lunedì 8 settembre 2008

Diplomazia segreta



Furio Colombo
L'Unità
8 settembre 2008


Sappiamo molto di Franco Frattini, ministro degli Affari Esteri della Repubblica italiana. Sappiamo persino che una giovane donna di nome Chantal si è fidanzata con «Franco» attraverso un comunicato stampa, nuovo tipo di iniziativa sentimentale che costringerà Moccia e Muccino ad aggiornare in senso burocratico il loro repertorio.

Sappiamo poco da Franco Frattini. Ci offre solo tre opzioni per conoscere il mondo della sua politica estera: poche parole stentoree, pronunciate lentamente, con l’aria di un annuncio, ma a fatti già avvenuti.

Poche parole stentoree, pronunciate lentamente per dirci che il merito è dell’Italia e continuano a pervenire comunicazioni in tal senso al suo ministero (non sempre specifica quale merito è dell’Italia e come è stato acquisito); poche parole stentoree pronunciate lentamente per dire che «queste cose le decide il presidente Berlusconi» (di solito per qualunque materia).

Direte che è poco, se pensate che il segretario di Stato americano Condoleeza Rice passa ore davanti alla vivacissima e poco amichevole commissione Affari Esteri del Senato americano. Se pensate al ministro degli Esteri inglese Miliband sulla cui giovane età e inesperienza si scarica lo scontento della stampa inglese e della Camera dei Comuni per la non brillante stagione del governo Brown. Direte che è poco se avete in mente l’indipendenza e l’attivismo dell’ex medico senza frontiere Bernard Kouchner ora ministro degli Esteri di Sarkozy e sempre incline a discutere i fatti ambigui e complicati del mondo dentro e fuori il cerchio interno della vita politica.

Vorrei chiarire per chi mi legge. Il nostro ministro degli Esteri Frattini non è così generico ed evasivo (in contrasto col tono solenne e le parole scandite) solo con i cittadini o con i giornalisti. Lo è anche con i deputati e i senatori. Gli piace riunire le due commissioni Esteri, dove in molti lo ringraziano «per avere aderito all’invito», quando invece si tratta di un dovere e di un obbligo.

E quando tutti sono riuniti di fronte a lui, con voce stentorea e parole scandite il ministro ripete ciò che senatori e deputati hanno già letto su tutti i giornali. Salvo il tono della voce, da grandi occasioni, non filtra l’ombra di una notizia in più.

Farò alcuni esempi che - purtroppo - sono drammatici. Il giorno 26 agosto, di fronte alle commissioni Esteri riunite il ministro degli Esteri italiano ha riferito al Parlamento sulla breve e devastante guerra del Caucaso, Georgia contro Russia e poi Russia contro Georgia. Ci è stato anche fornito un voluminoso dossier, tutto tratto dai giornali italiani (nessuna inclusione o traduzione della stampa estera). Ora tutto ciò avveniva venti giorni dopo l’inizio di quella guerra. Sia la relazione verbale del ministro sia il dossier contenevano frequenti riferimenti al «merito che ha avuto l’Italia» nella risoluzione della vicenda e del vasto riconoscimento internazionale che l’Italia avrebbe ottenuto per quel suo merito.

Ci sono due «ma». Il primo è che «la questione» è tuttora aperta. Navi da guerra russe e navi da guerra americane sono a poca distanza nel Mare Nero. L’Herald Tribune del 2 settembre, in un articolo di Roger Cohen, ha scritto: «Purtroppo non stiamo parlando del pericolo di una nuova guerra fredda ma del pericolo di una nuova guerra».

Il secondo «ma» è che il merito dell’Italia sarebbe consistito in una lunga e abile mediazione del presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi. Ora noi (noi italiani) siamo stati informati di una conversazione della durata di quaranta minuti, ma con frequenti riferimenti a una «linea calda» di contatti sempre in azione fra Roma e Mosca. È un fatto che la stampa del mondo non ci da notizia, della gigantesca impresa del premier italiano che, da solo, ha fermato la guerra dei mondi. Non invocherei, però, come prova di alcunché questo silenzio della stampa internazionale. Dopotutto è un po’ come per le Olimpiadi. Nella stampa e tv di ogni Paese, gli atleti locali appaiono sempre come gli unici vincitori o più vincitore degli altri.

Quello che trovo preoccupante è che - salvo alcune simpatiche indiscrezioni depositate su La Stampa del 2 settembre da Augusto Minzolini (che doveva essere nella stanza al momento della telefonata di Berlusconi con Putin, perché le frasi chiave di Berlusconi appaiono fra virgolette)- noi, gli italiani e noi, il Parlamento italiano, non sappiamo che cosa si siano detti il primo ministro italiano e il primo ministro russo e in che modo il titolare di un Paese al momento privo di forza economica (crescita 0.1) e di un identificabile ruolo politico-internazionale (salvo l’automatismo delle alleanze) possa avere «mediato» (che vuol dire dare e avere, promettere e ottenere, impegnarsi e assicurare) con il titolare della seconda più grande, pericolosa, aggressiva potenza del mondo, che aveva appena sbriciolato, sia pure a mero titolo di esempio, la città georgiana di Gori, seconda, per importanza, in quel Paese.

In questa vicenda - mi rendo conto - c’è poco da screditare l’Italia. L’intera Europa si è sentita molto virtuosa per avere mitemente e genericamente redarguito i russi e lasciato al suo destino il presidente georgiano, giocatore d’azzardo certamente non privo di colpe e di decisioni sbagliate ma persuaso di avere «l’Occidente» al suo fianco e forse incoscientemente spinto a una azione folle. Resta però - sulle macerie provvisorie di una situazione provvisoria (e immensamente pericolosa) una domanda senza risposta: che cosa ha detto per quaranta minuti il presidente Berlusconi a Putin, oltre alle due frasi che Minzolini virgoletta e consegna alla storia? Che cosa ha promesso, che cosa ha accettato?

Non ci crederete, ma Franco Frattini non ne ha fatto cenno ai deputati e senatori delle due commissioni Esteri riunite, sia pure settimane dopo la grande emergenza di una guerra scoppiata improvvisamente in Europa in un punto e in un modo capace di scardinare tutti gli equilibri del mondo che conosciamo. È vero, Frattini ci ha taciuto molte altre cose. Per esempio, fidanzato o no, perché non ha interrotto le vacanze come tutti gli altri ministri degli Esteri d’Europa quando è scoppiata la guerra? Una simile assenza è stato un segnale alla Russia? Figurerebbe bene in un «thriller» internazionale, in cui un certo comportamento viene richiesto come condizione per trattare, e farti fare la figura del «mediatore».

Frattini, come al solito, fa un passo indietro e lascia il riflettore al suo capo, anche se la sua immagine si riduce di fronte ai suoi pari e colleghi d’Europa.

È in questa chiave che va interpretato il suo silenzio verso l’opinione pubblica italiana (che per forza non esiste, come un muscolo mai esercitato). Ma anche verso il Parlamento che stranamente si contenta - maggioranza e opposizione - di essere convocato con due settimane di ritardo per sapere un po’ meno di ciò che era già stato già detto da tv e giornali.

Non è una vanteria annotare che, nella audizione del 26 agosto, sono intervenuto (50 secondi) per chiedere di riferire sul testo e sul senso politico della telefonata «di mediazione» Berlusconi-Putin. E poi ho interrotto i gentili convenevoli del saluto finale per insistere sulla risposta che non avevo avuto. Non è una vanteria, perché la prima volta il ministro degli Esteri ha ignorato del tutto la domanda. E la seconda volta, girando le spalle, ha detto, nel modo infastidito che i superburocrati usano solo quando sanno di poterlo fare: «Ma la politica italiana è una sola, no? Che cosa pensa il presidente del Consiglio lo sappiamo tutti».

Se un Parlamento, a cominciare dalla maggioranza, si lascia maltrattare dall’esecutivo e ridurre a un organo di consulenza non vincolante, l’evento, oltre che pericoloso, è offensivo per tutti, non solo per chi ha posto la domanda, prima ignorata, poi maleducatamente respinta.

L’attenuante è che - a differenza di Minzolini - Franco Frattini del contenuto di quella telefonata che avrebbe fermato la guerra e salvato il mondo non sapeva nulla. O meglio: non più di noi e dei giornali. E, fra i giornalisti, persino il bravo Minzolini si è reso conto che bisognava far circolare almeno una frase virgolettata.

L’aggravante è ciò che è accaduto in Libia, delicatissimo evento internazionale a cui il ministro deli Esteri non ha neppure preso parte. Pochi giorni prima di quell’evento, mentre aveva di fronte deputati e senatori delle commissioni Esteri, Frattini, evidentemente estraneo all’evento, non ha avuto nulla da anticipare. Due giorni dopo, il colonnello Gheddafi ha annunciato che l’accordo Italia-Libia prevede la sospensione degli impegni internazionali italiani. In altre parole, le nostre basi non saranno mai usate per azioni che coinvolgano gli interessi del colonnello Gheddafi. Penso che l’avvertimento sia tempestivamente giunto al governo di Israele.

L’imbarazzo di Frattini, nella incredibile circostanza, appare grande, grande come quello degli altri italiani e, al momento, dei governi, dei cittadini, dell’opinione europea e di quella americana.

Per fortuna Franco Frattini, modesto e marginale viceministro degli Esteri (il posto è vistosamente occupato da Silvio Berlusconi) ha, al momento, il conforto di nuovi affetti, come da informativa di un comunicato stampa.

furiocolombo@unita.it

2 commenti:

Unknown ha detto...

che orrore di ministro degli esteri che abbiamo!!
Carolina

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Hai proprio ragione.
Pensare che, prima che facesse la sua scelta di campo, veniva chiamato per il suo volto pulito, 'il colonello', con richiamo a quegli ufficiali di Napoleone Bonaparte, i "fedelissimi", quei valorosi ufficiali che sono rimasti nell'immaginario collettivo, almeno di chi coltiva qualche lettura storica e va a vedere qualche felice ricostruzione cinematografica, gli artefici delle fortune militari di Napoleone e che lo seguirono nell'esilio di S. Elena fino alla sua morte.
Il "Colonnello" !
No, nemmeno la brutta copia.