venerdì 12 dicembre 2008

Il Paese avanti e indietro

LA STAMPA
12/12/2008
MATTIA FELTRI

Il maestro unico, che poi così unico non è, poiché già lo chiamano «prevalente», sta per diventare parzialmente prevalente, e cioè sarà affiancato non soltanto dai subordinati - cui spetta il compito di insegnare materie secondarie o integrative come inglese o ginnastica - ma anche dai coordinati con l’aiuto dei quali sarà garantito il tempo pieno, e cioè le lezioni pomeridiane. La grande riforma, già abbassata al rango di vigorosa messa a punto dai responsabili ministeriali, rischia di ridursi a una messa a punto senza vigore con sforbiciata degli sprechi più evidenti.

Il ministro Mariastella Gelmini nega la marcia indietro: secondo lei (e lo ripete oggi in un’intervista alla Stampa) la riforma quella era e quella rimane, e tutto il resto è polemicuccia. L’impressione di molti osservatori è un’altra: qualcosa è stato dilazionato, qualcosa attenuato. Se così fosse, come sembra, non si tratterebbe per forza di arrendevolezza, o correzione dell’errore.

Ma si tratterebbe di coscienziosa presa d’atto che non si può fare tutto ciò che si ritiene giusto, non tutto subito, non tutto per forza. Le proteste di piazza, in buona parte fomentate, conservatrici e pretestuose, comunque incidono sui sondaggi, e le famiglie, private di un comodo asilo pomeridiano per figli, fanno sapere la loro nelle indagini demoscopiche. E poi i cambiamenti, se bruschi, diventano ingovernabili e una riduzione troppo drastica dei posti di lavoro, in tempo di crisi, è una grana di cui il governo non ha bisogno.

Sarebbe tutto accettabile, o quasi, non fosse che l’entusiasmo dell’esecutivo va a sbattere sempre più spesso contro la realtà dei fatti. Ancora di ieri è l’indiscrezione su Renato Brunetta disposto a rivedere con più indulgenza la disciplina delle visite fiscali ai dipendenti ammalati della pubblica amministrazione. La famosa politica dell’annuncio quasi mai regge. I propositi bellicosi e scoppiettanti partoriscono provvedimenti attenuati o spuntati, con qualche cedimento lessicale (maestro unico e prevalente, cabina di regia, bicameralina) che non lascia intravedere la rivoluzione. Il ministro dell’Interno, il leghista Roberto Maroni, spalleggiato da Alleanza nazionale, proclamò il reato d’immigrazione clandestina e l’espulsione per i comunitari nullatenenti prima che la commissione europea annacquasse la prima norma e cancellasse la seconda.

Il formidabile federalismo fiscale, pensato per rivoltare l’Italia in due mesi, è oggi una cornice vuota, e il quadro sarà dipinto in Parlamento, previo dialogo, da una commissione di saggi. Persino il rigorosissimo Giulio Tremonti qua e là ha dovuto ammorbidirsi, per esempio restituendo alle Forze dell’ordine ottanta milioni e, su sollecitazione del Vaticano, i fondi per le scuole private. Lo stesso Silvio Berlusconi è stato costretto a rivedere i suoi piani: i graffitari non vanno in galera e la regolamentazione delle intercettazioni telefoniche è ancora oggetto di trattativa. Le Province non saranno abolite, le scuole di montagna non saranno chiuse e la giustizia (la separazione delle carriere, degli ordini o delle funzioni, la cancellazione dell’obbligatorietà dell’azione penale, la messa in prova, il settore civile) continua a essere la palestra di semplice esercizio di un Angelino Alfano all’inseguimento del suo burrascoso premier.

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