sabato 28 marzo 2009

Berlusconi, gaffe «americana» sbaglia nome e dimentica gli schiavi


di Tullia Fabiani

Richiami nobili, citazioni dotte. Guardando al passato per "fare futuro"; pescando con opportunismo nel repertorio della storia. Perché la storia, già la storia "siamo noi". Il premier Silvio Berlusconi, fondatore, promotore, capo indiscusso del neonato Popolo della Libertà, ieri nel suo discorso al Congresso, battezza così la sua creatura, motivando la scelta del nome: con riferimenti decisi alle origini delle democrazie occidentali; ai loro valori; alle loro prospettive culturali e politiche. A tutto ciò che ha portato a chiamare il neonato, "Popolo". E non "partito".

Il popolo è quello a cui la Costituzione italiana attribuisce la sovranità, ricorda il premier. E lui, da leader, ha saputo nel tempo ben tradurre tale attribuzione in una sovranità mediatica assoluta e speculare, fatta di televoti e televendite. Il popolo è il primo soggetto della Costituzione degli Stati Uniti d'America (1787). Dice Berlusconi: «Benjamin Franklin, Thomas Jefferson, George Washington e gli altri padri fondatori degli Stati Uniti d’America vollero iniziare con queste parole la loro Costituzione, che era al tempo stesso una dichiarazione d’indipendenza e di libertà: “Noi, il popolo degli Stati Uniti”».

Qualcuno, come fa qualche lettore attento alla storia da manuale, potrebbe additare un'imprecisione, un errore: il fatto, ad esempio, che Thomas Jefferson, estensore della Dichiarazione d'Indipendenza, non partecipò ai lavori della Costituzione, non era tra i 55 delegati, provenienti dai 13 stati americani, «perché in quel periodo, dal 1785 fino al 1789, si trovava in Francia inviato come diplomatico a Parigi e non partecipò in modo diretto alle discussioni». Ma non è tanto questione di fare i nomi giusti, pure se può avere una sua importanza nelle citazioni. È piuttosto, come nota Alessandro Portelli, americanista e docente all'Università La Sapienza di Roma, una questione di valutazione nel fare i riferimenti. E nel farli senza ambiguità e confusione.

In altre parole: «Nella Costituzione americana, al di là dell'incipit che vede i fondatori chiamati in causa in quanto 'popolo' - osserva Portelli - veniva accettata la schiavitù, e pure se chiaramente va considerato il contesto, resta il fatto che mancava un'idea di diritto universale. Un nero, in quanto schiavo, valeva 3/5 di un essere umano - continua l'americanista - e il popolo cui ci si riferiva era di fatto un'elite colta, abbiente e maschile». Quindi l'obiezione: «Non ci si può richiamare a quella Costituzione e al popolo cui si rifaceva nel 1787. Considerata allora era un testo d'avanguardia, ma oggi è un altro mondo».

Proprio un altro mondo, a cominciare dal presidente Barack Obama. «Non c'è nulla in comune tra Berlusconi e Obama - afferma Portelli - tanto per la loro storia culturale, che per il modo di fare politica sono molto, molto lontani. Il fatto di voler mostrare somiglianze da parte di Berlusconi, battute a parte, è solo l'ennesimo atto con cui fagocitare modelli. L'intero universo per Berlusconi confluisce in lui». E se così è figuriamoci la storia.

28 marzo 2009

2 commenti:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

La solita figura di merda.

Francy274 ha detto...

Aiutoooo!!
Evito d'ascoltarlo sulla sua amata TV, ma poi non riesco a sottrarmi dal leggere simili articoli.
E'un obice che spara sui cervelli fusi di chi, ormai in trance, continua a sentirlo in automatico.
Deprimente!!!