"La mia è stata davvero una scelta", è scritto nell'ultima lettera agli amici, quella del congedo. "Una scelta a lungo riflettuta, preparata, accompagnata negli ultimi tre mesi dalla stesura di un diario, impegno che ha dato luce a questi miei ultimi giorni". In poche righe la costruzione di un suicidio, consumato mercoledì prima di Pasqua in una stanza d'albergo.
Così ha deciso di andarsene Roberta Tatafiore, 66 anni, femminista impegnata, autrice di saggi sulla condizione femminile, sulla pornografia e sul mercato della prostituzione, da De bello fallico a Uomini di piacere e Sesso al lavoro. La notizia della sua morte figurava ieri sul Foglio e sul Manifesto. Un progetto, quello del suicidio, inseguito con gelida determinazione (meglio: distaccata, n.d.r.). Prima la "scelta di clandestinità", quel vivere di nascosto dagli amici, dal lavoro, dai giornali ai quali collaborava. Tre mesi di silenzio, anche di bugie - "Sto lavorando in Svizzera, starò a lungo fuori" - interrotto da frettolose telefonate che mai tradivano il suo disegno. Poi la scelta dell'albergo, vicino al suo appartamento dell'Esquilino. Un ultimo saluto alla casa, ai suoi libri, alla gatta, agli oggetti amati della sua bella famiglia calabrese. Le lettere di addio agli amici le ha spedite all'ultimo, missive piene di tenerezza e sorriso. L'ho scelto io, state sereni. Se Silvia Plath prima di ammazzarsi ha imburrato le fette di pane per i figli, Roberta Tatafiore per le persone amate ha lasciato parole lievi. La cameriera l'ha trovata verso sera, una corsa in ospedale, poi il precipitare nel mondo delle "larve nere".
Il tema della morte non le era estraneo. Roberta Tatafiore cercava le "larve nere" nei romanzi e nella cronaca, ne era attratta e al contempo minacciata. "Lasciatemi addormentare come Saffo", così titolava ieri il Foglio una sua pagina sull'aldilà scritta nell'estate di due anni fa. Appare una costruzione letteraria anche questa sua morte, lucidamente inseguita, progettata, e raccontata in un memoriale di una cinquantina di pagine. Come una traccia lasciata agli amici, un gesto di condivisione. "È un diario dei suoi ultimi tre mesi, una cronaca meticolosa del suo progetto di morte", dice Daniele Scalise, giornalista e compagno di molte avventure. "Una sorta di "diario della clandestinità" in cui è dettagliatamente raccontato come Roberta s'è organizzata, che libri ha letto, come ci si prepara al suicidio". Il suicidio come possibilità di un'esistenza piena.
Quale filo spezzato abbia piegato una personalità straripante, vitale, generosa è difficile ora capire. "Come tutte le donne veramente sofferenti", dice Scalise, "Roberta non esibiva il dolore". Spirito irrequieto e profondamente libero, dopo una lunga militanza a sinistra - tra Noidonne, Manifesto e il mensile Lucciola per i diritti civili delle prostitute - negli ultimi tempi s'era avvicinata alla destra, ai suoi giornali, condividendo con Isabella Rauti la rubrica Thelma & Louise sul Secolo d'Italia. Ma anche questo nuovo territorio politico l'aveva delusa. Contro lo "statalismo chiesastico" esibito sul caso Englaro era incentrato nel febbraio scorso un suo appassionato intervento sul sito di DeA, donne e altri, probabilmente il suo ultimo articolo. In primo piano, ancora una volta, il suicidio, in tedesco Freitod, libera morte. Anche questo suo epilogo, in fondo, è rivendicazione di possesso. Ognuno di noi è padrone della propria vita, forse Roberta Tatafiore ha voluto ricordarcelo. Con dolcezza, senza rancore.
(16 aprile 2009)
Così ha deciso di andarsene Roberta Tatafiore, 66 anni, femminista impegnata, autrice di saggi sulla condizione femminile, sulla pornografia e sul mercato della prostituzione, da De bello fallico a Uomini di piacere e Sesso al lavoro. La notizia della sua morte figurava ieri sul Foglio e sul Manifesto. Un progetto, quello del suicidio, inseguito con gelida determinazione (meglio: distaccata, n.d.r.). Prima la "scelta di clandestinità", quel vivere di nascosto dagli amici, dal lavoro, dai giornali ai quali collaborava. Tre mesi di silenzio, anche di bugie - "Sto lavorando in Svizzera, starò a lungo fuori" - interrotto da frettolose telefonate che mai tradivano il suo disegno. Poi la scelta dell'albergo, vicino al suo appartamento dell'Esquilino. Un ultimo saluto alla casa, ai suoi libri, alla gatta, agli oggetti amati della sua bella famiglia calabrese. Le lettere di addio agli amici le ha spedite all'ultimo, missive piene di tenerezza e sorriso. L'ho scelto io, state sereni. Se Silvia Plath prima di ammazzarsi ha imburrato le fette di pane per i figli, Roberta Tatafiore per le persone amate ha lasciato parole lievi. La cameriera l'ha trovata verso sera, una corsa in ospedale, poi il precipitare nel mondo delle "larve nere".
Il tema della morte non le era estraneo. Roberta Tatafiore cercava le "larve nere" nei romanzi e nella cronaca, ne era attratta e al contempo minacciata. "Lasciatemi addormentare come Saffo", così titolava ieri il Foglio una sua pagina sull'aldilà scritta nell'estate di due anni fa. Appare una costruzione letteraria anche questa sua morte, lucidamente inseguita, progettata, e raccontata in un memoriale di una cinquantina di pagine. Come una traccia lasciata agli amici, un gesto di condivisione. "È un diario dei suoi ultimi tre mesi, una cronaca meticolosa del suo progetto di morte", dice Daniele Scalise, giornalista e compagno di molte avventure. "Una sorta di "diario della clandestinità" in cui è dettagliatamente raccontato come Roberta s'è organizzata, che libri ha letto, come ci si prepara al suicidio". Il suicidio come possibilità di un'esistenza piena.
Quale filo spezzato abbia piegato una personalità straripante, vitale, generosa è difficile ora capire. "Come tutte le donne veramente sofferenti", dice Scalise, "Roberta non esibiva il dolore". Spirito irrequieto e profondamente libero, dopo una lunga militanza a sinistra - tra Noidonne, Manifesto e il mensile Lucciola per i diritti civili delle prostitute - negli ultimi tempi s'era avvicinata alla destra, ai suoi giornali, condividendo con Isabella Rauti la rubrica Thelma & Louise sul Secolo d'Italia. Ma anche questo nuovo territorio politico l'aveva delusa. Contro lo "statalismo chiesastico" esibito sul caso Englaro era incentrato nel febbraio scorso un suo appassionato intervento sul sito di DeA, donne e altri, probabilmente il suo ultimo articolo. In primo piano, ancora una volta, il suicidio, in tedesco Freitod, libera morte. Anche questo suo epilogo, in fondo, è rivendicazione di possesso. Ognuno di noi è padrone della propria vita, forse Roberta Tatafiore ha voluto ricordarcelo. Con dolcezza, senza rancore.
(16 aprile 2009)
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