La cronaca innanzitutto. Oggi a Vigonza, uno di quei paesi che
hanno fatto le fortune del Nord Est, si terranno i funerali di Giuseppe Schiavon, il titolare della
Eurostrade che pochi giorni fa, a 59 anni, ha messo volontariamente fine alla
sua vita. Sembrerà un paradosso ma Schiavon è stato strangolato dai crediti. Le
pubbliche amministrazioni gli devono 250 mila euro per lavori che la ditta ha
portato a termine ma non sono stati mai pagati. Lo Stato, gli enti locali, le
Asl ormai liquidano i fornitori a mesi e mesi di distanza. Ci sono casi-limite
di pagamenti non ancora effettuati dopo un anno e la media si aggira attorno ai
180 giorni, il doppio rispetto a quanto stabilito dai termini contrattuali. In
queste condizioni, e con la recessione che dimezza la domanda, i piccoli
imprenditori vanno sott'acqua.
Nell'ultimo mese, soltanto nel Veneto, si sono verificati altri due suicidi e le statistiche, impietose, parlano di 50 imprenditori che si sono tolti la vita nel solo Nord Est da quando, nel 2008, abbiamo importato dall'America la Grande Crisi. Dietro le scelte drammatiche di questi uomini e donne non c'è un'antropologia negativa, un cupio dissolvi ma, caso mai, un eccesso di etica. Dover licenziare i propri collaboratori, chiudere e/o fallire è considerato una vergogna nella cultura delle laboriose comunità del Nord Est, un venir meno alla responsabilità sociale dell'imprenditore.
Nell'ultimo mese, soltanto nel Veneto, si sono verificati altri due suicidi e le statistiche, impietose, parlano di 50 imprenditori che si sono tolti la vita nel solo Nord Est da quando, nel 2008, abbiamo importato dall'America la Grande Crisi. Dietro le scelte drammatiche di questi uomini e donne non c'è un'antropologia negativa, un cupio dissolvi ma, caso mai, un eccesso di etica. Dover licenziare i propri collaboratori, chiudere e/o fallire è considerato una vergogna nella cultura delle laboriose comunità del Nord Est, un venir meno alla responsabilità sociale dell'imprenditore.
La scomparsa di Schiavon ha avuto una forte eco e ieri il Corriere del Veneto ha ospitato in
prima pagina l'appello rivolto al presidente del Consiglio Mario Monti dai leader delle associazioni industriali,
dell'artigianato, del commercio e delle professioni. I Tomat, gli Sbalchiero, gli Zanon, i Bortolussi. «Faccia presto,
Presidente - hanno scritto -. Le imprese hanno bisogno di ricevere
tempestivamente quanto dovuto». Non sfugge a nessuno che le aziende creditrici
sono quelle più deboli, tagliate fuori dai flussi dell'export e concentrate
esclusivamente sul mercato interno. È vero che lo Statuto delle imprese,
diventato legge ai primi di novembre, obbliga il governo a recepire in anticipo
la direttiva di Bruxelles sui pagamenti ai fornitori, ma la norma non risolve
il pregresso. Ci sono infatti 60 miliardi di euro di crediti - una cifra-
monstre - che non sono stati pagati e lo Stato non sa come fare.
Il ministro Corrado
Passera ha ventilato la possibilità di rimborsare gli imprenditori
assegnando loro Btp e Bot. «Piuttosto che niente, è meglio piuttosto» hanno
commentato i Piccoli chiedendo, nel caso, di poter scontare in banca i titoli
assegnati. La strada individuata però non è facile da percorrere: i tecnici
sostengono che si corre il rischio di sopraelevare la montagna del debito
pubblico italiano. Bisogna trovare, dunque, un meccanismo differente.
L'onorevole Raffaello Vignali in
passato aveva proposto di utilizzare come pivot dell'operazione la Cassa Depositi e Prestiti che ha il
pregio di non rientrare nel perimetro del patto di stabilità. Si vagli questa
ipotesi ed eventuali alternative, lo si faccia però in tempi certi. E nel
frattempo si garantisca pure che i 100 miliardi di euro che provengono dal
dimezzamento della riserva obbligatoria (riconosciuto dalla Bce alle banche) si
traducano in accresciuto credito alle imprese. Agli Schiavon almeno questo lo
dobbiamo.
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