mercoledì 25 marzo 2009

Disoccupato e disfattista


MASSIMO RIVA

L'incubo della disoccupazione inizia a far paura. Secondo recenti dati diffusi dall'Istat circa 370 mila lavoratori hanno perso il posto nei primi due mesi del 2009 I costi sociali della crisi cominciano a diventare vistosamente pesanti. Già il boom dei ricorsi alla cassa integrazione, cresciuti in poche settimane di oltre il 500 per cento, ha dato un forte segnale di allarme.

Ma un record negativo ancora più preoccupante si è registrato sul fronte della disoccupazione vera e propria: secondo i dati Inps, nel solo bimestre gennaio-febbraio, più di 370 mila lavoratori hanno perso il posto. Le cifre di marzo non sono ancora disponibili, ma si sa che le code agli sportelli dell'istituto di previdenza non si stanno accorciando. Di questo passo rischia di risultare ottimistica perfino la stima di Confindustria, secondo la quale, nel corso dell'anno, oltre 600 mila italiani dovrebbero essere licenziati dalle rispettive aziende.

Ciò significa che il Paese si trova dinanzi a un'emergenza economico-sociale di straordinaria gravità: altro che far fatica a superare l'ultima settimana del mese, per milioni di italiani i problemi cominciano dalla prima. Nessuno pensa, naturalmente, che una simile ecatombe di posti di lavoro possa essere imputata al governo in carica: a tutti sono evidenti le origini, più esterne che interne, di una crisi di dimensioni planetarie. Quel che lascia, però, sbigottiti è che tanto il presidente del Consiglio quanto i suoi ministri non mostrano di avere la consapevolezza necessaria ad affrontare una situazione così drammatica.

L'unica linea seguita dal governo Berlusconi sembra essere quella di negare o comunque nascondere la realtà. A chi gli chiedeva un'opinione sui 370 mila disoccupati in più di gennaio-febbraio, il ministro Tremonti ha risposto: "Lei fa domande di carattere ansiogeno, le faccia a casa sua, non con me". Mentre il suo collega Sacconi ha così commentato: "La dimensione della crisi può essere accentuata dal disfattismo di coloro che esasperano le previsioni e così incoraggiano la propensione al rattrappimento dei consumi, della produzione e dell'occupazione".

Insomma, l'Italia potrà uscire dalla crisi, come Berlusconi non si stanca di predicare ogni giorno, soltanto quando giornali e televisioni smetteranno di parlarne ovvero di rendere pubblici dati 'ansiogeni' o 'disfattisti'. Aggettivo quest'ultimo che rievoca, fra l'altro, una stagione politica fra le meno felici della storia patria.

Il bello è che il premier e i suoi ministri si dicono pure convinti che questo rifiuto a guardare in faccia la realtà sia la strada migliore per spronare gli italiani a ritrovare la fiducia perduta, senza rendersi conto che il loro ottimismo stereotipato suona come un insulto crudele per milioni di famiglie in serie difficoltà. Nella tragedia sociale incombente si inserisce così un aspetto tristemente comico che - come si è appena visto nel caso della vigilanza prefettizia sulle banche - sta diventando ormai la chiave prevalente nei provvedimenti del governo.

Aspettiamoci, a questo punto, che fra i prossimi decreti-legge ne salti fuori anche uno che obblighi ad appendere in ogni fabbrica od ufficio un cartello con la scritta: "Qui non si parla di economia, qui si lavora". Firmato: Berlusconi. Chi non avrà perso il posto, potrà farsi almeno un'amara risata.
(20 marzo 2009)

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