sabato 20 giugno 2009

Il Cavaliere «vittima della generosità» e la svolta invocata dagli amici




L’ esortazione è stata pubblica e privata, perché non solo Giuliano Ferrara l’ha invitato a un mutamento radicale, a una rigenerazione. Anche Fedele Confalonieri, l’amico di una vita, confida in un «nuovo inizio».

Serve una «palingenesi», questo è l’auspicio di chi tiene disinteressata­mente alle sorti di Silvio Berlusconi
. Per­ché senza uno scatto del premier — co­me scriveva l’Elefantino sul Foglio l’al­tro ieri — si protrarrebbe un «clima da 24 luglio permanente». Ed è impensabi­le che la politica viva l’eterna vigilia di un crollo, la fine di un’era, quella berlu­sconiana, che il presi­dente della Camera nemmeno prevede. Ma non c’è dubbio che a lungo andare il clima che si respira nel Palaz­zo e nel Paese avrebbe un costo per la demo­crazia, potrebbe porta­re — come dice Gian­franco Fini — alla «sfiducia dei cittadi­ni verso le istituzioni».

È come se la nemesi si fosse abbattu­ta sul Cavaliere: per quindici anni il suo privato ha contribuito alle sue vittorie pubbliche, e adesso lo costringe sulla di­fensiva. E mentre in passato a Berlusco­ni veniva contestato il modo in cui si proponeva agli elettori e li conquistava, ora gli viene chiesto — gliel’ha chiesto ieri il quotidiano dei vescovi, Avvenire — «un chiarimento con l’opinione pub­blica » sui suoi fatti personali.

Tutti attendono un gesto da Silvio Berlusconi, coinvolto in una storia di fe­ste e di donnine che al momento ha mi­nato la sua immagine, non i suoi con­sensi. Al di là dei giochi di potere e di macchinazioni giudiziarie, il premier di­ce di sentirsi vittima anche di se stesso, «vittima cioè della mia generosità». È una valutazione complessiva, non per questo legata alle ultime vicende, che però riflette lo stato d’animo del Cavalie­re e anche il suo atteggiamento, le sue scelte che stupiscono, ma fino a un cer­to punto, chi lo conosce bene.

Malgrado gli ultimi due mesi siano stati costellati da errori mediatici e di tattica politica, malgrado la sua macchi­na di voti si sia inceppata, difende i col­laboratori più stretti e le loro mosse, con la stessa foga con cui difende se stesso. Perché non è stato solo Ferrara a criticare Nico­lò Ghedini per quel concetto, «utilizzatore finale», di cui pure l’av­vocato si è scusato. Ep­pure Berlusconi — a quanti gli facevano no­tare l’errore e i rischi che determinava — ha chiesto comprensione per il pena­­lista: «Poveretto, deve fare tante cose ogni giorno».

All’indomani delle elezioni europee, aveva sottratto Adriano Galliani alle ac­cuse di numerosi dirigenti del Pdl che gli addebitavano una percentuale nella perdita di consensi, dato che a due gior­ni dalle elezioni l’amministratore del Milan aveva rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport con la quale aveva di fatto annunciato la cessione di Kaká al Real Madrid. «È un amico di vecchia data. Non vi mettete pure voi, che già in famiglia...», era stata la risposta del pre­mier: «Il fatto è che c’era una perdita nel bilancio societario e non potevo ri­pianarla io, in un momento di crisi eco­nomica come questo». Eppure Berlusco­ni sapeva quanto avesse pesato l’addio del calciatore brasiliano. Alle sole Pro­vinciali di Milano, infatti, tremila sche­de erano state annullate dagli elettori, che dopo aver barrato il simbolo del Pdl avevano aggiunto: «Questo è per Kaká».

Tutti aspettano dal premier ciò che il premier però — almeno per il momen­to — non intende dare, perché si senti­rà pur vittima della sua generosità, «è così che mi fregano», ma si sente soprat­tutto al centro di oscure «trame», e se ora il fronte giudiziario è Bari, immagi­na se ne aprano altri a Palermo, a Mila­no, pare anche a Firenze. Non crede, al­meno così dà conto, a chi lo invita a guardare verso gli Stati Uniti, perché «con Obama abbiamo chiarito tutto, con la signora Clinton le relazioni sono eccellenti, e ho uno splendido rapporto con la presidente Pelosi».

No, è in Italia — a suo modo di vede­re — l’epicentro del terremoto, è verso i palazzi della politica nazionale che ten­de lo sguardo, e di Massimo D’Alema di­ce oggi che «usa mezzucci». Avrà anche ragione il premier quando rigetta certe accuse dell’opposizione, perché è diffici­le immaginarlo a capo di un regime se poi non ne controlla i gangli più impor­tanti, ed è esposto in questo modo. Em­blematica è l’immagine di ieri, con Ber­lusconi che confida al telefono di non sentirsi spiato, proprio mentre è sotto l’occhio furtivo di una telecamera.

Tuttavia per il premier resta il proble­ma di uscire da quella che Ferrara ha de­finito «l’incredibile condizione di mino­rità in cui si è ficcato». E resta il nodo di governare il Paese, di dare risposte agli interrogativi che il presidente della Ca­mera pone ormai da mesi, a partire dal­la necessità di varare una riforma dello Stato che sia condivisa dall’opposizio­ne, per passare alla costruzione di una forza, il Pdl, che secondo Fini «di fatto non è ancora nata»: «La Lega è l’unico partito vero in Italia».

Chissà se pensa anche a «Gianfran­co » quando dice di sentirsi vittima del­la sua stessa generosità, è certo che per misurare la distanza dal «cofondatore», il Cavaliere usa l’ironia: «Gianfranco al­la Camera ha otto commessi che lo se­guono ovunque. Io a palazzo Chigi ne ho uno solo». Ma non c’è sorriso sul vol­to di Berlusconi. Non era così che imma­ginava la vigilia di un G8 molto delica­to. Dovesse superarlo senza intoppi for­se inizierebbe per lui il 26 luglio.

Francesco Verderami
20 giugno 2009

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Non c'è che dire: un'altra anima 'candida', che usa speciose argomentazioni logiche per difendere il Capo (non è Ferruccio De Bortoli)