venerdì 17 aprile 2009

Obama missili e sogni


17/4/2009
ARRIGO LEVI

Si stanno tentando i primi bilanci del viaggio del presidente Obama in Europa, Turchia, ed anche Iraq. Qualcuno ha osservato, con qualche ragione, che la politica della «mano tesa» di Obama (verso i Paesi islamici, verso l’Iran, verso il mondo) non ha per ora avuto molto successo. La Corea del Nord ha risposto lanciando un missile a lunga gittata, in violazione delle regole del Consiglio di Sicurezza. L’Iran non ha l’aria di voler sospendere il lavoro per acquisire una «potenzialità nucleare», a fini forse pacifici forse bellici (e intanto Israele e America sperimentano i lanci di missili anti-missili, per precauzione). La presa di posizione di Obama a favore dell’ingresso della Turchia nell’Unione Europea è stata subito respinta dalla Francia. Infine, i Paesi della Nato hanno offerto alla nuova strategia afghana dell’America «un appoggio retorico ma poche unità di combattimento», come ha scritto «Time».

Fin qui, sempre secondo «Time», il risultato principale della missione Obama è stato di ottenere «manifestazioni adoranti». In verità c’è qualcosa di più. Mentre l’America di Bush riusciva ad apparire in ogni momento dalla parte del torto, l’America di Obama appare dalla parte della ragione. Questo è importante.

L’influenza nel mondo dell’America si basa sulla sua potenza militare e sulla disponibilità a usarla (forse i pirati del Mar Rosso hanno fatto male a sfidarla); ma anche sulla sua credibilità, sulla sua capacità di farsi ascoltare e di ascoltare. Il cambiamento è importante, perché anche la potenza dell’America ha dei limiti, e ha bisogno di essere affiancata, con mezzi politici oltre che militari, da una coalizione di amici.

Ma è possibile che il frutto principale del viaggio di Obama riguardi il rapporto con la Russia di Medvedev. Dalla Russia, da mesi se non da anni, riceviamo un succedersi di docce calde e fredde. Sembra che l’incontro dei due Presidenti abbia dato finalmente inizio a una stagione di grandi negoziati strategici (vedi il giudizio di ieri sulla «Stampa» del ministro Frattini).

Che cosa si siano detti a Londra Obama e Medvedev ce lo ha riferito lo stesso Obama nel suo discorso di Praga. Ha annunciato che America e Russia negozieranno «un nuovo trattato per la riduzione delle armi strategiche... mirando a un nuovo accordo legalmente vincolante per la fine dell’anno». Questo potrebbe voler dire un accordo tra i governi già a luglio (lo ipotizzano fonti giornalistiche americane), da definirsi in occasione della visita di Obama a Mosca, e da far approvare al Congresso Usa entro dicembre. Si parla di una riduzione nel numero delle testate nucleari di cui oggi dispongono ambedue le superpotenze (più di tremila a testa) ad appena (si fa per dire) 1200 o 1500 per parte, non sappiamo entro quanto tempo. Trent’anni fa Paul Nitze pensava che si sarebbe potuto ridurle a qualche decina soltanto. Un tale accordo sarebbe la premessa necessaria di un più complesso negoziato multilaterale per rafforzare le disposizioni del «Trattato di Non Proliferazione» e le misure sul controllo della «materia prima» nucleare.

Gli esperti, come Graham Allison, o come El Baradei, non lasciano dubbi, nelle loro analisi, di quanto complessa sia questa successiva fase di un negoziato che dovrebbe ridurre il pericolo oggi più grave: quello che un gruppo di terroristi si impossessi di un’arma nucleare. Non si arriverà presto a risultati concreti (i negoziati strategici al tempo della Guerra Fredda continuarono per decenni). Utopistico, e forse anche di dubbia credibilità, appare il «sogno» di Obama di un mondo senza armi nucleari. Lui stesso dice che forse non farà in tempo a vederlo realizzato. Ne siamo più che convinti. Ma sognare fa bene. Lo slogan di Obama, «Yes we can», ricorda quello di Martin Luther King: «I have a dream». Era ora che la potente America ricominciasse a sognare.

Più cauta è apparsa la posizione di Obama sul sistema di difesa anti-missile che Bush progettò di collocare in Polonia e Repubblica Ceca, proprio ai confini della Russia: che ha parlato di una grossolana provocazione minacciando contromisure più o meno credibili. (In realtà non c’è ancora niente di fatto; ma la provocazione, politica se non strategica, sicuramente c’era e c’è). Finché rimarrà la minaccia iraniana, ha detto il Presidente, «intendiamo andare avanti con un sistema di difesa antimissile che sia pari ai costi e sperimentato». Non ha ripetuto quanto aveva detto il vicepresidente Biden nel discorso di febbraio a Monaco. Biden aveva usato parole quasi identiche, ma con un’aggiunta: «Agiremo in consultazione con gli alleati Nato e con la Russia». Penso che la parola di Biden valga anche per Obama, e che anche su questo si dovrà trattare. Fra America, Russia e Unione Europea.

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