giovedì 30 aprile 2009

Veronica e il risiko di Arcore

MATTIA FELTRI
30/4/2009

Si va avanti a suggestioni. «Anche la signora ha creduto a quello che hanno messo in giro i giornali. Mi dispiace», ha detto ieri Silvio Berlusconi dalla Polonia. E i massimi ermeneuti dell’espressione facciale - e così i filologi: «signora», non «mia moglie» - hanno letto la crisi irreversibile. Le dinamiche, lì dentro, sono strane. Veronica Lario (nome d’arte di Miriam Bartolini, in omaggio a Veronica Lake) sembra preccuparsi più della teatralità dei fatti che della loro sostanza. «Quello che succede è sotto gli occhi di tutti», ha confidato ancora ieri, ancorando le proprie ragioni alla cronaca: «Avete visto quell’uomo che ha cercato di darsi fuoco perché non gli candidano più la figlia?». Da dieci anni, dice, sta pensando al divorzio, e intanto la retroscenistica studia i dettagli, le foto mano nella mano, i rari raduni estivi della famiglia. Si litiga per la platealità del gesto, e platealmente ci si rappacifica. La novità - dopo l’articolo a Micromega in sostegno al pacifismo, l’intervista al Corriere in appoggio ai referendari della procreazione assistita, la lettera alla Repubblica in lagnanza delle galanterie del premier con Mara Carfagna e Aida Yespica - è che il marito è sempre pessimo, ma anche il padre precipita: si scopre a mezzo stampa che non ha partecipato al diciottesimo compleanno dei figli, perlomeno di quelli di secondo letto.

Come se il casato volesse svelarci a poco a poco i risvolti cinematografici che tutti si aspettano. «Non posso dire che sia la mia migliore amica», disse un giorno Maria Elvira, la primogenita, detta Marina e figlia, come Pier Silvio, di Carla Elvira Lucia Dall’Oglio. Si riferiva a Veronica, e lì nacque la leggenda della stirpe divisa, da una parte Veronica e i suoi tre ragazzi, dall’altra Marina e Pier Silvio, in mezzo il fondatore impegnatissimo ad appianare. Una questione di stile, a un primo sguardo. Barbara, oggi ventiquattrenne, se ne andò a farsi intervistare da Daria Bignardi e ne disse di tutti i colori. Confermò d’aver ceduto a Sandro Bondi i diritti dinastici sul mausoleo di Arcore, programmandosi il riposo eterno in un luogo più sobrio; quasi replicante del morbido distacco materno, spiegò che ai figli (nel frattempo ne ha avuto uno e aspetta il secondo) non avrebbe fatto vedere Buona domenica, i reality show e il Bagaglino, i quali erano non soltanto buona fonte di reddito ma anche l’orgoglio di Pier Silvio, gran capo di Mediaset. Quella dell’autonomia di pensiero è una carta calata con frequenza. In coppia con la sorella minore, Eleonora, Barbara comparve sulla copertina di Vanity Fair, e le fanciulle invitavano il babbo (anno 2004) a vendere le tv a Rupert Murdoch, cessione alla quale si erano opposti - e con successo, e con gran vanto - Marina e Pier Silvio; l’idea di Barbara, mai sposata dal padre, che le coppie omosessuali dovrebbero aver facoltà di convolare, e quelle eterosessuali di regolarsi senza matrimonio, sembrò quasi una innocente rivendicazione di modernità.

E però qui le cose si assommano. Barbara che, coi più filantropi rampolli milanesi, firma le borse in beneficenza ai popoli colpiti dallo tsunami; Luigi, il più piccolo, vent’anni, che accompagna i disabili a Lourdes. Ecco, Luigi, un’infanzia trascorsa in un’immagine che si direbbe da bamboccione, la sua fede marmorea («Telefono, chiedo di Luigi e mi dicono di richiamare perché è raccolto in preghiera. Richiamo e mi dicono che è ancora raccolto in preghiera. Ma allora sta dicendo messa!», raccontò Silvio), il suo amore per il Milan e Andry Shevchenko (il bomber che soffiò la fidanzata a Pier Silvio), il futuro designato da presidente del Milan.

Macché: nella celeste provvidenza crede ancora, ma ha deciso di provvedersi da sé. Proprio il giorno successivo alla lettera della madre alla Repubblica, il Sole 24Ore pubblicò la notizia che Luigi era entrato nel consiglio d’amministrazione della Holding Quattordicesima, attraverso cui Luigi e le sorelle controllano la loro quota di patrimonio. In realtà la controlla solo Luigi. Amministra gli averi di Barbara ed Eleonora, e li fa fruttare. Nel frattempo ha scoperto di avere il bernoccolo del banchiere («l’alta finanza mi appassiona davvero», ma lo disse in epoche meno tossiche) e proprio un mese fa ha dirottato cinque milioni della Holding Quattordicesima in un fondo della Sator, la banca di Matteo Arpe. I soliti notisti hanno ritenuto di ricordare che Arpe se ne era andato da Capitalia in gran baruffa con Cesare Geronzi, banchiere amatissimo dal premier perché il suo è l’unico istituto di credito «non in mano alla sinistra».

E insomma, gli incroci si fanno ingarbugliati, Barbara che si sta laureando con una tesi su Amartya Sen - l’economista della disuguaglianza - e che ambisce apertamente alla Mondadori. Eleonora, che pure studia economia a New York, e un giorno tornerà con mire e idee. E in questo gran concerto di aspettative su come impegnare le aziende e i denari e di opinioni su come dovrebbe andare il mondo, ogni tanto Veronica riemerge dalla assoluta dedizione alla famiglia, e punta il dito contro le bricconerie troppo esibite dal marito. Val la pena di vivere anche solo per vedere come va a finire.

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

CON QUESTO ARTICOLO è INIZIATO IL CONTRATTACCO A VERONICA E I SUOI TRE FIGLI !