sabato 17 dicembre 2011

Unità nazionale (all'opposizione)




Non si aveva idea di quante lobby, anche minuscole, fossero all'opera in Parlamento. Si sapeva della buona rappresentanza di avvocati. Ma anche farmacisti e tassisti devono avere buoni contatti: infatti resteremo il Paese europeo in cui è più difficile trovare medicinali di largo consumo fuori dalle farmacie; mentre Milano e - più ancora - Roma rimarranno le uniche metropoli al mondo dove, anziché code di taxi in attesa di clienti, si formano code di clienti in attesa dei taxi. L'unica lobby che non si è manifestata è quella dell'interesse nazionale.
Neppure la gravità della crisi finanziaria e la prospettiva di mesi di recessione hanno incrinato il muro corporativo. I 150 anni dell'unificazione hanno risvegliato l'orgoglio patriottico, ma fino ad adesso non hanno scalfito il vero male italiano: la prevalenza dell'interesse di parte su quello comune, del particolare sul generale. Uno scatto è ancora possibile, oltre che necessario. Purché ci si renda conto con chiarezza della situazione.
Mario Monti non guida il governo con la più ampia maggioranza parlamentare della storia. Guida il governo con la più ampia opposizione mai vista. Quella palese, anzi sguaiata, della Lega. Quella ormai dichiarata dell'Italia dei valori. E quella sottotraccia dei democratici che manifestano contro la manovra poi sostenuta in Parlamento, e di Berlusconi che fa ormai ogni giorno professione di «perplessità».
A questo punto Monti e i suoi ministri hanno due strade. Adeguare il proprio passo alla debolezza del sostegno parlamentare, avanzando con cautela e ritraendosi quando il malumore si fa manifesto, come nel caso delle liberalizzazioni mancate. Oppure procedere con decisione sulla via delle riforme, compresa quella del mercato del lavoro. Il governo ha anche qualche punto di forza. È composto da persone competenti e perbene. È considerato credibile in Europa. Ha mantenuto buoni indici di appoggio popolare, nonostante il salasso della manovra. Il disimpegno dei partiti paradossalmente può diventare un vantaggio, uno sprone a osare, uno stimolo ad andare avanti. Certo le critiche aumenterebbero di tono, ma nessun partito si prenderebbe oggi la responsabilità di far cadere il governo: non il Pdl, che consegnerebbe così Monti all'altro schieramento; non il Pd, che sull'esecutivo di transizione si è giocato tutto, e finirebbe per ritrovarsi succube di Vendola e Di Pietro.
Questo governo rappresenta ancora l'occasione di introdurre una vera discontinuità, di dimostrare che è possibile operare per l'interesse comune anziché per quello delle categorie e delle corporazioni. Se invece il governo dovesse esitare e fermarsi un'altra volta, si garantirebbe forse una navigazione parlamentare più tranquilla, ma perderebbe il proprio autentico fondamento: la consapevolezza popolare che i sacrifici e i cambiamenti sono necessari e a lungo andare salutari; purché riguardino tutti, comprese le lobby piccole o grandi.
Aldo Cazzullo
16 dicembre 2011 

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Procedere con decisione sulla via delle riforme: non ho dubbi!