Benedizione negata all’inceneritore che ha preso il via ad Acerra. Il vescovo Giovanni Rinaldi ha ribadito così la sua avversione all’impianto che, oltre a smaltire una significativa quantità di rifiuti, rappresenta un evento di portata simbolica: un’inversione di marcia rispetto all’inerzia davanti a una emergenza ambientale che ha sfigurato l’immagine di Napoli e della Campania. Il vescovo reputa che l’inceneritore sia dannoso per la salute del suo gregge. Peccato che a pensarla come lui siano poche centinaia di dimostranti che fanno oggetto della protesta anche le discariche e i siti di stoccaggio. Vien da chiedersi quali altri rimedi propongano, oltre ai costosi convogli di immondizia avviati in Germania.
Berlusconi esulta, con buone ragioni, dopo avere posto termine ai mille ritardi che hanno ostacolato la realizzazione dell’opera. Ha ricevuto tra l’altro i complimenti del Presidente della Repubblica e gli applausi, concessi magari controvoglia, di Bassolino e della Iervolino. L’assessore regionale al Turismo, Claudio Velardi, si spinge più in là, celebrando la sconfitta di una «dannosa cultura del no». Non si capisce, davanti a questo schieramento, confortato dalla maggioranza dei cittadini, l’impuntatura del vescovo di Acerra. Fatta salva la libertà del dissenso e il diritto di impartire a piacere una benedizione, non si tratta di questione che riguardi la retta dottrina. Qui valgono soltanto le competenze di natura tecnico-scientifica, la fiducia che bisogna accordare, sia pure con l’onere della prova un esperto come il sottosegretario alla Protezione civile Guido Bertolaso, il quale sostiene che le emissioni di fumo ad Acerra saranno inferiori a quelle di una normale centrale elettrica.
Può un vescovo contestare aprioristicamente queste affermazioni? Non sembra un atteggiamento illuminato assumere posizioni populistiche, sposare le indiscriminate proteste che giungono da comunità non esenti, come dimostrato in molti casi, da infiltrazioni camorristiche. E che, in ogni caso, ubbidiscono a una strenua difesa del proprio «particulare». La buona fede non giustifica l’imprudenza, che non appartiene, se non erro, alle virtù teologali.
Berlusconi esulta, con buone ragioni, dopo avere posto termine ai mille ritardi che hanno ostacolato la realizzazione dell’opera. Ha ricevuto tra l’altro i complimenti del Presidente della Repubblica e gli applausi, concessi magari controvoglia, di Bassolino e della Iervolino. L’assessore regionale al Turismo, Claudio Velardi, si spinge più in là, celebrando la sconfitta di una «dannosa cultura del no». Non si capisce, davanti a questo schieramento, confortato dalla maggioranza dei cittadini, l’impuntatura del vescovo di Acerra. Fatta salva la libertà del dissenso e il diritto di impartire a piacere una benedizione, non si tratta di questione che riguardi la retta dottrina. Qui valgono soltanto le competenze di natura tecnico-scientifica, la fiducia che bisogna accordare, sia pure con l’onere della prova un esperto come il sottosegretario alla Protezione civile Guido Bertolaso, il quale sostiene che le emissioni di fumo ad Acerra saranno inferiori a quelle di una normale centrale elettrica.
Può un vescovo contestare aprioristicamente queste affermazioni? Non sembra un atteggiamento illuminato assumere posizioni populistiche, sposare le indiscriminate proteste che giungono da comunità non esenti, come dimostrato in molti casi, da infiltrazioni camorristiche. E che, in ogni caso, ubbidiscono a una strenua difesa del proprio «particulare». La buona fede non giustifica l’imprudenza, che non appartiene, se non erro, alle virtù teologali.
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