giovedì 22 dicembre 2011

TUTTE LE ACCUSE A CISTERNA, “PM ANTIMAFIA CORROTTO DAI BOSS”




di Antonella Mascali
   Intercettazioni in carcere, la rubrica di un cellulare e un’agenda sequestrate a Luciano Lo Giudice, boss della ‘ndrangheta reggina, stanno scuotendo la Prima commissione del Csm che a gennaio dovrà chiedere o il trasferimento o l’archiviazione per il procuratore aggiunto Alberto Cisterna, numero due della Direzione nazionale antimafia, indagato a Reggio Calabria per corruzione in atti giudiziari.
Cisterna avrebbe avuto rapporti stretti con Lo Giudice, arrestato nel 2009 per usura e intestazione fittizia di beni.
C’è una sim intestata a una cittadina filippina che Cisterna avrebbe usato per comunicare con il boss, ci sono telefonate, lettere, sms che, secondo l’accusa, il magistrato ha ricevuto da Lo Giudice, o tramite suoi intermediari, e che non ha comunicato al procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, come aveva invece fatto un paio di volte.
Sono tutte circostanze contenute nel rapporto della squadra mobile di Reggio Calabria diretta da Renato Cortese (trasmesso al Csm dai magistrati reggini), che il Fatto quotidiano ha potuto leggere.
Cisterna è indagato dal procuratore Giuseppe Pignatone e dal pm Beatrice Ronchi perché avrebbe avuto soldi da Luciano Lo Giudice in cambio degli arresti domiciliari per uno dei fratelli, Maurizio.
   Sul suo caso, Reggio Calabria è divisa: c’è chi pensa che il magistrato (ex pm reggino) sia un traditore dello Stato e chi pensa sia vittima di un complotto. Cisterna riconduce la gran parte delle telefonate “al ricovero del figlio di Luciano Lo Giudice, un bambino di tre anni autistico; il padre mi chiese se poteva essere curato in un ospedale specializzato”. Nega di essere lui, “l’avv. di Roma” di cui parlano e scrivono i fratelli Lo Giudice. Per gli inquirenti, invece, è provato anche dalle conversazioni intercettate in carcere.
   ATTRAVERSO la perizia sulla sim di Luciano Lo Giudice, gli investigatori accertano incroci di telefonate tra Cisterna e la giustizia. Scrive la squadra mobile: “Nella sim 348xxx6 in uso a Lo Giudice Luciano erano state memorizzate anche diverse numerazioni riconducibili in maniera inequivocabile al dott. Cisterna”. Il primo numero, indicato come “Albert Cist”, è un cellulare, poi ci sono due fissi: “Al Cist Casa” e “Al Cist Uff.”.
Fin qui, si potrà osservare, niente di strano. Il boss può avere avuto i numeri del magistrato da altri. Ma i conti non tornano: tra febbraio 2005 e novembre 2007 vengono accertati “una novantina di contatti” tra Cisterna e Lo Giudice che usa anche un cellulare intestato a “Paola Calabrò Erminia”. Nella rubrica del telefonino del boss è stato trovato il numero di cellulare 320xxx4 memorizzato come “Al Cist Nuovo”, utenza attivata “senza intestatario il 7 febbraio del 2004. Il 12 agosto 2004 veniva intestata alla (ignara, ndr) cittadina filippina Quiblat Rosalia Yboa e disattivata il 13 settembre 2005”. Dunque, ritengono gli inquirenti, il magistrato antimafia avrebbe avuto conversazioni telefoniche con il boss attraverso un telefono “sicuro”. Mancano, però, i tabulati: sono passati troppi anni, impossibile ricostruirli. Luciano Lo Giudice ha anche provato a eliminare le tracce del suo rapporto con Cisterna. Ha cancellato i numeri del magistrato che aveva annotato sull’agenda “Smemoranda”, sequestrata nel carcere di Lanciano dove era detenuto. Ma un perito della Procura ha decrittato le cancellature: accanto al nome “Avv. Roma, individuabile nel dott. Cisterna”, erano segnati i numeri ufficiali del magistrato nonché il cellulare intestato fittiziamente alla signora filippina. Inoltre c’è un 349xxx7, “attivato per la prima volta il 5 dicembre 2002 da Roberto Zampogna e disattivato il primo di luglio 2004”. Zampogna, evidenzia la squadra mobile, “è stato legato da vincoli di parentela con la famiglia Lo Giudice”. E dal 24 gennaio 2005 al 20 gennaio 2007 quell’utenza viene “girata” ad Alexandru Turcanu, romeno, presunto prestanome di schede telefoniche per i Lo Giudice.
   DUNQUE gli inquirenti sospettano che anche quel cellulare sia stato usato in realtà da Cisterna per comunicazioni coperte con il boss. E se il boss avesse scritto artatamente i numeri di telefono accanto al nome “Avv. Roma-Cisterna”? Per gli inquirenti è impossibile: “Le altre utenze annotate – da Lo Giudice sull’agenda cartacea – sono risultate effettivamente intestate” alle persone indicate dal boss.
   L’indagine sul magistrato nasce dalle dichiarazioni di Nino Lo Giudice, fratello di Luciano, che collabora con la giustizia e si è autoaccusato dell’attentato intimidatorio contro il procuratore generale Salvatore di Ladro e il procuratore Pignatone. Parla di un intervento del fratello per evitare che Cisterna dovesse pagare 5 mila euro per l’ormeggio di una barca in Sicilia e racconta di “molti soldi” che Cisterna avrebbe ricevuto da Luciano Lo Giudice dopo la scarcerazione di un altro fratello pentito, Maurizio. Ma non si conoscono – lamenta la difesa di Cisterna – esattamente né la data nè il luogo dove il magistrato avrebbe preso il denaro.
   Nino Lo Giudice cita anche un fatto che, se fosse vero, sarebbe un altro tassello sui contatti già emersi tra infedeli 007 e ‘ndrangheta: “Nelle tante occasioni che Luciano è salito a Roma a trovare il dottore Cisterna, gli è stato presentato uno dei servizi segreti che si chiama ‘Sellario’ o ‘Stellario’ o ‘Sellerio’. Questa cosa me l’ha detta mio fratello e che gli è stato chiesto da Cisterna se gli poteva fare avere due schede telefoniche e due telefoni nuovi in quanto li doveva regalare a questa persona dei servizi segreti. So anche che è stato a Siena o a Pisa insieme a Cisterna a trovare questa persona qui dei servizi segreti non so il motivo”.
   L’agente segreto a cui si riferisce Nino Lo Giudice sembra essere Massimo Stellato, funzionario del Sismi. É il fratello Luciano che lo rivela involontariamente. Intercettato in carcere, parla con Nino e la moglie del libro “Il caso Genchi”, cita i numeri delle pagine che riguardano proprio l’uomo dei servizi e intima al fratello: “Leggiti Stellato”. Ricorda il pentito, Nino Lo Giudice: “Mio fratello Luciano mi fa notare che i telefoni glieli aveva fatti avere lui”. In una lettera del 5 maggio 2010, sequestrata a Luciano Lo Giudice, il boss scrive a un familiare: “Spero che avrò la fortuna di uscire per farti capire tantissime cose che ho sempre voluto farti capire riguardo ‘all’Avv. di Roma’, che io solo so quanto ho dovuto pagare, un prezzo caro, non ti dico altro per il momento”.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Carissimo Luigi giungano a te e alla tua bella famiglia tanti auguri di Buone Feste...che siano serene!!!
Un abbraccio
Stefano e Mariarita

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Grazie Maria Rita, rivolgo a te e a Stefano calorosi auguri di Buon Natale e buon Anno Nuovo.