Non si aveva idea di quante lobby, anche minuscole, fossero all'opera in
Parlamento. Si sapeva della buona rappresentanza di avvocati. Ma anche
farmacisti e tassisti devono avere buoni contatti: infatti resteremo il Paese
europeo in cui è più difficile trovare medicinali di largo consumo fuori dalle
farmacie; mentre Milano e - più ancora - Roma rimarranno le uniche metropoli al
mondo dove, anziché code di taxi in attesa di clienti, si formano code di
clienti in attesa dei taxi. L'unica lobby che non si è manifestata è quella
dell'interesse nazionale.
Neppure la gravità della crisi finanziaria e la prospettiva di mesi di recessione
hanno incrinato il muro corporativo. I 150 anni dell'unificazione hanno
risvegliato l'orgoglio patriottico, ma fino ad adesso non hanno scalfito il
vero male italiano: la prevalenza dell'interesse di parte su quello comune, del
particolare sul generale. Uno scatto è ancora possibile, oltre che necessario.
Purché ci si renda conto con chiarezza della situazione.
Mario Monti non guida il governo con la più ampia maggioranza parlamentare
della storia. Guida il governo con la più ampia opposizione mai vista. Quella
palese, anzi sguaiata, della Lega. Quella ormai dichiarata dell'Italia dei
valori. E quella sottotraccia dei democratici che manifestano contro la manovra
poi sostenuta in Parlamento, e di Berlusconi che fa ormai ogni giorno
professione di «perplessità».
A questo punto Monti e i suoi ministri hanno due strade. Adeguare il proprio
passo alla debolezza del sostegno parlamentare, avanzando con cautela e
ritraendosi quando il malumore si fa manifesto, come nel caso delle
liberalizzazioni mancate. Oppure procedere con decisione sulla via delle
riforme, compresa quella del mercato del lavoro. Il governo ha anche qualche
punto di forza. È composto da persone competenti e perbene. È considerato
credibile in Europa. Ha mantenuto buoni indici di appoggio popolare, nonostante
il salasso della manovra. Il disimpegno dei partiti paradossalmente può
diventare un vantaggio, uno sprone a osare, uno stimolo ad andare avanti. Certo
le critiche aumenterebbero di tono, ma nessun partito si prenderebbe oggi la
responsabilità di far cadere il governo: non il Pdl, che consegnerebbe così
Monti all'altro schieramento; non il Pd, che sull'esecutivo di transizione si è
giocato tutto, e finirebbe per ritrovarsi succube di Vendola e Di Pietro.
Questo governo rappresenta ancora l'occasione di introdurre una
vera discontinuità, di dimostrare che è possibile operare per l'interesse
comune anziché per quello delle categorie e delle corporazioni. Se invece il
governo dovesse esitare e fermarsi un'altra volta, si garantirebbe forse una
navigazione parlamentare più tranquilla, ma perderebbe il proprio autentico
fondamento: la consapevolezza popolare che i sacrifici e i cambiamenti sono
necessari e a lungo andare salutari; purché riguardino tutti, comprese le lobby
piccole o grandi.
1 commento:
Procedere con decisione sulla via delle riforme: non ho dubbi!
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