mercoledì 28 dicembre 2011

SUPERPOLIZIOTTI DALLE STELLETTE ALLE STALLE




Arrestano i boss, indagano sulla mafia poi finiscono anche loro nelle inchieste
di Gianni Barbacetto

Il poliziotto al confine tra il bene e il male è un perfetto personaggio da romanzo. Il commissario parigino Jean-Baptiste Adamsberg narrato da Fred Vargas brancola nel buio e a lungo acchiappa nuvole, prima di riuscire ad acchiappare i colpevoli. Lo sbirro Fabio Montale creato da Jean Claude Izzo si aggira in una Marsiglia vischiosa e malavitosa che finisce per contagiare anche lui. La realtà italiana, però, al solito supera la fantasia e sono più d'uno i poliziotti in carne e ossa che vengono accusati di aver oltrepassato quel confine. Di avere fatto patti con il diavolo di cui erano a caccia.
L'ultimo è Vittorio Pisani, ex dirigente della squadra mobile di Napoli, l'uomo che ha catturato i capi di Gomorra, i boss dei Casalesi Antonio Iovine e Michele Zagaria. Amatissimo dai suoi agenti, Pisani è stato rinviato a giudizio per rivelazione di segreto, favoreggiamento, abuso d'ufficio e falso. Il nemico giurato dei camorristi e dei riciclatori ora è accusato di aver favorito i riciclatori. Secondo i pm di Napoli, Pisani sapeva che Mario Potenza e i suoi figli ripulivano soldi sporchi, ma non è intervenuto, per fare un favore a un suo amico, l'imprenditore Marco Iorio, gestore di ristoranti e socio di Potenza. Di più: gli avrebbe rivelato l'esistenza di una indagine su di lui, fornendogli anche suggerimenti su come modificare gli assetti societari e far sparire i soldi in Svizzera. Ora sarà il tribunale di Napoli a giudicare, nel processo che prenderà il via il 24 gennaio, se l'investigatore che ha sconfitto i Casalesi ha tradito il suo giuramento di fedeltà alla legge.
   A Milano, intanto, è aperto da tre anni un caso che coinvolge uno dei poliziotti più noti della città, Carmine Gallo. Memoria storica dell'antimafia al Nord, profondo conoscitore delle famiglie della ‘ndrangheta, Gallo è lo sbirro che ha risolto decine di casi, dal sequestro di Alessandra Sgarella a quello di Cesare Casella, fino all'omicidio di Maurizio Gucci. È lui a raccogliere le prime confessioni di Saverio Morabito, gran pentito della ‘ndrangheta a Milano. È lui a riconoscere, seduti ai tavolini di un bar di Buccinasco, nel marzo 1988, i tre più importanti boss calabresi: Giuseppe Morabito u Tiradrittu, gran maestro delle cosche di Africo, Antonio Pelle detto Gambazza, il principe nero di San Luca, ed Antonio Papalia, boss di Platì, referente al Nord della mafia calabrese e padrone di casa di quel summit storico.
   GALLO tre anni fa è entrato in un tunnel di cui non vede ancora l'uscita: è indagato dalla Procura di Venezia per i suoi contatti con un informatore, Federico Corniglia, in passato ottima fonte per districarsi nel vischioso mondo della criminalità e risolvere casi difficili. I pm veneziani gli contestano l'associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, mentre intanto i criminali veneti che avrebbe favorito, attraverso Corniglia, sono stati assolti in appello sia dall'accusa di associazione a delinquere, sia da quella di traffico di droga (per loro l'accusa si è ridotta a spaccio). Dopo tre anni, lasciata la questura milanese di via Fatebenefratelli, di cui era uno degli investigatori di punta, ha voluto tornare a fare lo sbirro di strada, il commissario di periferia. In attesa di vedersi restituito l'onore.
   Tutt'altra storia quella di altri investigatori ormai inchiodati da sentenze definitive per i loro patti col diavolo, da Bruno Contrada al generale dei carabinieri Francesco Delfino. Quest'ultimo, che nella sua carriera ha attraversato molte delle vicende più nere della Repubblica, dalla strage di Brescia al sequestro di Aldo Moro, è stato infine condannato con sentenza definitiva per truffa aggravata: avrebbe approfittato del rapimento dell'amico Giuseppe Soffiantini per truffare alla famiglia la somma di circa 800 milioni di lire, sostenendo falsamente che quei soldi sarebbero stati impiegati per ottenere la liberazione dell'amico sequestrato. Prima di questo epilogo, era stato proprio Carmine Gallo a puntare per primo il dito sul generale: secondo le testimonianze di Saverio Morabito, Delfino avrebbe risolto brillantemente molti sequestri di persona realizzati in Lombardia negli anni Settanta, perché sarebbe stato in strettissimo contatto con un uomo della ‘ndrangheta che li organizzava. Ma queste accuse sono state poi archiviate.
   Bruno Contrada, invece, ex capo della squadra mobile di Palermo ed ex dirigente del Sisde (il servizio segreto civile), è stato condannato a 10 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. A incastrarlo, le testimonianze provenienti dall'interno di Cosa nostra di molti collaboratori di giustizia, da Gaspare Mutolo a Tommaso Buscetta, da Salvatore Cancemi a Giuseppe Marchese. Lo scenario è quello dei rapporti tra apparati istituzionali e criminalità organizzata: lo stesso scenario in cui si è mosso Mario Mori, ora sotto processo per la trattativa mafia-Stato. Nel 1992, dopo la strage in cui morì Giovanni Falcone, da capo operativo del Ros carabinieri, Mori aprì una delle trattative con gli uomini di Cosa nostra.
   Nei romanzi, il poliziotto che cammina in equilibrio instabile sul confine tra legalità e illegalità riesce quasi sempre a salvarsi l'anima. Nella realtà italiana non sempre ce la fa.

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