venerdì 20 marzo 2009

Silvio e Gianfranco, all'ultimo duello


di FRANCESCO MERLO

È come il califfo ottomano che non aveva opposizione ma temeva solo la successione. Perciò delegittimava i fratelli di sangue e di letto. Allo stesso modo Berlusconi delegittima Fini che presto potrebbe insidiargli il califfato. Ha detto di lui: "È un quasi traditore". Lo paragona a Casini.

Chiosa: "Da sempre soffre di un complesso di inferiorità nei miei confronti". E intanto si appropria dei colonnelli di Fini, vale a dire dei suoi occhi, gli occhi che vedono e leggono il paese, gli occhi che controllano il territorio della destra italiana. E ovviamente Berlusconi tratta l'altro da ingrato perché pensa di averlo tirato fuori dalle fogne fasciste. Mentre Fini, al contrario, è convinto di essere stato lui ad averlo salvato, di avergli nobilitato, nascosto e infoibato il conflitto di interessi.

Ma non bisogna credere che questa falsa amicizia sia una scoperta recente. Benché l'uno non possa fare a meno dell'altro, i due sodali antagonisti della politica italiana non si sono mai amati. E anzi in Fini c'è un sottile disprezzo perché, per lui, Berlusconi non ha ideali e non ha tensioni, ma è tutto piegato sul proprio narcisismo e sui propri interessi. E Berlusconi prova per Fini una forma di pena, lo degrada a professionista della politica, che per lui è un uomo senza mestiere, senza arte né parte, una sorta di vu cumprà.

E poi per Fini lo Stato è sacrale mentre per Berlusconi è un giocattolo da destrutturare. Il primo ha una vita di strappi, l'altro ha un vita di lifting. Fini cambia idee perché adatta le sue convinzioni profonde alle nuove scoperte: sulla famiglia, per esempio, con i nuovi amori. Berlusconi cambia faccia come un istrione a teatro e, come un bullo del Grande Fratello, millanta amorazzi e prestazioni sessuali in una sguaiata atmosfera brancatiana, da "Silvio il caldo".

Fini non esibisce Viagra, non si fa intontire dai farmacologi, è abbronzato di sole e non di lampada. E mentre Fini indossa camicie bianche e giacche sobrie, Berlusconi fa il gagà in camicia nera e doppiopetto di Caraceni, ed è un significativo scambio di simboli che non rimanda all'ideologia fascista ma al giovanilismo improbabile da bel tenebroso. Fini non racconta barzellette e non si concede doppi sensi piccanti. E anche la retorica di Fini è più asciutta. Infatti offre pochi appigli ai comici, tristi o allegri che siano.

Il Fini di oggi coniuga la vecchia idea dell'ordine con il bisogno di giustizia verso i nuovi italiani di colore, questi nostri concittadini del terzo mondo ai quali per primo propose di dare il diritto di voto. Persino la religione di Fini non è quella nevrotica del papa il quale - non era mai accaduto - è più a destra di lui, il che significa più a destra della destra, il massimo del fuor di luogo. Ma per tutto c'è una prima volta

Berlusconi è molto più cinico. Confessa di dovere fare quel che gli chiede Bossi "anche se non mi piace". Ed è federalista perché, da bravo e coerente uomo d'affari, coltiva l'idea di indebolire lo Stato che non sopporta. Fini invece è un federalista coatto che vorrebbe al contrario rafforzare lo Stato. La destra senza Stato gli pare infatti egoismo sfrenato e feroce.

E ancora Fini non possiede nulla se non appunto l'idea di una società ordinata e forte, un modello di comunità probabilmente fuori moda, di impianto ottocentesco con i suoi pudori discriminanti. Pensa, Fini, che i vecchi valori della destra abbiano bisogno, come del resto i vecchi valori della sinistra, di un po' di vergogna di se stessi. Ci sono la contaminazione e l'evoluzione nella destra e nella sinistra che vogliono stare in questo mondo e non resistere a questo mondo. E dunque: sfide, pericoli, abiure, ricominciamenti.

È ovvio che alla sinistra piaccia Fini come antagonista. Potessero scegliere, Franceschini e D'Alema non avrebbero dubbi. Fini infatti somiglia a loro, hanno pure la stessa età anagrafica. E sembra un paradosso, ma a chi ha avuto un passato fascista nessuno dà del fascista. A Berlusconi invece lo si dice: "clerico fascista". Sicuramente a sproposito, ma lo si dice. E mai Fini ha dato del cattocomunista agli avversari di sinistra come fa Berlusconi. Questo armamentario arcaico demagogico è una vecchiaia ineludibile che nessun farmacista di Catania, di Napoli o di Milano può nascondere.

Quella di domenica dunque non sarà una battaglia epocale, come tra Nelson e Napoleone, non sarà Trafalgar, ma sicuramente comincia il duello finale, e non un gioco delle parti. Fini è solo ed è sicuramente perdente. Anche perché piace alla sinistra.

(20 marzo 2009)

Nessun commento: