sabato 29 novembre 2008

Costi Guerrino, già detenuto nella Casa di Reclusione di San Gimignano

(Guerrino Costi è quello con la berretta a visiera, al centro)

di Luigi Morsello

A suo tempo ho scritto quanto segue.
Costi Guerrino era un uomo anziano, alto, segaligno, con le mani rotte dalla fatica. Se non ci parlavi, badava solo a lavorare, se ci parlavi ti regalava un sorriso sdentato. Era un uomo semplice.
Essendo sdentato, aveva diritto al pane morbido per gli adentuli, altrimenti erano dolori a masticare. Però qualche volta questo pane non veniva fornito dall’Impresa del Mantenimento, una ditta privata.
Per un po’ Costi sopportò, si mostrò comprensivo, ma ci fu un giorno in cui perse la calma. Accadde in cucina detenuti, dove il pane veniva distribuito. Costi andò su tutte le furie perché per l’ennesima volta il pane morbido non c’era o non ne era stato fornito per tutti. Fui chiamato in cucina detenuti dall’app. Venanzio Franco, che mi aprì tremante la porta della cucina e lì vidi per la prima volta qualcosa che non dimenticherò. Il volto di Costi era sfigurato da una smorfia, gli occhi opachi non vedevano più. Non riconosceva nessuno e nessuno gli si poteva avvicinare. Era la personificazione della rabbia. Toccava a me, come sempre. Venanzio mi disse di non avvicinarmi ma io lo feci, senza esitazioni, gli toccai il braccio e lo chiamai per nome, smise di urlare parole incomprensibili, mi guardò senza vedermi, poi gli dissi sono io, il direttore. Solo allora finalmente mi vide, rientrò in sé, ritornò alla realtà, uscendo fuori da quel mondo di furia scatenata ed incontrollabile.
Poi mi dissero che ero arrivato appena in tempo prima che facesse una sciocchezza, non lo so, può darsi, però io mi immaginai che quella doveva essere stata la sua situazione psicologica quando nel 1948 imbracciò la sua doppietta e sparò.
Che cosa mi fece agire con sicurezza: lo conoscevo bene, mi conosceva bene, ormai erano trascorsi alcuni anni ed io stavo facendo realizzare lavori di manutenzione alla squadra muratori (che avevo dotato di tutti gli attrezzi necessari) che a Costi piacevano, come gli piaceva che si fosse usciti a San Gimignano dall’immobilismo. Mi ammirava, mi trovava simpatico e alla mano, io lo sapevo e volli intervenire per evitargli di rovinarsi nuovamente.
Ne furono eseguiti tanti di lavori, in economia e tramite il Genio Civile, la prima categoria con la squadra muratori (si aggiungevano unità a seconda della necessità).
Quando questi lavori interessavano anche l’esterno del carcere allora poteva intervenire solo Costi, il quale non era stato mai autorizzato dal Magistrato di sorveglianza al lavoro all’aperto (lo feci fare io), ma usciva dal carcere da quel dì.
L’alloggio del direttore necessitava di lavori anch’esso, era esterno al carcere e l’unico che poteva uscire era Costi. I lavori vennero effettuati a spizzichi e a bocconi perché l’alloggio era abitato, da me, da mia moglie e dalla mia prima e per il momento unica figlia, Francesca, nata a Firenze.
Costi badava solo a lavorare (aveva imparato in carcere a fare il muratore), non alzava mai gli occhi. Mia moglie lo trattava con gentilezza, l’avevo rassicurata. Entrambi avevamo notato che quell’uomo anziano guardava con un sorriso dolcissimo mia figlia Francesca. Un giorno volli fare qualcosa, agii sulla base di una intuizione, avevo mia figlia in braccio e gliela diedi in braccio a lui.
Difficile descrivere efficacemente le emozioni che deve aver provato, prima incredulità (davvero ?), poi emozione e infine felicità, la prese in braccio come se fosse stato un oggetto prezioso e fragilissimo.
Penso di avergli regalato l’emozione di sentirsi nonno.
Maturò il tempo in cui quell’uomo poteva tornare ad essere libero, non aveva più senso tenerlo in carcere.
Il Regolamento carcerario del 1931 contemplava la possibilità di far proporre la grazia presidenziale come speciale ricompensa (art. 151, comma 1, n. 8). La proposta doveva essere fatta dal Consiglio di disciplina, composta dal direttore, che lo presiedeva, dal ragioniere, dal cappellano e dal medico.
Lo informai di questa proposta e qui capii che uomo semplice era Costi, era incredulo e felice, scettico ma grato.
La grazia presidenziale fu concessa, si trattava di organizzarsi per metterlo in libertà dopo tanti anni di carcere, non aveva una cravatta e gliela regalai io, nuova di zecca, ma non sapeva farsi il nodo, glielo feci io.
Salutò tutti, in particolare la mia famiglia, che si era arricchita di altri due figli. Lo accompagnai all’uscita, poi per un pezzetto di strada (via Santo Stefano), quindi lo lasciai solo ad assaporare una libertà che aveva perso tanti anni addietro, quando spense tre vite umane, ma ormai era un uomo diverso.
Il 25 giugno 1975 arrivò una lettera indirizzata a mia moglie, impostata a Carpineti il 23, era di Costi che scriveva a mia moglie, non a me !
La trascrivo:
“Gentilissima signora, là prego di voler perdonare il ritardo, con cui le mando mie notizie, ma non perché mi sia già dimenticato di S. Gimignano e nemmeno là sua famiglia che sempre là ricorderò, ma come può capire anche lei quando si ricomincia una nuova vita tutte fa novità come hò fatto novità io per tutti quelli della mia zona, che ancora continuano a venirmi a trovare compreso tanti che non conoscevo più, e debbo proprio dirle che non avrei mai pensato di trovare un ricevimento tanto numeroso e cordiale come pure i miei figli e là nuora che ho trovato e posso dirle che mi trovo molto bene sia di salute che di tutto, mi manca soltanto quella persona del cuore di cui tutti abiamo bisogno e che il destino hà voluto privarmi, e così mi sembra di non avere nulla che sia finalmente mio, per ora posso incontrarmi solo con qualche vecchie amicizie che si sono dimostrate molto afettuose, Ora ho acuistato un motorino per mio conto per potermi spostare più facilmente cuando desidero, penso di dover ritornare anche a S. Gimignano per ragioni di documenti che farò richiesta subito e che ancora atendo ma in cuesto mese avevamo anche altro da pensare, comuncue se dovessi venire passerò anche da lei per rivedere la sua famiglia che mie stata di conforto per tanti anni e che ho visto crescere i suoi tanto cari bambini, come desidero rivedere Nicola perche là sua bonta non si può dimenticare come tanti altri che mi anno saputo comprendermi e darmi tanta fiducia in primo luogo suo marito ricco di tanta comprensione e umanità, di cui le mando un cordiale saluto asieme alpiu afettuoso saluto per lei e bambini che sempre mi sembra di sentirli di nuovo la saluto con un arrivederci Guerrino Costi le chiedo scusa del mio mal scritto”.
Formidabile. Indimenticabile. Nicola era l'agente Tammaro Nicola, che aveva sostituito l'app.Volpini, in pensione.
Non mi aspettavo di ricevere una qualche corrispondenza relativa al mio scritto precedente e al detenuto Costi Guerrino.
Ho ripetutamente affermato che si trattava di miei ricordi, di nient’altro.
Non avevo tenuto un diario né avevo fonti a cui attingere oltre la mia memoria e di alcuni collaboratori dell’epoca.
Ho anche detto che ero pronto a rettifiche, ove me ne fossero state chieste.
Ebbene, mi ha scritto una mail un nipote di Costi, di nome Vasco.
Ne trascrivo il contenuto:
“Buona sera,
sono il nipote di Costi Guerrino,
ho letto con molto piacere quel breve ricordo che le ha dedicato nel suo blogger.
La ringrazio per l'umanità dimostrata nei confronti di mio nonno sia come carcerato che come persona.
Ne approfitto per precisare alcune cose (da fonte internet) mio nonno uccise due persone il 26 marzo 1955 riuniti nella sede della Democrazia Cristiana.
Le Lascio il sito che riporta tali fatti.
www.tuttomontagna.it/oldsite/112-05/colombaia.htm
Cordiali saluti.
Costi Vasco”
Mi sono affrettato a leggere ed ho deciso di dedicare a Costi nonno un capitolo tutto per lui, raccontando sulla scorta della stampa dell’epoca e rettificando ciò che c’era da rettificar in tema di dati oggettivi.
Ho anche inviato al nipote una foto dell’epoca che ritrae il nonno a San Gimignano e che campeggia all’inizio di questo racconto, informando Vasco dell’intenzione di fare quanto sto facendo: raccontare, meglio, di suo nonno.
La fonte è il sito di cui sopra, TUTTO MONTAGNA.
Il nipote Vasco mi ha risposto:
“Buon giorno, in merito alla prima mail le dico che mio nonno è mancato nel novembre del 1995. Ora riposa nel cimitero di Carpineti suo paese. Io l'ho conosciuto poco perché mio padre, il figlio maggiore, dopo i fatti del 1955 è emigrato per trovare lavoro e sostenere la madre e i due fratelli ancora piccoli. Si è stabilito a Brescia dove si è fatto una famiglia e dove ora viviamo. Volevo ringraziala per la fotografia in cui vedo mio nonno con le sue figlie coetanee dei suoi nipoti. In seconda battuta volevo ringraziarla per essersi adoperato al rilascio di una persona mite che aveva commesso un grande sbaglio rovinando la vite di molte persone, i morti, i loro parenti, la sua famiglia e se stesso. A distanza di tanti anni il reato commesso da mio nonno sembra incomprensibile ma studiando la storia di quegli anni si intuisce il clima di odio che era radicato tra le varie fazioni politiche e che aveva origini lontane e non sopite.
Non voglio dilungarmi e soprattutto giustificare un episodio che si commenta da solo, mi ha fatto molto piacere conoscerla epistolarmente e ringraziala per quello che ha fatto e per aver permesso a mio nonno di vivere una realtà carceraria '' umana''.
Cordialmente.
Costi Vasco.”
L’articolo di stampa è a firma del giornalista Michele Campani, che è il direttore responsabile della testa giornalistica sopra menzionata, un mensile molto pregevole.
E qui occorre fare una prima precisazione: Costi Guerrino era in carcere dal 1955, non 1948 come ho scritto in precedenza.
Scrive Campani:
Sabato 26 marzo 1955 sono circa le 22.30 quando la quiete notturna della valle del Secchia è spezzata dall’echeggiare di due colpi di fucile.
Nell’osteria di Domenico Vezzosi i canti di festa diventano urla di terrore perché a terra rimangono il corpo senza vita di Giovanni Munarini, quello trapassato a un polmone di Afro Rossi (morirà poche ore dopo), quelli gravemente feriti di Gianpio Longagnani e Umberto Gandini. Si erano ritrovati in 37 a Colombaia sul Secchia per festeggiare la vittoria della lista “bonomiana”, con targa Dc, alle elezioni per le casse mutue dei coltivatori diretti. Un attentato che quindi mostrava da subito una matrice politica, e che gli inquirenti non tardarono a inquadrare alla perfezione, se è vero che già quella stessa notte, alle 3.30 circa, bussarono alla porta dell’assassino.
Ricostruiamo l’intera vicenda, che ebbe vasta eco in tutto il Paese, mettendo insieme alcuni frammenti dei tantissimi articoli che i giornali (all’epoca in edicola a 25 lire) dedicarono alla vile imboscata di Colombaia.”.
Quindi, siamo nel 1955, nell’Emilia rossa uscita dalla guerra nemmeno dieci anni prima, c’erano stati il referendum che portò al decadere della monarchia sabauda nel 1946, il 2 giugno; le elezioni politiche generali, le prime del dopoguerra, nel 1948, il 18 aprile; l’attentato a Palmiro Togliatti il 14 luglio 1948. insomma, si viveva ancora il clima di violenza che la II^ guerra mondiale, l’occupazione dei nazisti e la lotta partigiana, clima, ambientazione e psicologia così ben descritto da Giuseppe Guareschi nel suo “Don Camillo” e successivi.
Scrive Campani:
“Il movente politico era tutto nel curriculum del 42enne “Guerrino delle Salde”, ex partigiano, ex capo cellula, una testa calda.”.
Mi appare un giudizio sommario, dettato forse dall’emotività del momento.
Rende bene l’idea ciò che afferma il vescovo, riportato da Campani:
“Il fondo è affidato a una nota del vescovo di Reggio Beniamino Socche che sottolinea il clima ostile fomentato da articoli di stampa e propaganda comunista che “addirittura ha la sfrontatezza di chiamare la strage della Colombaia un’ennesima provocazione contro il comunismo che è nei piani di certe forze”.”
I colpi di fucile erano stati due, il bilancio, provvisorio, di un morto e due feriti.
Giovanni Munarini morì sul colpo, Alfio Rossi l’indomani in ospedale, Umberto Gandini si salvò.
Il delitto aveva arroventato il clima politico e generato tanta paura, riportata dai cronisti de L’Unità, dell’Avanti, L’Avvenire, La Gazzetta di Reggio.
Continua Campani:
“Ad allentare la tensione di un clima arroventato da una bomba carta esplosa in città e dalla sospensione del sindaco comunista di Carpineti, Nello Lusoli, arriva la confessione di Guerrino Costi, fermato subito dopo il fatto e ora messo alle strette da una serie di pesanti indizi: una perquisizione aveva portato al ritrovamento di munizioni identiche a quelle utilizzate dall’attentatore nascoste nella mangiatoia; quando i carabinieri riuscirono a interrogarlo, il più giovane dei tre figli di Costi rivelò che era stata la madre a ordinargli di nascondere l’involucro nella stalla; la deposizione della moglie non combaciava con l’alibi dello sparatore, che aveva dichiarato di non essere uscito di casa; infine le impronte rilevate sul presunto percorso di fuga, che invece combaciavano perfettamente con la suola degli stivali che il Costi calzò quando i militari lo andarono a prendere.”.
Si traccia così il profilo di un uomo che certamente un delinquente non è, essendosi limitato solo tentare un alibi, senza cancellare le tracce lasciate, tant’è che calza ancora gli stessi stivali.
La dinamica viene ricostruita da Campani in questo modo:
“I fatti vengono ricostruiti: Guerrino Costi rimase a lungo appostato, col fucile spianato, forse in attesa di scorgere la sagoma del parroco don Antonio Annigoni, a suo dire l’obiettivo iniziale, ma poi esplose i suoi colpi - precisi perché era un eccelso tiratore - verso quella finestra illuminata, lontana meno di 30 metri, dalla quale uscivano le note di “Quel mazzolin di fiori”.
Erano venuti a festeggiare nella “sua” zona, un affronto che non poteva sopportare.”.
C’è l’immagine della finestra attraverso la quale penetrarono i due colpi di fucile. La allego. Si vede un uomo col cappello in piedi che riesce appena sbirciare all’interno, e i due fori di proiettile nell’angolo interno del quadro a sinistra di chi guarda.
Posto che l’uomo sia alto metri 1,70 e che i fori sono 30 cm. più in alto, se ne deve dedurre che il Costi sparò dal basso verso l’alto, con una forte angolazione e ad almeno metri 2 dal piano di calpestio.
Costi raccontò a mia moglie che non aveva intenzione di uccidere, ma solo di far cessare i festeggiamenti, di spaventare insomma quelle persone che erano lì dentro. Disse che facevano troppo baccano per cui sparò per farli smettere. Malauguratamente le due vittime erano salite sul tavolo e furono attinte dai due colpi sparati.
La cronaca di cui sono in possesso non fornisce altri particolari, salvo la circostanza che il secondo sparo si udì a 30 secondi dal primo, circostanza questa inverosimile perché un fucile da guerra italiano dell’epoca, il mod. 91/38, fa un botto molto forte, tale da dare il tempo di appiattirsi a terra, ed inoltre, si trattava di persone che non potevano non conoscere lo sparo di un’arma da guerra e riconoscerlo.
Io ho sparato con quell’arma, è a caricamento manuale e fra lo sparo e la ricarica della cartuccia nella camera di scoppio, ci vogliono cinque-sei secondi in condizioni di tranquillità.
Costi sparò in rapida successione, mirando solo lo specchio della finestra, a metà finestra, credo sia vero che le indagini siano state a senso unico, altrimenti era agevole capire che quello era stato un duplice omicidio colposo, altro che strage.
Significativamente Campani esprime la sua opinione:
“Sparò e poi scappò via, forse ignaro di avere ucciso.”.
Costi disse che non lo seppe dopo, che aveva combinato un disastro.
Continua il Campani:
“Varrebbe la pena di approfondire alcuni articoli interessanti, come quello del Corriere che ricostruisce il profilo di Costi riportandone il nomignolo “asino sapiente” raccolto tra gli avversari politici locali, o quello di Lino Rizzi che traccia le linee di “un grande equivoco tipicamente emiliano, il pepponismo”. Per ragioni di spazio facciamo invece un salto in avanti di due anni, quando, nel mese di marzo, si svolge il processo. La stampa lo segue con risalto.”
Riporta poi un articolo del Corriere della sera:
“Attirano la nostra attenzione gli articoli con cui Luciano Bellis (pseudonimo di Eugenio Corezzola) ricostruisce i fatti sul settimanale liberale Il Tricolore cui ha appena dato vita. Un particolare per noi inedito: “Il brigadiere dei carabinieri che agiva in borghese e in incognito nella zona di Colombaia, forte della sua buona conoscenza del dialetto, si presentò come inviato del Partito Comunista, mostrando anche una falsa tessera del partito. Avvicinò alcuni ‘compagni’ dicendo che bisognava salvare il partito, invitandoli a fornire gli elementi per evitare sorprese. Allora qualcuno parlò. Si disse che il Costi aveva manifestato intenzioni minacciose e che era l’unico a possedere un fucile da guerra”. . In Corte d’Assise a Reggio furono la tesi della seminfermità mentale (non accolta) e della premeditazione quelle su cui ruotò l’entità del verdetto, emesso l’11 marzo 1957. Guerrino Costi fu condannato a 29 anni e 9 mesi di reclusione, come apprendiamo da una Gazzetta di Reggio dove Giulio Fornaciari, che sempre aveva seguito il caso, concentra la sua attenzione sulle mani del colpevole dopo averle osservate per i quattro giorni del dibattimento.
Non conosciamo quali furono le acute deduzioni di Fornaciari.
Conclude il Campani:
““Guerrino delle Salde”, che espiò la sua pena (in appello ridotta a 26 anni e 8 mesi) uscendo dal carcere - in libertà condizionale e proprio grazie all’intercessione delle parti lese - l’8 maggio 1976, tornò a Colombaia per gli ultimi anni della sua vita.”.
Si voleva un responsabile ed una condanna esemplare: la confessione c’era, giocoforza ci fu anche la condanna esemplare.
Non posso ricordare se fu grazia presidenziale o liberazione condizionale, ricordo con certezza che curai personalmente la pratica.
Concordo con il nipote Vasco, Guerrino era un uomo buono, semplice e schietto, non portato, per forza di cosa, a grandi speculazioni.
Io ne conservo gelosamente intatto il ricordo nella mia mente e nel mio cuore.
Sarà che sto invecchiando e diventando sentimentale ?


6 commenti:

Anonimo ha detto...

Commovente...

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Grazie cocca.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Di recente ho detto che nella fattispecie poteva individuarsi un reato per omicidio preterintenzionale.
Mi sbagliavo, meglio la memoria mi ha tradito (è pur sempre un post di due anni fa). Ma la memoria mi ha tradito non solo nell’episodio ma anche in qualche cognizione che ancora mi rimane (ed ha pur sempre bisogno di essere rinfrescata) per cui un rapido riesame mi ha convinto dell’errore, in quanto nell'omicidio preterintenzionale è necessario che ci sia la volontà specifica di offendere ma non di uccidere che poi la situazione, per così dire, sfugga di mano (dal latino praeter = oltre, ossia oltre l'intenzione).
Credo che nel caso di Costi ci sia qualcosa di più favorevole ancora: data la posizione al momento dello sparo, l'altezza della finestra, l'impossibilità di vedere chi ci fosse dentro, e la circostanza, assolutamente imprevedibile, della presenza di due persone su un tavolo, che dunque le poneva nella traiettoria di fuoco che altrimenti avrebbe colpito il soffitto, un buon avvocato avrebbe potuto agevolmente sostenere l'omicidio colposo con colpa cosciente (tra i 7 e i 9 anni), per ottenere, nella peggiore delle ipotesi, un omicidio volontario a dolo eventuale (22 anni massimo). Basta ricordare il caso di Marta Russo, la studentessa della Sapienza: il P.M. si è battuto per dolo eventuale, la difesa per L’omicidio colposo, e alla fine è stato ottenuto un omicidio colposo con colpa cosciente, ossia aggravato dalla negligenza di non aver tenuto in considerazione un evento non prevedibile ma possibile: 9 anni all'autore e 4 al complice. Confermati dalla Cassazione.
Costi fu condannato a 29 anni e mesi 9, ridotti in appello a 26 anni e 8 mesi.

Anonimo ha detto...


Insomma ha scontato oltre il dovuto!
Madda

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

PROPRIO COSI'.

Anonimo ha detto...

Nel caso di Costi non c'è alcun dubbio che l'imputazione fosse sbagliata sul piano giuridico e giustificata solo dal contesto storico-politico.
Roberto Ormanni