giovedì 22 dicembre 2011

Le generazioni prive di difesa



La riforma delle pensioni è stata presentata dal ministro Fornero come primo passo verso un cambiamento del «ciclo di vita» di tutti noi italiani. Dietro questa espressione un po' oscura sta una proposta molto ambiziosa che potrebbe rivoluzionare - se tradotta in pratica - il modello economico e sociale del nostro Paese, rendendolo più dinamico, equo e sostenibile.
La nostra esistenza è scandita, si sa, da una sequenza di fasi temporali in cui ciò che avviene «prima» (poniamo, durante l'infanzia o l'adolescenza) tende a influenzare ciò che accade «dopo»: a scuola, nel lavoro e così via fino al pensionamento. Per fortuna disponiamo di ampi margini di libertà (e dunque responsabilità) per le nostre scelte. Ma un ruolo importante è giocato da quelle politiche dello Stato che ci accompagnano «dalla culla alla tomba», per dirla con Beveridge (il padre fondatore del welfare britannico).
In Italia queste politiche funzionano malissimo. Invece di sostenere il ciclo di vita a partire dall'infanzia, con un occhio di riguardo per i più deboli, il welfare ha finora privilegiato la fase della vecchiaia, per giunta con eccessivo riguardo per i più forti. I bambini che crescono in condizioni di povertà sono il 25% (19% in media Ue) e per loro lo Stato è pressoché assente. L'ingresso nel mercato del lavoro è un calvario, quasi privo di accompagnamenti che non siano quelli familiari e clientelari. Quando si esce dalla casa dei genitori, quando arrivano i figli, quando si cerca di conciliare famiglia e lavoro bisogna fare salti mortali: i servizi non ci sono. Durante la fase adulta solo la metà dei lavoratori italiani gode di prestazioni paragonabili a quelle degli altri Paesi Ue, gli altri si devono arrangiare come possono. Questa situazione penalizza in modo particolare le donne. Il deficit di occupati che ci distanzia da Paesi come Francia o Gran Bretagna è in gran parte dovuto alla scarsa partecipazione lavorativa femminile.
La grande sfida dell'Italia di oggi è la crescita, lo sentiamo ripetere ogni giorno. Nel medio periodo le forze su cui possiamo contare sono soprattutto quei diciassette milioni di (potenziali) lavoratori fra i 18 e i 40 anni, i quali stanno attraversando la cosiddetta prime age , l'età più produttiva. E subito dietro vi sono i dieci milioni di minori che diventeranno i lavoratori di domani. Naturalmente, anche gli ultraquarantenni stanno dando e continueranno a dare il loro prezioso contributo, auspicabilmente fino ai nuovi limiti d'età introdotti dalla riforma Fornero. Ma è sui primi due gruppi (sulle loro competenze, sul loro dinamismo) che oggi dobbiamo puntare se desideriamo una crescita «buona» e duratura. Una parte delle risorse liberate dalla riforma delle pensioni deve essere utilizzata per sostenere i percorsi di formazione, di inserimento lavorativo, di realizzazione personale e familiare delle generazioni più giovani.
I leader sindacali non sembrano aver colto il potenziale di innovazione insito nell'approccio Fornero. Ciò stride non solo con le acquisizioni di un dibattito intellettuale che dura da almeno un decennio, ma anche con i documenti che circolano (lodevolmente) negli stessi ambienti del sindacato. Welfare e crescita possono intrecciarsi in modo virtuoso solo tramite il lavoro: quello degli uomini e quello delle donne. Se i sindacati ne sono consapevoli, devono trovare il coraggio di appoggiare seriamente e finalmente il cambiamento.
Maurizio Ferrera22 dicembre 2011 

2 commenti:

chicchina ha detto...

Passo per lasciarti un saluto e gli auguri di giorni sereni,anche oltre il Natale.
Da te trovoo il meglio di notizie e commenti,ma è un periodo che proprio,vorrei dire:non vedo non sento,non parlo.
Ciao Luigi

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Grazie, buon Natale e buon anno.
Recita l'adagio:"Se non c'è niente da fare che ti preoccupi a fare, se c'è da fare che ti preoccupi a fare"!