lunedì 19 dicembre 2011

Merito e selezione per salvarci tutti




Da parecchi anni, oramai, insisto sulla distinzione tra democrazia protettiva o difensiva, che protegge la libertà dei cittadini e che è irrinunciabile, e democrazia distributiva, che dovrebbe distribuire ai cittadini i benefici della democrazia, e che invece funziona sempre meno e sempre peggio. Non mi è ancora capitato di sentirmi citare oppure contestare da qualcuno su questa distinzione. Eppure senza la democrazia protettiva noi ridiventiamo sudditi, non più cittadini. Il cittadino è quasi sparito dopo la fine del mondo greco-romano, salvo qualche eccezione. Era tanto sparito che del termine civis, cittadino e polites si era pressoché perduta la memoria. Riappare solo con le rivoluzioni settecentesche. Con fatica. Ricordo che in Germania il vocabolo polites ricompare a casaccio per denotare più che altro la polizia.
Ci sono poi i partiti. Nel 1921 James Bryce asseriva che i «partiti sono inevitabili... Nessuno ha dimostrato come il governo rappresentativo possa operare senza». Per più di un secolo questa è stata la comune dottrina. L'idea era che i partiti dovessero aggregare le opinioni dell'elettorato per poi trasmetterle al governo, che a sua volta le avrebbe recepite e, nella misura del possibile, ne avrebbe soddisfatte le richieste.
Ma non è andata così. Tanto per cominciare, l'elezione doveva anche essere una selezione, una selezione dei migliori. Anche a lume di buonsenso, che senso avrebbe una selezione dei peggiori? Tanto vero che per tutto il Medioevo il principio di scelta è stato espresso dalla formula della melior et sanior pars. Fin quando la sciaguratissima rivoluzione studentesca degli anni Sessanta inalberò la bandiera dell'anti-elitismo: abbasso le élites, evviva chi le abbatte.
Confesso di non avere mai capito se gli anti-elitisti erano in verità degli scalatori con la voglia di far presto. Certo è che gli anti-elitisti di allora sono oggi ben sistemati in posti di potere e di comando. Erano, negli anni Sessanta, soltanto dei furbacchioni in mala fede? Resta il fatto che svalutando la meritocrazia otteniamo soltanto la immeritocrazia, che svalutando la selezione otteniamo soltanto la disselezione, e che attaccando il merito otteniamo soltanto il demerito e con esso il governo dei peggiori.
Che l'Italia sia un Paese profondamente corrotto è noto. Ma scoprire che si trova nella graduatoria di Transparency International al sessantanovesimo posto (per corruzione) lascia allibito anche me. Certo, non abbiamo un passato glorioso. La mafia, l'onorata società, sboccia in Sicilia, per poi risalire per tutta la penisola e diffondersi al tempo stesso negli Stati Uniti. Abbiamo anche un passato assai più lungo. In un bellissimo libro, L'Italia e i suoi invasori, Girolamo Arnaldi racconta che nessun popolo è mai stato invaso quanto il nostro. A quei tempi i barbari ammazzavano. Noi l'abbiamo quasi sempre scampata, come se fossimo dotati del genio della sopravvivenza. O Spagna o Francia, purché se magna. Siamo, allora, di vecchissimo mestiere. Se vogliamo capire come è nato e nasce tanto odierno marciume forse conviene ripartire da qui. Quanto all'oggi, il governo tecnico di Monti è l'unica chance di salvezza che ci resta.
Giovanni Sartori
19 dicembre 2011 

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