe risorgimentale per via dei favoriti, i mustacchi e l’eloquio forbito: ma santo Dio, fino all’altro giorno passava le giornate a concionare alla Camera, in tv e al telefono con Lavitola su Ruby nipote di Mubarak e sull’imprescindibilità della prescrizione breve per i destini della Nazione, e ora viene improvvisamente roso dal tarlo del dubbio che B. “confonda gli interessi pubblici con quelli privati”? Ma dai, su, un po’ di dignità.

La Bertolini fu eletta da Gian Antonio Stella record-woman delle esternazioni pro-Cainano: ne sfornava 7-8 al giorno e qualcuna anche la notte, l’Ansa aveva un telefonista solo per lei. Quando la Procura della Federcalcio chiese di penalizzare anche il Milan per Calciopoli, lei scoprì un’insospettata passione pallonara per fucilare pure le toghe rosse sportive: “La richiesta profondamente ingiusta e lontana anni luce dalla realtà non è che la diramazione sportiva del rito ambrosiano che ha firmato l’incivile accanimento giudiziario-politico che da anni colpisce in modo barbaro Berlusconi”. Nota esperta anche di strategie militari, il 9 aprile 2003, due settimane dopo l’attacco all’Iraq, dichiarò finita la guerra con 7 anni e 650 mila morti d’anticipo: “Le immagini tv della popolazione irachena in festa annichiliscono le sinistre italiane sfatando tutte le loro previsioni disfattiste in una guerra lunga e sanguinosa”. E quando Prodi battè di misura B. nel 2006, lei continuò a ripetere che aveva vinto B.: “Più del 50% dei cittadini ha scelto la Cdl e Berlusconi presidente”. Come Alì il Chimico, che dava Saddam vittorioso anche dopo la fuga. Ora anche lei è in fuga verso un governo Letta o chicchessia, purché le garantiscano la rielezione.

Che si sappia: noi stiamo col Cainano.

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