giovedì 29 dicembre 2011

Dagli affreschi alla scrivania: così cambia il rito politico




LA CONFERENZA STAMPA DI FINE ANNO DI MONTI NELLA NUOVA SALA DI PALAZZO CHIGI: E LO SHOW DIVENTA SPETTACOLO DRAMMATICO
di Luca Telese

Prima di tutto i dati di fatto. Quella di oggi sarà la prima conferenza stampa di fine anno del Presidente del Consiglio, dal 2008, in cui il presidente del Consiglio non è Silvio Berlusconi. E già questa è una buona notizia.
   Ma quando stamattina a mezzogiorno Mario Monti inizierà a parlare in diretta tv e radiofonica di Rai, Mediaset e La7, gli italiani, anche al primo colpo d’occhio, saranno comunque colti da un brivido di inquietudine. Perché l’austera scenografia della sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio presso la Galleria Colonna la conoscono già. È’ in via santa Maria in via, a pochi metri da palazzo Chigi, ed è la stessa sala stampa dove fu presentato il “Decreto salva Italia” – quello dei tagli e delle tasse – al termine del Consiglio dei ministri che ha approvato la manovra anti-crisi. Ed è la stessa sala che in questo breve lasso di vita del governo tecnico ha battezzato il ministero mediatico e lacrimale di Elsa Fornero, all’annuncio dei tagli sulle pensioni, con il blocco della rivalutazione biennale e l’innalzamento dell’età pensionabile con il passaggio al contributivo. Come impone il rito politica spettacolo, dunque (anche quando è uno spettacolo drammatico è pur sempre spettacolo), la severa scrivania rettorile, con le sue tinte forti e scure, e le sue sfumature di marrone da tribunale gesuitico, si sostituisce definitivamente agli affreschi neorinascimentali, ai colonnati , agli ori bizantini e i cieli azzurrini del culto berlusconiano. Ogni tempo ha la sua lingua.
   È, dunque, una scelta di discontinuità non casuale quella di Monti e del suo staff. Un modo visivamente intuitivo per voltare pagina. Negli ultimi diciassette anni di governo, infatti sia Romano Prodi che il leader del Pdl avevano alternato – per il loro rendiconto – lo splendido scenario di Villa Madama e il complesso monumentale di San Michele a Ripa: il chiostro sobrio del refettorio trasteverino, o il clima incantato del gioiello delle residenze diplomatiche.
Proprio lì, un anno fa, rispondendo a una domanda ficcante posta da un collega di una agenzia (“Cosa pensa della politica internazionale?”) Berlusconi cesellò (di sicuro senza averne consapevolezza), ma senza dubbio attraversato da promozione profetica, il proprio epitaffio politico, componendo questo leggendario affresco geopolitico e antropologico: “Ho portato in dote all’Italia la mia diplomazia privata. E posso vantare di avere tre grandi amici personali fra i capi di stato del mediterraneo: Mubarak, Gheddafi e Ben Alì!”.
Micidiale. In meno di sei mesi due dei citati erano deposti, uno ammalato cronico l’altro latitante. In altri due mesi il terzo veniva brutalmente assassinato dopo quarant’anni di governo ininterrotto . Prima della fine dell’anno, per fortuna in modo incruento, e come per obbedire a una invisibile legge di simmetria – simul stabunt simul cadent - si era dovuto dimettere anche lui. Da una lato le rivolte popolari in piazza, dall’altro le sconfitte amministrative e referendarie (e il colpo di grazia delle spread).
Questo per dire quanto erano importanti quelle parole scandite davanti a una platea di spettatori italiani catodica e planetaria.
Per anni Berlusconi aveva cercato di ritualizzare e modellare a propria immagine e somiglianza, anche iconograficamente, questa cerimonia: nel tentativo quasi palese di metterla in competizione ideale con il sermone di fine anno del presidente della Repubblica.
Aveva costruito un logo ovale che prima non esisteva, contornato con le stelle della repubblica ma non la ruota dentata, forse troppo laburista (quella di cui Francesco Cossiga diceva: “Sembra il simbolo della Ddr!”).
Il Cavaliere aveva disposto l’apparato delle bandiere in modo gemello con l’addobbo quirinalizio. E poi – avendo sempre in testa dei format televisivi - aveva tentato di trasformare il botta e risposta in uno show. Un talk show monologante, ma pur sempre un talk show.
Nel 2008 aveva parlato per cinquanta minuti, annunciando una riforma della giustizia epocale di cui – per fortuna – non c’è traccia nei codici (leggi ad personam a parte). Forse anche per questo Monti parlerà in introduzione per 10-15 minuti al massimo, poi inizieranno le domande. Dipenderà dalla sinteticità dei primi botta e risposta il numero delle richieste che sarà soddisfatto nei circa novanta minuti messi a disposizione della stampa da palazzo Chigi, da inizio a chiusura dell’evento. Una nuova lingua, senza dubbio: molto sobria, sicuramente, a tratti feroce, ma del tutto diversa. L’anno scorso Berlusconi aveva sforato di un’ora il tempo prefissato. Il limite rigoroso annunciato da Palazzo Chigi è confortante. Se non altro in questo campo i tagli agli sprechi diventano realtà producendo effetti positivi.

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