di Andrea Camilleri
Pubblichiamo
la prefazione di Andrea Camilleri all’ultimo libro di Gian Carlo Caselli,
“Assalto alla giustizia”. Nel libro, uscito da alcuni giorni, il Procuratore
Capo di Torino riflette sul rapporto tra la società italiana e la legalità. Al
centro c’è il ventennio di Berlusconi, con le sue cento norme ad personam e gli
insulti alla magistratura. Ma per Caselli il problema di questo difficile
rapporto non è nato con il Cavaliere. E non si esaurirà con la sua uscita di
scena.
Per quanto mi ci metta d’impegno, non riesco
nemmeno lontanamente a immaginare la faccia che farebbero i grandi filosofi che
nel corso dei secoli hanno discettato, discusso, litigato, sul grande tema
della Giustizia, su cosa sia e su come si applichi, nel confrontare le loro
convinte, sofferte affermazioni con quelle proclamate oggi, in Italia, dai
banchi del Governo e del Parlamento, col pronto supporto di ben stipendiati
pennivendoli e volenterosi azzeccagarbugli. Scriveva per esempio Aristotele:
“Poiché il trasgressore della legge è ingiusto mentre chi si conforma alla
legge è giusto, è evidente che tutto ciò che è conforme alla legge è in qualche
modo giusto, infatti le cose stabilite dal potere legislativo sono conformi
alla legge e diciamo che ciascuna di esse è giusta”. Non poteva neanche
lontanamente sospettare, mentre scriveva quelle parole, che sarebbe ahimé
venuto un giorno nel quale sarebbe stato concesso a un abituale, sistematico,
trasgressore della legge il potere di far emanare leggi del tutto ingiuste e
perciò conformi non a un’idea assoluta di Legge ma a una riduzione, a un
declassamento della legge ad uso e consumo personale.
E CHE DIRE DI HUME per il quale il fine e
l’utilità della Giustizia consistevano soprattutto nel “procurare la felicità e
la sicurezza di tutti conservando l’ordine sociale?”. Non avrebbe creduto ai
suoi occhi vedendo che da noi, nel nostro Parlamento, nel nostro Senato, si
cerca quotidianamente di stravolgere la Giustizia per procurare felicità e
sicurezza a un uomo solo senza preoccuparsi di mettere a repentaglio se non
l’intero ordine sociale per lo meno il normale svolgimento della Giustizia per
tutti gli altri cittadini. In ogni nazione progredita è del tutto pacifica
l’affermazione che la Giustizia sia “il primo requisito delle istituzioni sociali,
così come la verità lo è dei sistemi di pensiero”. In Italia, dall’avvento al
potere di Berlusconi, si è tentato in tutti i modi di limitarne le funzioni o
addirittura di disconoscerne il valore di primo requisito. Mai, nei 150 anni
della nostra Storia, c’era stata una così violenta, distruttiva, totalizzante,
vera e propria guerra alla Giustizia mossa su molteplici fronti e adoperando
tutti i mezzi leciti e soprattutto illeciti, dalle frecciate quotidiane della
calunnia , del dileggio, dello scherno, alle mine antiuomo delle
dissennate proposte di leggi tendenti sostanzialmente all’assoggettamento della
Giustizia alla politica, o meglio, all’interesse politico di una sola persona.
Aver permesso a Berlusconi, imprenditore e concessionario dello Stato, di far
politica quando non avrebbe per legge potuto ha creato la gigantesca anomalia
del mai risolto conflitto d’interesse. Il che gli ha permesso di tornare ad
arricchirsi, a riprendersi dallo stato estremamente critico in cui la sua
azienda si era venuta a trovare prima della sua “discesa in campo”, avvenuta,
son parole sue, per allontanare dal-l’Italia il pericolo comunista.
Essendo tra l’altro, al momento attuale, anche
plurimputato in diversi procedimenti che spaziano dalla corruzione in atti pubblici
alla corruzione di minorenne, ha tentato, in parte riuscendoci, di far decadere
alcuni processi con leggi ad personam votate da un Parlamento del quale fanno
parte, oltre a ex impiegati e funzionari delle sue aziende, anche gli
innumerevoli suoi avvocati difensori che quelle leggi ispirano. Si è venuta
così a creare una seconda nuova, gigantesca anomalia tutta italiana: che un
plurimputato si proponga di fare una riforma della Giustizia! Il tutto mentre i
suoi processi sono in corso. Così da poterli vanificare con una qualche leggina
retroattiva. Sarebbe come se ai vecchi tempi il gangster Al Capone,
divenuto inaspettatamente presidente degli Usa, saputo che correva il rischio
di andare a finire in galera per tasse evase, si fosse ripromesso di fare la
riforma del sistema fiscale statunitense. Di questo doloroso, e
pericolosissimo, e infame scempio della Giustizia parla con rigore e passione,
con lucidità e intelligenza, Gian Carlo Caselli in questo suo importante volume
che efficacemente s’intitola Assalto alla giustizia. Il volume si compone
di nove capitoli che spaziano dalla continua ricerca d’impunità da parte del
potere, ai tentativi di una cosiddetta riforma della Giustizia (processo breve,
processo lungo, tempi di prescrizione, ecc.), dalle strategie di
delegittimazione della Magistratura a quelle volte a minarne l’indipendenza e
via via fino alle posizioni, certamente non così ferme come avrebbero dovuto
essere, assunte dai partiti che compongono lo schieramento di centrosinistra.
Indipendente e limpido come magistrato, Caselli lo è anche come autore, non ha
occhio di riguardo per nessuno, non fa sconti, la posta in gioco è troppo alta
per concedere spazio a esitazioni e cedimenti. Uno dei meriti, tra i tanti, di
questo libro è la sua lampante chiarezza. Caselli scrive per farsi capire
dal lettore comune, le sue argomentazioni, i suoi rilievi, i suoi propositi,
sono sempre espressi in modo diretto, lineare, sicché le sue parole possono
essere comprese appieno anche da chi non è del mestiere.
INFATTI QUESTI scritti non sono dovuti a un
giornalista, ma a un uomo di Legge che si è sempre trovato in primissima linea
a combattere terrorismo e mafia, e si è in ogni occasione dimostrato un ottimo
e coraggioso capitano di lungo corso, facendo sempre approdare le sue indagini
dove si erano proposte d’arrivare, senza che si disperdessero in mare,
andassero sugli scogli, o, peggio, gettassero l’ancora nel porto delle nebbie.
Dalle pagine di questo libro emerge in tutta evidenza un impegno così vibrante e
appassionato che quasi trascende l’oggetto stesso del contendere per assurgere
a una sorta di manuale di comportamento civile. Sarò ancora più chiaro. Questo
libro è sì una difesa della Magistratura e della Giustizia, ma non scade mai,
in nessun momento, nel pro domo mea. Caselli soprattutto reagisce in nome della
sua dignità d’uomo e di magistrato, e di tutti quelli che come lui, pur non
avendolo mai né voluto né desiderato, si trovano oggi a dover difendere la
traballante diligenza della Giustizia dall’assalto dei fuori legge.
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