Da oggi Forza Italia e Alleanza nazionale non ci sono più, e al loro posto esiste un unico partito della destra, il Popolo della Libertà: lo sta creando ancora una volta Silvio Berlusconi, che proprio ieri - davanti a una platea entusiasta - ha inaugurato a Roma la tre giorni che sancirà la definitiva unificazione fra il partito del premier e il partito del presidente della Camera. Ha fatto bene Berlusconi, ha fatto bene Fini. Soppesati i pro e i contro, la fusione fra Forza Italia e Alleanza nazionale mi sembra un evento positivo un po’ per tutti. È positivo per il partito di Fini, altrimenti votato a un destino di subalternità a Forza Italia: a differenza della Lega, An non ha un insediamento territoriale forte, né alleati possibili diversi da Forza Italia. È positivo per il partito di Berlusconi, perché senza la «trasfusione di militanza» assicurata dai nuovi venuti, Forza Italia correrebbe il rischio di un drastico ridimensionamento al momento dell’uscita di scena di Berlusconi. È positivo per l’Italia, perché in un contenitore unico le (modeste) differenze ideologiche e programmatiche fra i due principali partiti della destra avranno più possibilità di esprimersi su un piano puramente politico, anziché essere artificiosamente amplificate a fini elettorali (come è successo, ad esempio, in materia di sicurezza).
Tanto più che, proprio per il carisma di Berlusconi, tali differenze non avranno il potere paralizzante che le differenze hanno invece sempre avuto a sinistra, dove la divisione fra sinistra riformista e sinistra estrema ha abbattuto due governi Prodi (nel 1998 e nel 2008), mentre le «diverse sensibilità» interne al neonato Pd sono bastate a far naufragare un progetto covato oltre un decennio. Che un solo partito sia meglio di due non significa, tuttavia, che il quadro politico che esce dalla festa di questi giorni sia particolarmente incoraggiante per il Paese. Il partito democratico di Veltroni e Franceschini ha già dimostrato ampiamente di non essere il partito riformista, coraggioso e liberale, che le sue migliori intelligenze hanno sognato per anni. Ma il Pdl non sembra dare molte garanzie in più. Alleanza nazionale non è mai stato un partito modernizzatore, Forza Italia lo è stato per una decina d’anni, fino a quando - complice il ristagno economico e l’intransigenza sindacale - ha capito che spingersi troppo in là sulla strada delle riforme avrebbe compromesso le basi del proprio consenso elettorale. Non a caso, in questi giorni, la definizione del nuovo partito più ascoltata è stata «casa dei moderati», un’etichetta impensabile quindici anni fa, quando Forza Italia sembrava promettere una rivoluzione liberale (un impegno ritualmente evocato da Berlusconi anche ieri, ma reso poco credibile dalle promesse mancate del 2001-2006, per non parlare delle pulsioni stataliste di oggi). La realtà, purtroppo, è che le forze che puntano sulla modernizzazione dell’Italia sono in minoranza sia nel Paese sia in Parlamento, e lo sono da sempre. C’è stata, è vero, una breve stagione, grosso modo il decennio 1994-2004, nella quale sia la destra sia la sinistra hanno provato a modernizzare l’Italia, ma quella stagione - vista nella prospettiva della lunga durata - è stata come un breve squarcio di sole in una giornata nuvolosa. La nostra cultura politica resta, nonostante ogni velleità modernizzatrice, fondamentalmente figlia delle tre grandi ideologie del secolo scorso, il comunismo, il fascismo, il cattolicesimo. Oggi la patina ideologica si è ritirata quasi completamente, come un ghiacciaio sciolto dall’effetto serra, ma la scorza più dura - fatta di statalismo, dirigismo, paternalismo - è ben in vista, e si sta anzi irrobustendo: la crisi economica aumenta la domanda di protezione e di tutela, mentre la libertà individuale sta diventando una sorta di bene di lusso, che viene dopo la sicurezza economica e personale. Se lasciamo perdere i soliti schemi astratti - destra e sinistra, laici e cattolici - e guardiamo a quel che i partiti sono effettivamente diventati nella seconda Repubblica, il quadro che l’elettore ha di fronte non è dei più ricchi. Tutti i partiti, compresa la Lega, sono impegnati innanzitutto a tutelare il potere degli amministratori locali, e si oppongono tenacemente a qualsiasi norma che rischi di ridurre le risorse a loro disposizione, o di diminuire il loro potere di nomina: non per nulla né il centro-sinistra né il centro-destra hanno avuto il coraggio di varare una riforma incisiva dei servizi pubblici locali, non per nulla il federalismo fiscale è stato progressivamente annacquato per venire incontro al ceto politico dei territori più spreconi. Quanto ai due maggiori partiti, il Pd e il Pdl sono entrambi - oggi - due partiti conservatori di massa, che si differenziano fra loro essenzialmente per gli interessi verso cui hanno un occhio di riguardo: la sinistra non ha la minima intenzione di disturbare la sua base sociale, fatta di pensionati e lavoratori «garantiti», la destra non ha la minima intenzione di disturbare la propria, fatta di partite Iva, ceti professionali, imprenditori. La sinistra non avrà mai il coraggio di riformare il mercato del lavoro, sfidare i sindacati, abbandonare le corporazioni dei magistrati, degli insegnanti, dei professori universitari. La destra non avrà mai il coraggio di combattere l’evasione fiscale, estirpare il lavoro nero, liberalizzare il commercio e le professioni, difendere i consumatori contro gli abusi delle imprese, grandi o piccole che siano. Così le cose buone che piacerebbero agli uni sono destinate a restare lettera morta per il veto degli altri. E viceversa. Possiamo pensare che sia un male, perché l’Italia avrebbe bisogno d’innovazione più che di conservazione dell’esistente. Si può pensare anche, tuttavia, che la comune ispirazione conservatrice della destra e della sinistra non sia altro, in fondo, che l’espressione politica di quel che noi stessi siamo. Un popolo in cui l’aspirazione al cambiamento si manifesta a ondate improvvise, come ribellismo anarcoide, su un sottofondo costante, duraturo, pietroso fatto di particolarismo, di tenace attaccamento ai nostri interessi immediati, individuali e di gruppo. Se questo è ciò che siamo, non deve stupire che - da noi - le forze del cambiamento siano minoranza sia a destra sia a sinistra, e che alla fine della storia, dopo un quindicennio di seconda Repubblica, la competizione politica fondamentale sia diventata una sfida fra due conservatorismi. Ancora un anno e mezzo fa avevamo Ds, Margherita, Forza Italia, An. Oggi abbiamo solo Pd e Pdl. Non è un passo indietro, perché le differenze che le due grandi fusioni cancellano - fra Ds e Margherita, fra An e Forza Italia - erano marginali, talora persino artificiose, mentre Pd e Pdl sono due partiti realmente diversi, per visione del mondo, per mentalità, per priorità politiche. Ma non è neppure un grande passo avanti, perché sono diversi soltanto per le cose che vogliono conservare. Così, chi vuole un vero cambiamento non sa chi votare, e chi vuole votare non può aspettarsi un vero cambiamento.
Tanto più che, proprio per il carisma di Berlusconi, tali differenze non avranno il potere paralizzante che le differenze hanno invece sempre avuto a sinistra, dove la divisione fra sinistra riformista e sinistra estrema ha abbattuto due governi Prodi (nel 1998 e nel 2008), mentre le «diverse sensibilità» interne al neonato Pd sono bastate a far naufragare un progetto covato oltre un decennio. Che un solo partito sia meglio di due non significa, tuttavia, che il quadro politico che esce dalla festa di questi giorni sia particolarmente incoraggiante per il Paese. Il partito democratico di Veltroni e Franceschini ha già dimostrato ampiamente di non essere il partito riformista, coraggioso e liberale, che le sue migliori intelligenze hanno sognato per anni. Ma il Pdl non sembra dare molte garanzie in più. Alleanza nazionale non è mai stato un partito modernizzatore, Forza Italia lo è stato per una decina d’anni, fino a quando - complice il ristagno economico e l’intransigenza sindacale - ha capito che spingersi troppo in là sulla strada delle riforme avrebbe compromesso le basi del proprio consenso elettorale. Non a caso, in questi giorni, la definizione del nuovo partito più ascoltata è stata «casa dei moderati», un’etichetta impensabile quindici anni fa, quando Forza Italia sembrava promettere una rivoluzione liberale (un impegno ritualmente evocato da Berlusconi anche ieri, ma reso poco credibile dalle promesse mancate del 2001-2006, per non parlare delle pulsioni stataliste di oggi). La realtà, purtroppo, è che le forze che puntano sulla modernizzazione dell’Italia sono in minoranza sia nel Paese sia in Parlamento, e lo sono da sempre. C’è stata, è vero, una breve stagione, grosso modo il decennio 1994-2004, nella quale sia la destra sia la sinistra hanno provato a modernizzare l’Italia, ma quella stagione - vista nella prospettiva della lunga durata - è stata come un breve squarcio di sole in una giornata nuvolosa. La nostra cultura politica resta, nonostante ogni velleità modernizzatrice, fondamentalmente figlia delle tre grandi ideologie del secolo scorso, il comunismo, il fascismo, il cattolicesimo. Oggi la patina ideologica si è ritirata quasi completamente, come un ghiacciaio sciolto dall’effetto serra, ma la scorza più dura - fatta di statalismo, dirigismo, paternalismo - è ben in vista, e si sta anzi irrobustendo: la crisi economica aumenta la domanda di protezione e di tutela, mentre la libertà individuale sta diventando una sorta di bene di lusso, che viene dopo la sicurezza economica e personale. Se lasciamo perdere i soliti schemi astratti - destra e sinistra, laici e cattolici - e guardiamo a quel che i partiti sono effettivamente diventati nella seconda Repubblica, il quadro che l’elettore ha di fronte non è dei più ricchi. Tutti i partiti, compresa la Lega, sono impegnati innanzitutto a tutelare il potere degli amministratori locali, e si oppongono tenacemente a qualsiasi norma che rischi di ridurre le risorse a loro disposizione, o di diminuire il loro potere di nomina: non per nulla né il centro-sinistra né il centro-destra hanno avuto il coraggio di varare una riforma incisiva dei servizi pubblici locali, non per nulla il federalismo fiscale è stato progressivamente annacquato per venire incontro al ceto politico dei territori più spreconi. Quanto ai due maggiori partiti, il Pd e il Pdl sono entrambi - oggi - due partiti conservatori di massa, che si differenziano fra loro essenzialmente per gli interessi verso cui hanno un occhio di riguardo: la sinistra non ha la minima intenzione di disturbare la sua base sociale, fatta di pensionati e lavoratori «garantiti», la destra non ha la minima intenzione di disturbare la propria, fatta di partite Iva, ceti professionali, imprenditori. La sinistra non avrà mai il coraggio di riformare il mercato del lavoro, sfidare i sindacati, abbandonare le corporazioni dei magistrati, degli insegnanti, dei professori universitari. La destra non avrà mai il coraggio di combattere l’evasione fiscale, estirpare il lavoro nero, liberalizzare il commercio e le professioni, difendere i consumatori contro gli abusi delle imprese, grandi o piccole che siano. Così le cose buone che piacerebbero agli uni sono destinate a restare lettera morta per il veto degli altri. E viceversa. Possiamo pensare che sia un male, perché l’Italia avrebbe bisogno d’innovazione più che di conservazione dell’esistente. Si può pensare anche, tuttavia, che la comune ispirazione conservatrice della destra e della sinistra non sia altro, in fondo, che l’espressione politica di quel che noi stessi siamo. Un popolo in cui l’aspirazione al cambiamento si manifesta a ondate improvvise, come ribellismo anarcoide, su un sottofondo costante, duraturo, pietroso fatto di particolarismo, di tenace attaccamento ai nostri interessi immediati, individuali e di gruppo. Se questo è ciò che siamo, non deve stupire che - da noi - le forze del cambiamento siano minoranza sia a destra sia a sinistra, e che alla fine della storia, dopo un quindicennio di seconda Repubblica, la competizione politica fondamentale sia diventata una sfida fra due conservatorismi. Ancora un anno e mezzo fa avevamo Ds, Margherita, Forza Italia, An. Oggi abbiamo solo Pd e Pdl. Non è un passo indietro, perché le differenze che le due grandi fusioni cancellano - fra Ds e Margherita, fra An e Forza Italia - erano marginali, talora persino artificiose, mentre Pd e Pdl sono due partiti realmente diversi, per visione del mondo, per mentalità, per priorità politiche. Ma non è neppure un grande passo avanti, perché sono diversi soltanto per le cose che vogliono conservare. Così, chi vuole un vero cambiamento non sa chi votare, e chi vuole votare non può aspettarsi un vero cambiamento.
2 commenti:
Bisogna semplicemente, cambiare archetipi!… proprio perché sempre più retrogrado sarà parlare di conservatori e liberali quando la struttura elettoral – istituzionale si manterrà sempre così obsoleta e funzionale al mero speculativo scopo del perpetuare lo “STATUS QUO”! Specialmente in questo nostro pregnante momento dove sempre nuove tecnologie informatiche si aggiungono e si presentano quali elementi determinanti ed implicanti irreversibilmente il nostro futuro aspetti che reclamano adeguamenti su tutti i fronti ed i livelli iniziando dagli attuali meccanismi elettorali frutto di statuizioni formalmente forgiati in quell’era del compassato: paternalistico discente che gli ha ritagliati alle esigenze di quei tempi ormai superati, relegati al compassato, rispetto a questa nostra realtà fattasi sempre più liquida che reclama soluzioni più adeguate e pertinenti tali da rendere sempre più virtuoso e competitivo il nostro sistema paese nel suo complesso.
Pertanto serve cambiare e non continuare a blindarlo pescando nell’obsolescenza od importando acqua calda impiantando un maggioritario e/o un presidenzialismo con la scusa di voler snellire e semplificare il quadro politico quando ulteriormente blinderebbe e renderebbe sempre più autoreferenziale a soli due partiti egemoni per sempre meglio istituzionalizzarli ulteriormente per contribuire ad irrobustire la casta ed a burocratizzare tutto nel suo insieme rendendolo ulteriormente inchiodato su un irremovibile inciucciato perpetuo duopolio alla faccia di ogni auspicata concorrenza che si vorrebbe implementare. Pertanto questo insensato malsano proposito deve essere superato per approdare a modelli più completi che riproducano un vero bipolarismo concorrenziale aperto quanto con il SEMIALTERNO si propugna: “a real crowd open sources’ system!” Pertanto, serve un salto di qualità per riscattarsi da una siffatta asfissiante cattività che c’inchioda su questa modalità funzionale a perpetuamente autoriprodursi e, per formalmente sempre più ripresentarsi sotto le sembianze di conservatori e/o liberali tanto per continuare ad ingreggiare gli armenti ma, per sempre più facilmente proseguire imperterriti a ripristinare il suo solito ricorsivo gioco dell’oca in vario o diverso modo alla “bipartisan” (propinando perpetuamente modalità meramente maggioritarie centripete incardinato prevalentemente sulla governabilità-timone) od alla “polipartisan” (propinando perpetuamente modalità centrifughe attraverso modelli proporzionali imperniato sulla rappresentatività-vela) inconcludenza che non possono che richiamare aggiornamenti tesi a mettere a punto il sistema attraverso una nuova e più completa articolazione dei meccanismi quanto con il sistema SEMIALTERNO si propugna!
Giacché le novità si ottengono assemblando in modo inedito le cose del passato! (Monod) Pertanto, il sistema SEMIALTERNO “è” un sistema a leader implicito in quanto non necessariamente richiede di essere direttamente eletto e la sua peculiarità consiste nel fatto che su una base a "mandata elettorale"(consultazione a turno unico) PROPORZIONALE PURA, (la cui purezza dipende da come si ritagliano i collegi, ovviamente, più ampia sarà la circoscrizione maggiore risulterà la proporzionalità, più piccola diventerà la circoscrizione, più grande sarà lo spreco dei voti, agendo indirettamente così a mo' di fattore di soglia),
Ma, quando la "situazione" si rendesse priva di governo od andasse in stallo (ovvero la legislatura chiudesse prima dei suoi fisiologici tempi, ad esempio prima degli attuali cinque anni “art. 60”) il SEMIALTERNO richiama una consultazione elettorale a turno unico MAGGIORITARIA (es. in collegi plurinominali) od a PREMIO di MAGGIORANZA (anche questa “mandata con premio” risulterà tanto più efficace quanto numericamente ridotti sarà il numero dei collegi elettorali in cui sarà ritagliato il territorio nazionale - idealmente non a base "regionalista")
Dopo, tale mandata con Premio di MAGGIORANZA (o MAGGIORITARIO), comunque, si ritorna alla mandata a “base PROPORZIONALE”- (il termine SEMIALTERNO deriva dal fatto che diventa automatico il passaggio dalla modalità maggioritaria a quella proporzionale ma inverso, in quanto il proporzionale quando la legislatura si conclude sempre nei suoi fisiologici tempi ovvero nei suoi 5 anni come attualmente accade, questa modalità consultiva a base proporzionale potrebbe prolungarsi all’infinito!)
Il SEMIALTERNO comunque meglio funzionerà quanto più l’induzione del suo livello di base “proporzionale” si distinguerà rispetto a quello suo complementare rappresentato dal “maggioritario”. Distinti, quanto per metaforica analogia risultano funzionali alla navigazione il sapersi dotare di una vela ed un timone per poter ottenere efficienza da una barca che risulta ben attrezzata in modo completo con i suoi rispettivi strumenti appunto: vela e timone correttamente sistematizzati ed allocati nei loro opportuni distinti rispettivi (livelli) e sedi. Criteri e requisiti “d’accesso” che si rendono indispensabili per minimamente poter “fisiologicamente” salpare, navigare sia fiumi impetuosi affrontare mari quanto solcare oceani e quindi poter con pertinenza competere a livello globale affrontando attrezzati nuovi futuri orizzonti con l’opportuna sicurezza! Diversamente, senza questi requisiti di sistemica compiutezza, difficile sarà pretendere di poter salpare efficienza ed efficacia da un mezzo che si presenti limitato e/o legato all’obsolescenza se non a mala pena semplicemente poter galleggiare. Questo è quanto accade se si continua a mantenersi ancorati alla solita obsolescenza fatti di anacronistici modelli elettorali lineari ripetitivi Ovvero quando si pretenda navigare:
1) con una vela ed un timone piantati sul medesimo asse.
2) od ancor peggio lo diverrà quando questi attrezzi vengono decurtati in percentuale e/o ridotti l’uno al 75% (maggioritario-timone) rispetto alla sua normale dimensione e l’altro in altrettanto modo venga ridimensionato ad un solo 25% (proporzionale vela); questo purtroppo è come si presentava la barchetta del precedente modello elettorale Mattarellum!
3) Oppure, dover assistere con la scusa del voler migliorare una siffatta palese limitata e limitante barchetta, volerla migliorare agendo col ridurre ancor più i suddetti elementi facendone una vera e propria porcata quanto l’attuale modello elettorale con il “Porcellum” esprime dove si sono semplicemente variati i suddetti rapporti ma, si sono sempre mantenuti i due basilari elementi vela e timone sempre rigidamente innestati ed inchiodati sul medesimo rigido unico stesso ass!
4) Quanto lo sarà aspettarsi corrette risposte importando acqua calda con un anacronistico presidenzialismo impiantato su un perpetuo Maggioritario data la peculiarità della nostra italica realtà strutturalmente diversificata che pretende soluzioni autoctone! Monod
Proprio perché talora, la scelta d’avalutatività dei mezzi, non lo scopo costituiscono il problema! (M.Weber) e, per altro verso evidenzia anche Chomsky afferma che non esistono tecnologie democratiche oppressive, ma solo tecnologie – purché risultino il più possibile strutturate a meccanismi neutri – avalutativi, asintoti! Questa rimane la vera sfida capace di ristrutturare la democrazia: “the actually real understatement” per autonomamente strutturarsi a maggiore fisiologica vocazione implementare aperta, quanto ormai la filogenesi democratica esige e, tutto quanto pretende e protende espandersi e declinarsi in modo sempre più aperto e concorrenziale quale elemento “sine qua non” per meglio saper affrontare le prossimità che la nostr società esprime e pretende acquisire nuovi paradigmi ”gestori multi task” elastico flessibili articolati e non rigidi riproduttori di speculative utoreferenzialità!
Pertanto, riprendendo in considerazione la barca a vela resta assodato che essa dovrebbe possedere in modo funzionale e correttamente allocati nelle opportune sedi ogni suo strumento vela-boma e timone:
Strumenti ai quali per metaforica semplificazione riserveremo al:
• TIMONE la funzione del
MAGGIORITARIO giacché meglio “incardina” la
“KRAZIA” dell’autorevolezza, della decisionalità e della forza delle istituzioni pertanto, esso ben ne rappresenta
la “Ragione” “girando” sull’induzione CENTRIPETA
agevola la GOVERNABILITA’ -
ed alla
• VELA (nello specifico al BOMA) riserveremo quello dell’induzione - centrifuga
PROPORZIONALE che ben ne potrebbe esprimere per complementarietà la
RAPPRESENTATIVITA’ (delle sue più diverse contestuali identità) quale
il “DEMOS” per raffigurarne al meglio la
“Passione” – imperniato sull’induzione
CENTRIFUGA distributiva-
In quanto la stessa induzione dà origine nei fatti ad una multiate d’identità partitiche (Bobbio)
E, non ultimo inequivocabilmente
• La “sicurezza nel futuro” ce la dobbiamo sudare dall’impegno di ognuno di noi ingenerando quel effettivo senso di appartenenza per ricaduta dai suddetti presupposti ricercando concreta virtuose costruttive risposte acquisendo modi alternativi di guardare le cose per al meglio saper superare l’istintivo inerziale “pensiero unico” e così meglio affrontare e sfidare l’incertezza del futuro…. giacché “le novità si ottengono arrangiando in modo inedito le cose del passato!” “Monod” e/o….articolandole, organizzandole e sistematizzandole a ciclo compiuto in modo dinamico articolato aperto verso un virtuoso efficace bipolarismo aperto alla: Deming, Kai-zen, Goffman, Bauman, Watzlawick, De Kerkhove, R. Kurzweil & so on… per scacciare ogni obsolescenza, per contrastare ogni mono o bipolio, ogni trust per rimuovere il rischio d’ogni manipolazione funzionale a liberalizzare mera speculativa autoreferenzialità ”!
Assunto ed assodato che ogni barca a ben vedere… senza vela e timone (boma) o resi questi sottodimensionati con limitati strumenti non potranno che rendere di conseguenza limitanti risultati!… tratto da “l’italica barchetta ancorata all’obsolescenza!”)
Proprio perché in una siffatta nuova realtà grazie alle nuove tecnologie informatiche meglio si potrebbe procedere a rinnovare innestando quel imprescindibile virtuoso processo capace di imbibire virtuosamente tutta la galassia di: politics, policy and polity nel suo complesso implementando quella qualità necessaria a far interagire ed interoperare sia verticalmente quanto orizzontalmente in modo dinamico equilibrato tutto l’insieme del nostro sistema paese; facendo sì, che tutto s’avviluppi verso quel ricorsivo implicito self standing, self inforcing and implementing quality. E, così, ulteriormente contestualmente mantenere più equilibrato e virtuoso i rapporti: tra sistemi elettorali e sistemi di partito; “pubblico – privato” attraverso criteri di “check & balance” per così incarreggiare il nostro BelPaese verso una nuova e più virtuosa dimensione di “concorrenza” a regole chiare e trasparenti sin dagli ingressi quale elemento imprescindibile!
Oltretutto questa crisi cocente dovrebbe richiamarci alla ragione del buon senso (a quel dantesco escatologico passaggio fin su a Wallerstein) e, per sublimazione storica quanto per disincantamento poter trarne gli opportuni insegnamenti e giovamenti per non farci ripetere i medesimi errori ma, per poter delineare e metter a fuoco un futuro più a dimensione umana, sensata ed incarreggiarci verso uno sviluppo più sostenibile, economicamente meno dissipativo per i nostri giovani. E, definitivamente acquisire quella consapevolezza necessaria a meglio attrezzarci ed organizzarci con sistemi meglio articolati più completi con regole chiare e trasparenti ad enucleato check & balance equilibrio con virtuosi realistici feed back di controllo sia per il micro, per il meso quanto per il macro livello spazio temporale a 360° per 366 giorni l’anno, per meglio saper delineare con la dovuta responsabilità e sicurezza al di là del contingente, nuovi indispensabili orizzonti ed attrezzarci a saper rispondere a quel grido di libertà che viene dal futuro.
Giacché il SEMIALTERNO rappresenta “a crowd open sources’ system” ovvero, un meccanismo elettorale a bipolarismo concorrenzialmente aperto cittadino centrico, sistemo centrico per rendere completo sistema elettorale da cui dipartire per riprodurre soluzioni concrete, sburocratizzando e rimodernando rendendo virtuoso, aperto e competitivo il nostro sistema paese sin dagli ingressi!
Giacché è il mondo si sta irreversibilmente sempre più muovendo verso questa direzione per rendersi sempre più diversificato e complesso quanto concorrenzialmente competitivo ed aperto giacché la connessione lo renderà sempre “encefalizzato”: grazi alle nuove tecnologie che internet con il web permettono. Pertanto, alla stessa stregua bisognerà rendere pervasiva la stessa connettività e concorrenza per iniettarla ed infonderla anche all’interno della struttura elettoral – istituzionale per aggiornarla e rendere virtuoso, efficiente ed efficace quanto concorrenziale il paese nel suo insieme e più profittevole per il nostro Belpaese e, così meglio sintonizzarci a questa nuova realtà sempre più invasiva e pervasiva quanto cangiante e liquida...
Servono adeguamenti elastico flessibili quanto con il sistema SEMIALTERNO si va proponendo quale prevenzione e tutela… proprio perché la politica può venir trascinata dentro conflitti alle cui origini potrebbe sussistere un’azione combinata dalle intrinseche necessità innovative che il capitalismo stesso enuclea quale implicita esigenza evolutiva sui vari fronti e versanti dalle nanotecnologie al medicinale, dalla biochimica all’informatica, ecc. che interagendo e combinandosi con gli orientamenti culturali, innescano conflitti che la politica quando chiamata a governare, il più delle volte senza averne gli strumenti e/o talora volutamente non dandoseli, vedonsi quanto è successo e succede sul versante dell’informazione, e della finanza.
Essendo la politica, da un lato, costretta a sostenere lo sviluppo capitalistico da cui dipende la stabilità sociale, ma, dall’altro lato, spesso, a frenare lo sviluppo sottraendo risorse ai mercati e faccia partire speculative autoreferenzialità, serve un sistema che ripristini per check & balance equilibro e che lo mantenga nello spazio tempo.
Purtroppo, in politica anche nell’era post ideologica, nel post moderno, il tempo purtroppo, risulta essere una variabile che tuttora non viene sufficientemente rivalutata quanto questa nostra mutata società lo richiederebbe ed impone rispetto ad una realtà che sta rendendosi sempre più liquida (Bauman) Realtà che pretende irreversibilmente l’acquisizione di nuovi paradigmi giacché il tempo è danaro ed a sua volta il denaro deve essere considerato una cosa troppo importante per lasciarla al monopolio dei soli adepti, banchieri e/o finanzieri specialmente in questo critico momento che vede una siffatta forzata statalizzazione e, dove in altrettanto modo si arriva all’assurdo di privatizzare invece l’acqua (che potrà diventare una miniera d’oro per alcuni potenziali soliti pochi!)… Quando, dopo un siffatto scompaginamento, servirebbero semplicemente acquisire nuovi paradigmi per abbandonare l’obsolescenza in corso e passare a nuovi sistemi ad intrinseco maggiore “buon senso” con regole chiare e trasparente su ogni fronte e versante quanto il giocare a briscola scoperta pretende! Proprio perché il rapporto fra capitalismo e politica è un rapporto complesso dove, nessuna delle tradizionali formule semplificatrici è risultata alla lunga plausibile vedonsi il determinismo economico (nelle varianti marxista o quelle liberale dello sregolato “lassez faire”), cariche di pretesa di ridurre la politica ad un epifenomeno del mercato capitalistico. Ma, non è plausibile neppure l’opposta formula, che faccia del capitalismo una creatura dello Stato, specialmente quando, come in questo momento, tutto sta diventando globale e si stai statalizzando. Pertanto servono inderogabilmente nuove formule e nuove regole che iniettino in modo pervasivo concorrenza anche nell’ambito sociopolitico organizzativo quanto una “società aperta” alla Popper per instaurare il dovuto equilibrio come suddetto fra sistemi elettorali e sistemi di partito, fra Pubblico e Privato quanto il politico con l’economico e con il finanziario, ecc.
Giacché emblematico è stato l’arrembaggio partito ancora negli anni ottanta con gli “yuppies” che ha dato inizio a continue cicliche deflagrazioni indicizzati ad appesantire sempre più l’indebitamento che non poteva che portarci alle attuali sempre più iperbolici sviluppi facendo fiorire gli “stock options” e, sempre più andando a sfondare qualsiasi precedente rapporto economico giacché in taluni contesti le divaricazioni di reddito raggiungono “inimmaginabile” rapporti dalle 300 alle 500 volte di differenziale fra l’operatore di base e quello suo di vertice, rispetto a quelle cinque volte massimali che menzionava doversi mantenere al tempo di un certo Platone! Quando, ritornando ai nostri giorni è stato perfino riconosciuto dallo stesso Mr “Paulson” purtroppo, solo successivamente dopo lo scoppio della bolla dell’attuale tsunami finanziario che dichiarava che direttamente od indirettamente tutto risultava essere autoreferenziali perfino presso le “agenzie di rating” dove, i controllori dipendevano in ultima analisi dai medesimi controllati! Questo ulteriormente ci dimostra quanto non fossero sistemiche a “check & balance” quella tanto acclamate e decantata ’“american way of life” se non essere una vera e propria “anarchia organizzata” al leverage sfrenato… volto all’“irrational exuberance” in cui tutti si muovevano in modo autoreferenziale con flussi distinti di problemi, soluzioni, partecipanti ed eventi decisionali. La riprova e data da quanto è arrivato al pettine attraverso le 162 pagine d’indagine delle “balle - bolle finanziarie da $ 65 miliardi di deficit ” di Mr B. Madoff il quale semplicemente gestiva una semplice catena di S. Antonio ben attiva e radicata già da un ventennio, un vero “Garbage can system” funzionale alla mera speculazione che c’ha sprofondati nell’attuale baratro recessivo al “bipartisan” Leit Motiv per inosservanza e/o inesistenza di regole del “laissez faire, laissez passer” dei politici di turno !
Pertanto servirà permettere ad una democrazia politica l’instaurarsi di una forma di governo che presupponga una diffusa libertà d’azione ed in un “liberare scambio e si dia così luogo ad un continuo virtuoso concorrenziale dinamismo generatore di risorse ”: materiali e spirituali - “intitlements, provisions & oportunities” aspetti acquisibili soltanto se il sistema stessa sin dai suoi meccanismi d’ingresso enucleerà questo inscindibile assioma che solo la complementarietà permette riprodurre equilibrio giacché “contraria sunt complementa!” Quanto il SEMIALTERNO include. Ovviamente, al di là dell’attuale sempre più iperbolico procedere in complessità e diversificazione… per l’ambiguità del rapporto tra capitalismo e politica potrà sempre più accadere se non si estenderà ad ogni livello meccanismi check & balance sempre più potrà accadere che il capitalismo possa in altrettanto modo venir imbrigliato e compresso (dal monismo dello Stato) degli Stati pur considerando l’esigenza di un continuo “asintote” riallineamento con sempre nuove riformulazioni quindi, dai GATT ai WTO, G7 ai G20 and so on per potersi espandere, in ragione dei coinvolgimenti che l’estraterritorialità sempre più comporterà con impliciti conseguenti sempre nuovi adeguamenti.
Giacché dove, ad esempio, lo Stato democratico mancasse di freni e meccanismi di bilanciamento, potrebbe facilmente comprimere il mercato tramite l’estrazione di una quantità eccessiva di risorse da convertire in “rendite politiche” (di casta), ossia risorse che i governi distribuiscono alle proprie clientele… Giacché molti conflitti della democrazia hanno per posta l’ammontare delle rendite politiche a disposizione dei governi, e questi caricandosi di quella tracotante presunzione del voler dichiarare la fine della storia alla Fukuyama giacché, alcun potere si autolimita! Con nuovi strapi la casta tenderà mantenere sotto scopa l’intero paese rispetto ad un suo più naturale evolvere: economico, sociale… ricorrendo a quel diabolico “surplace” che si esprime con quel continuo “montare” sempre modelli elettorali parziali ricorrendo a quei soliti fantomatiche inutili bicamerali e/o inefficaci ricorsivi referendum per cambiare di tanto in tanto casella ma per rimetterci sempre nella successiva o nella precedente ma, per sempre in un siffatto famigerato gioco mantenerci prigionieri in quello dell’oca! E, così drenando in continuazione concorrenza la si depotenzia ricorrendo anche ad aumentare la percentuale di soglia a bloccare le scelte nelle liste elettorali quando si dovrebbe procedere al suo contrario per ingenerare concorrenza indispensabile ad implementare ed espandere per sussidiarietà qualità ed economicità gestionali.
E, “stoltamente” si adottano e si “montano” sempre modelli elettorali parziali inchiodandoli su una sola perpetua dinamica (parziale) centrifuga maggioritaria o su quella (altrettanto parziale) centripeta proporzionale e/o in modalità mista variandone alternamente in percentuale il quanto di proporzionale rispetto a quello maggioritario od agendo in senso contrario come quanto è precedentemente successo con il Mattarellum che ci ha portato all’attuale Porcellum, ma badando come casta a mai renderli completi!
Pertanto, in un siffatto momento recessivo come l’attuale risulta feconda l’opportunità d’ammodernare strutturalmente il nostro assetto elettoral-istituzionale con un sistema più completo quanto con il sistema SEMIALTERNO ci si permetterebbe giacché non possiamo continuare a rimandare, a posporre soluzioni incamerando obsolescenza od importarla come acqua calda! Così facendo il rischio di nuovamente collassare diverrà una pendente costante! Quando basterebbe semplicemente riflettere e sforzarsi d’ammettere che molte e diverse risultano essere nel mondo le democrazie se ne dovrebbe dedurre l’“intrinseco indicativo” anche per benchmarking della loro perfettibilità! Non ovviamente per importare acqua calda bensì per migliorare la nostra democrazia e per meglio accordarla! Proprio perché nel merito siamo in presenza dell’accumularsi di una sempre più estesa letteratura compartiva iniziando da quanto fece A. Lijphart!
Giacché come paese rispetto ai nostri pari non si progredisce alcunché in quanto tutte le manovre di monta, smonta e rimonta ci costano un sacco di energia dissipativa e perdite di tempo in diseconomie per quei sempre soliti “volubili” pitstop di cui la nostra recente storia risulta essere costellata fatta di cicliche inutili bicamerali ed inefficaci ricorsivi referendum (oltretutto, mantenuti nel solo verso abrogativo ovvero, squilibrato, ecc.) e, tutto si gioca, in ultima analisi, a continuativo danno d’insieme al nostro Belpaese determinando perdite di competitività a causa di questo speculativo stereotipato sconnesso proceder del “cava e emetti”! Quando se analizzato alla dovuta distanza oggettivamente, se ne evince che questo traumatico procedere descrive e riproduce una sconnessa vera e propria traiettoria a modalità semialterna costellata da continui blocchi, implosioni - crash rappresentati da quei volubili “(pit)stop e try & go” del montare e smontare talora lo stesso precedente modello se non cambiandovi l’induzione centripeta (maggioritaria) con quella centrifuga (proporzionale) od agendo viceversa o, talaltra adottando la modalità a modello elettorale misto e, si agisce nel cambiarci semplicemente le percentuali come quanto è avvenuto appunto col precedente Mattarellum per scegliere ed approdare all’attuale Porcellum. Oppure si interviene per cambiarne le percentuali di soglia d’ingresso in Parlamento, quando sostanzialmente in tutti i casi si è semplicemente sempre cambiato di casella rispetto a quella che si occupava precedentemente in un infernale gioco irreversibile dell’oca elettorale gestito dai soliti croupier di casta per mantenersi sempre più intransitiva rispetto ai meccanismi elettorali che devono risultare praticamente transitivi!
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