lunedì 3 novembre 2008

UN VIAGGIO DI NOZZE ROVINATO



ROBERTO ORMANNI
DIRETTORE DE
IL PARLAMENTARE

Prima di raccontarvi la storia che Gente d’Italia ha ricostruito, dobbiamo fare una premessa.
I tempi della giustizia, in Italia, sono superiori a quelli di qualunque altro Paese occidentale. Un sistema di regole processuali pesante e complicato, un meccanismo di garanzie che sono in molti a giudicare più un ostacolo al raggiungimento della verità che un modo per proteggere gli imputati da eventuali errori o abusi giudiziari. Sta di fatto che negli ultimi anni più di una volta l’Europa ha richiamato il governo italiano alla necessità di adottare rimedi efficaci per raggiungere l’obiettivo della “ragionevole durata” dei processi, sia civili che penali. E più volte i governi hanno promesso e annunciato riforme radicali che, nei fatti, sono mancate o si sono rivelate inadeguate.
Intanto, dal 2001, una legge, la cosiddetta legge Pinto, dal nome del parlamentare primo firmatario della proposta (il senatore Michele Pinto la presentò nel 1999) assicura a chiunque sia stato costretto ad attendere per anni una sentenza civile o una decisione del giudice penale (non importa se colpevole o innocente o se ha vinto o perso la causa civile) un indennizzo. Per ogni anno in più rispetto al limite della “ragionevolezza” (che viene individuato per ogni singolo caso in relazione alla difficoltà della questione da affrontare, al numero di testimoni o di imputati e così via) spetta un risarcimento compreso tra i due e i tremila euro.
L’Italia è stata costretta ad approvare la legge dopo numerosi solleciti dell’Unione Europea. La Corte dei diritti dell’Uomo infatti, che ha sede a Strasburgo, veniva sommersa da ricorsi provenienti dall’Italia in cui si chiedeva un risarcimento per l’eccessiva durata dei processi. La Convenzione dei Diritti dell’Uomo infatti inserisce tra i diritti fondamentali quello di avere giustizia in tempi ragionevoli. E i magistrati della Corte europea ogni anno emettevano dalle duecento alle trecento sentenza di condanna dell’Italia che obbligavano il ministero della Giustizia a pagare gli indennizzi ai cittadini stritolati nel lentissimo meccanismo processuale.
Dopo alcuni anni di superlavoro per colpa degli italiani, dall’Europa è arrivato l’ultimatum: senza una legge che consentisse di risolvere il problema degli indennizzi, l’Europa avrebbe aperto una procedura d’infrazione alle regole comunitarie a carico dell’Italia che avrebbe potuto concludersi anche con la sospensione del nostro Paese dall’appartenenza all’Unione.
Negli ultimi sette anni, ogni anno, il ministero della Giustizia – in questo caso senza bisogno di aspettare le condanne della Corte dei diritti – paga centinaia di migliaia di euro in nome della legge Pinto.
Credete che dopo tutto questo l’Italia si sia messa al passo con gli standard europei? La storia di Giacomo e Nunzia è sufficiente a rispondere all’interrogativo.
Il loro viaggio di nozze è stato rovinato da disagi e disservizi e la coppia di (allora) giovani sposi ha fatto causa al tour operator, alla compagnia aerea e all’agente di viaggi chiedendo un risarcimento ma 22 anni non sono stati sufficienti per arrivare ad una sentenza definitiva.
L’odissea giudiziaria di Giacomo De Francesco e Nunzia Merlino comincia l’11 maggio 1987 davanti al tribunale di Messina e il 30 settembre scorso la Cassazione, dopo 21 anni, 4 mesi e 15 giorni, ha annullato con rinvio la sentenza della Corte d’appello messinese.
Una sentenza che riporta la causa al giudizio di secondo grado e così, l’anno prossimo, a 22 anni dal viaggio rovinato, nuovo appuntamento davanti alla Corte d’appello di Messina dove avrà inizio il quarto processo che, in teoria, potrà poi tornare in Cassazione. A conti fatti, e se tutto va bene, la causa dei coniugi De Francesco potrà concludersi tra il 2011 e il 2012, cioè 26 anni dopo i fatti.
Intanto, Giacomo e Nunzia hanno qualche capello grigio, qualche chilo in più e una delle tre società chiamate in causa, l’agente di viaggi, è fallita e il curatore, naturalmente, non si è nemmeno costituito nei giudizi successivi.
La storia dei De Francesco è emblematica per capire come “funziona” la giustizia civile in Italia.
Giacomo e Nunzia acquistano dall’agenzia Meo Viaggi il loro viaggio di nozze: 15 giorni in Brasile, nel settembre 1986, con tappe nei luoghi più belli e suggestivi. Tour operator è la Casual Viaggi e Varig la compagnia aerea di riferimento. Ma non tutto va come previsto e l’elenco dei disservizi è agli atti del processo: i due sposi sono stati alloggiati in hotel a tre stelle anziché a quattro come dichiarato, i bagagli sono stati smarriti e mai più ritrovati, il volo Varig per le cascate di Iguacu è stato dirottato all’aeroporto di Asuncion per motivi tecnici, in questo aeroporto tutti i passeggeri sono rimasti senza informazioni né assistenza per quasi cinque ore, un pullman ha poi impiegato nove ore per trasportarli ad Iguacu ma nessuno ha mai detto quanto sarebbe durato il viaggio, hanno dovuto pagare di tasca propria due notti d’albergo a Iguacu ricevendo il rimborso di una notte sola, sono stati nuovamente lasciati in aeroporto in attesa del volo di ritorno per un giorno intero ancora una volta senza informazioni e assistenza, sono poi stati trasferiti di nuovo in albergo perché l’aereo non è più partito. Come non bastasse, a seguito di questi disservizi sono “saltati” sei giorni di vacanza compreso il soggiorno a Manaus che pure facevano parte del pacchetto già acquistato.
Quando la Casual Viaggi, la Varig e la Meo Viaggi si vedono notificare il primo atto di citazione, l’11 maggio 1987, rispondono con il più classico degli “scaricabarile”: la Meo afferma di essere una semplice intermediaria per l’acquisto del viaggio e dunque le responsabilità non possono essere sue, la Casual dice che è un problema di Varig, la Varig dichiara che non può farci nulla perché è tutta colpa delle imprevedibili condizioni del tempo e delle decisioni del ministero dell’Aeronautica brasiliano che aveva chiuso alcuni aeroporti.
Il 21 gennaio 2000, dopo “appena” 13 anni di causa, il tribunale di Messina condanna la Varig a risarcire 800 dollari, la Casual a pagare 2 milioni (di lire), tiene fuori la Meo Viaggi e compensa le spese. In pratica, Giacomo e Nunzia devono pagare di tasca propria l’avvocato anche se hanno vinto la causa.
Gli sposi De Francesco non ci stanno, chiedono un risarcimento maggiore e fanno appello. Intanto la Meo Viaggi fallisce ed esce definitivamente di scena.
Il 2 ottobre 2003 la Corte d’appello di Messina respinge tutti gli appelli (anche quello della Casual, che non voleva pagare i 2 milioni) e, per giunta, condanna i De Francesco a pagare loro le spese legali della Varig.
I coniugi De Francesco non mollano e l’11 novembre 2004 presentano ricorso in Cassazione lamentando, in particolare, il fatto che i giudici abbiano deciso di limitare il risarcimento, “in mancanza di dolo”, soltanto ai danni cosiddetti “prevedibili” ritenendo perciò sufficienti i 2 milioni posti a carico della Casual e gli 800 dollari della Varig. Anche perché, dicono i magistrati d’appello, è provato che il mancato atterraggio a Iguacu, che avrebbe dovuto avvenire il 18 settembre 1986, “è da addebitare al ministero dell’Aeronautica del Brasile che, come dimostrato dalla documentazione esibita da Varig, decise la chiusura improvvisa dell’aeroporto”.
Alla Suprema Corte “bastano” poco meno di quattro anni per prendere una decisione. La sentenza della terza sezione civile (n. 24344, presidente Varrone, depositata il 30 settembre scorso) accoglie il ricorso di Giacomo e Nunzia e annulla con rinvio la sentenza del 2003 della Corte d’appello di Messina “bacchettando” i giudici di secondo grado che “hanno omesso ogni motivazione sulla responsabilità sia di Varig che di Casual per gli inadempimenti e i disguidi che si sono verificati, a prescindere dall’atterraggio in località diversa da Iguacu”. La Cassazione sottolinea che “smarrimento dei bagagli, mancanza della guida, mancanza di assistenza nell’emergenza, prestazioni alberghiere di classe inferiore, indubbiamente costituiscono inadempimento dell’organizzatore del viaggio, cioè alla Casual”. La Corte aggiunge inoltre che sono “imputabili al vettore”, ossia a Varig, “la trascuratezza e l’incuria nei confronti dei viaggiatori”.
E ancora, la Cassazione censura la sentenza d’appello nella quale “manca ogni motivazione sui parametri adottati per quantificare il danno dello smarrimento dei bagagli, anche in base alle convenzioni internazionali in materia”. A questo proposito i giudici del Palazzaccio ricordano che “la liquidazione equitativa dei danni non deve consistere in una liquidazione arbitraria, priva di ogni riferimento ai parametri utilizzati”.
Infine la Cassazione “invita” i giudici di secondo grado a spiegare perché “sarebbero imprevedibili i disguidi relativi alla categoria alberghiera inferiore, alla mancanza di una guida, all’omessa assistenza e alla perdita di escursioni programmate”. Si tratta invece, secondo gli ermellini, “di inconvenienti tipici dei viaggi organizzati”.
La sentenza depositata nei giorni scorsi annulla perciò la precedente decisione e “rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Messina affinché decida la controversia”.
Bisognerà attendere una nuova sentenza che tenga conto delle osservazioni della Cassazione. Una sentenza che, come prevede la legge, potrà essere nuovamente impugnata in Cassazione prima di una conferma definitiva.
Intanto Giacomo e Nunzia, che hanno iniziato la causa da giovani sposi, si apprestano a festeggiare le nozze d’argento. E, alla fine, potranno avviare un’altra causa, questa volta contro il ministero della Giustizia, chiedendo un ulteriore risarcimento per l’eccessiva durata del processo civile. Un diritto previsto dalla legge Pinto. La richiesta dovrà essere giudicata dalla Corte d’appello di Reggio Calabria. Che dovrebbe deciderla in un tempo ragionevole.

Roberto Ormanni

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