di EDMONDO BERSELLI
NESSUNO a sinistra si faceva illusioni sul risultato delle elezioni regionali in Abruzzo. Ma, di fronte ai numeri che si profilano via via che affluiscono i dati, cresce la sensazione che il voto abruzzese non rappresenti un esito soltanto locale, e nemmeno solo il risultato fisiologico dello scandalo nella Sanità che ha coinvolto il presidente Ottaviano Del Turco e ha abbattuto il governo regionale di centrosinistra. Il primo e plateale dato da mettere in rilievo, infatti, è la caduta della partecipazione al 53 per cento, quasi trenta punti al di sotto delle ultime consultazioni politiche e quindici rispetto alle precedenti elezioni regionali.
Dunque occorre prendere atto che la sinistra vede profilarsi una rottura impressionante con il proprio elettorato. Giustificato in larga misura dalla vicenda giudiziaria in cui è rimasto implicato Del Turco: ma come dimenticare, allora, che anche in altre regioni a maggioranza di sinistra, come in Toscana e in Campania, la questione di legalità potrebbe incrinare il consenso più consolidato?
Ce ne sarebbe abbastanza per lanciare un allarme severo, se non fosse che il voto abruzzese mette in rilievo fattori stridenti soprattutto per il Pd. Il partito di Walter Veltroni perde in percentuale circa 11 punti (mettendo nel conto la lista territoriale dei Democratici per l'Abruzzo), rispetto alle politiche: si tratta di una caduta scontata, in cui si sommano ragioni locali e la perdita di velocità al livello nazionale, ma la cui ampiezza potrebbe avere ripercussioni anche al vertice del partito, a dispetto degli sforzi di compattamento sperimentati negli ultimi giorni.
Il fatto è che il voto in Abruzzo mette allo scoperto le numerose incertezze e tutti i possibili punti di crisi del Pd. In queste elezioni regionali infatti si era varata un'alleanza simile all'Unione, ossia estesa fino ai partiti della ex Sinistra Arcobaleno: una geometria variabile necessaria sul piano regionale, e consentita dalla separazione "consensuale" praticata prima delle elezioni di aprile della scelta più o meno solitaria di Veltroni, ma che comunque non apporta elementi di chiarezza nella strategia politica complessiva del centrosinistra.
A maggior ragione se l'alleato più scomodo, cioè l'Italia dei Valori di Antonio di Pietro, dopo avere ottenuto la guida della coalizione con Carlo Costantini, ha raddoppiato i propri voti rispetto alle elezioni di aprile (e quasi sestuplicato i consensi rispetto alle regionali del 2005). Si profila quindi l'esasperazione della partnership rivale fra Di Pietro e il Pd, al punto che, a partire dalla direzione dei Democratici del 19 dicembre, potrebbe porsi il dilemma di un'alleanza squilibrata, in cui l'Idv attacca a trecentosessanta gradi con la sua durezza giustizialista, e il Pd prende tutte le botte, anche quelle destinate più generalmente alla politica, all'illegalità, ai "corrotti".
Insomma all'interno dell'alleanza voluta da Veltroni l'asimmetria è assai forte. Se si prende nota di una piccola ripresa della sinistra antagonista, si ha la sensazione che nel prossimo futuro, cioè alle elezioni europee, il Pd sia attaccabile da troppi fronti. E non consola l'idea che l'altra opposizione, quella rappresentata dall'Udc, seppure in condizioni di grave tensione e sofferenza, nella sostanza abbia tenuto le posizioni.
Piuttosto, va messo agli atti che, a dispetto di condizioni ultrafavorevoli, il Pdl non sfonda come si poteva immaginare. Evidentemente, la crisi della politica, con il collasso della partecipazione dei cittadini, fa sentire i suoi effetti lungo tutto l'arco politico. Nessuno è esente dai contraccolpi della perdita di credibilità della politica. E questo, al di là della crisi del Pd, è l'elemento di maggiore spicco nel voto in Abruzzo, un dato che dovrebbe destare allarme anche nei vincitori: perché quel 53 per cento è il segnale di un distacco abissale, che dovrebbe portare a trattare con minore enfasi i consensi trionfali verso il governo: è una specie di ritiro della fiducia, e quando la fiducia si spegne, per la vita democratica cominciano i guai.
(16 dicembre 2008)
Dunque occorre prendere atto che la sinistra vede profilarsi una rottura impressionante con il proprio elettorato. Giustificato in larga misura dalla vicenda giudiziaria in cui è rimasto implicato Del Turco: ma come dimenticare, allora, che anche in altre regioni a maggioranza di sinistra, come in Toscana e in Campania, la questione di legalità potrebbe incrinare il consenso più consolidato?
Ce ne sarebbe abbastanza per lanciare un allarme severo, se non fosse che il voto abruzzese mette in rilievo fattori stridenti soprattutto per il Pd. Il partito di Walter Veltroni perde in percentuale circa 11 punti (mettendo nel conto la lista territoriale dei Democratici per l'Abruzzo), rispetto alle politiche: si tratta di una caduta scontata, in cui si sommano ragioni locali e la perdita di velocità al livello nazionale, ma la cui ampiezza potrebbe avere ripercussioni anche al vertice del partito, a dispetto degli sforzi di compattamento sperimentati negli ultimi giorni.
Il fatto è che il voto in Abruzzo mette allo scoperto le numerose incertezze e tutti i possibili punti di crisi del Pd. In queste elezioni regionali infatti si era varata un'alleanza simile all'Unione, ossia estesa fino ai partiti della ex Sinistra Arcobaleno: una geometria variabile necessaria sul piano regionale, e consentita dalla separazione "consensuale" praticata prima delle elezioni di aprile della scelta più o meno solitaria di Veltroni, ma che comunque non apporta elementi di chiarezza nella strategia politica complessiva del centrosinistra.
A maggior ragione se l'alleato più scomodo, cioè l'Italia dei Valori di Antonio di Pietro, dopo avere ottenuto la guida della coalizione con Carlo Costantini, ha raddoppiato i propri voti rispetto alle elezioni di aprile (e quasi sestuplicato i consensi rispetto alle regionali del 2005). Si profila quindi l'esasperazione della partnership rivale fra Di Pietro e il Pd, al punto che, a partire dalla direzione dei Democratici del 19 dicembre, potrebbe porsi il dilemma di un'alleanza squilibrata, in cui l'Idv attacca a trecentosessanta gradi con la sua durezza giustizialista, e il Pd prende tutte le botte, anche quelle destinate più generalmente alla politica, all'illegalità, ai "corrotti".
Insomma all'interno dell'alleanza voluta da Veltroni l'asimmetria è assai forte. Se si prende nota di una piccola ripresa della sinistra antagonista, si ha la sensazione che nel prossimo futuro, cioè alle elezioni europee, il Pd sia attaccabile da troppi fronti. E non consola l'idea che l'altra opposizione, quella rappresentata dall'Udc, seppure in condizioni di grave tensione e sofferenza, nella sostanza abbia tenuto le posizioni.
Piuttosto, va messo agli atti che, a dispetto di condizioni ultrafavorevoli, il Pdl non sfonda come si poteva immaginare. Evidentemente, la crisi della politica, con il collasso della partecipazione dei cittadini, fa sentire i suoi effetti lungo tutto l'arco politico. Nessuno è esente dai contraccolpi della perdita di credibilità della politica. E questo, al di là della crisi del Pd, è l'elemento di maggiore spicco nel voto in Abruzzo, un dato che dovrebbe destare allarme anche nei vincitori: perché quel 53 per cento è il segnale di un distacco abissale, che dovrebbe portare a trattare con minore enfasi i consensi trionfali verso il governo: è una specie di ritiro della fiducia, e quando la fiducia si spegne, per la vita democratica cominciano i guai.
(16 dicembre 2008)
1 commento:
L'analisi di Edmondo Berselli è perfetta, tranne per un punto, anzi una omissione: egli non dice che (come egli ben sa) nelle moderne democrazie l'opposizione fa il suo mestiere di contrasto totale all'azione del governo in carica, sopratutto ma non solo nelle tornate elettorali.
Di Pietro che lo sa bene anch'egli e poi è anche astuto, fa opposizone dura ed intrasigente e viene premiato.
Veltroni non la fa e viene punito.
Ma adesso credo abbia capito che la deve fare, altrimenti consegna il partito in mani improvvide e non del tutto pulite.
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