L’ esortazione è stata pubblica e privata, perché non solo Giuliano Ferrara l’ha invitato a un mutamento radicale, a una rigenerazione. Anche Fedele Confalonieri, l’amico di una vita, confida in un «nuovo inizio».
Serve una «palingenesi», questo è l’auspicio di chi tiene disinteressatamente alle sorti di Silvio Berlusconi. Perché senza uno scatto del premier — come scriveva l’Elefantino sul Foglio l’altro ieri — si protrarrebbe un «clima da 24 luglio permanente». Ed è impensabile che la politica viva l’eterna vigilia di un crollo, la fine di un’era, quella berlusconiana, che il presidente della Camera nemmeno prevede. Ma non c’è dubbio che a lungo andare il clima che si respira nel Palazzo e nel Paese avrebbe un costo per la democrazia, potrebbe portare — come dice Gianfranco Fini — alla «sfiducia dei cittadini verso le istituzioni».
È come se la nemesi si fosse abbattuta sul Cavaliere: per quindici anni il suo privato ha contribuito alle sue vittorie pubbliche, e adesso lo costringe sulla difensiva. E mentre in passato a Berlusconi veniva contestato il modo in cui si proponeva agli elettori e li conquistava, ora gli viene chiesto — gliel’ha chiesto ieri il quotidiano dei vescovi, Avvenire — «un chiarimento con l’opinione pubblica » sui suoi fatti personali.
Tutti attendono un gesto da Silvio Berlusconi, coinvolto in una storia di feste e di donnine che al momento ha minato la sua immagine, non i suoi consensi. Al di là dei giochi di potere e di macchinazioni giudiziarie, il premier dice di sentirsi vittima anche di se stesso, «vittima cioè della mia generosità». È una valutazione complessiva, non per questo legata alle ultime vicende, che però riflette lo stato d’animo del Cavaliere e anche il suo atteggiamento, le sue scelte che stupiscono, ma fino a un certo punto, chi lo conosce bene.
Malgrado gli ultimi due mesi siano stati costellati da errori mediatici e di tattica politica, malgrado la sua macchina di voti si sia inceppata, difende i collaboratori più stretti e le loro mosse, con la stessa foga con cui difende se stesso. Perché non è stato solo Ferrara a criticare Nicolò Ghedini per quel concetto, «utilizzatore finale», di cui pure l’avvocato si è scusato. Eppure Berlusconi — a quanti gli facevano notare l’errore e i rischi che determinava — ha chiesto comprensione per il penalista: «Poveretto, deve fare tante cose ogni giorno».
All’indomani delle elezioni europee, aveva sottratto Adriano Galliani alle accuse di numerosi dirigenti del Pdl che gli addebitavano una percentuale nella perdita di consensi, dato che a due giorni dalle elezioni l’amministratore del Milan aveva rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport con la quale aveva di fatto annunciato la cessione di Kaká al Real Madrid. «È un amico di vecchia data. Non vi mettete pure voi, che già in famiglia...», era stata la risposta del premier: «Il fatto è che c’era una perdita nel bilancio societario e non potevo ripianarla io, in un momento di crisi economica come questo». Eppure Berlusconi sapeva quanto avesse pesato l’addio del calciatore brasiliano. Alle sole Provinciali di Milano, infatti, tremila schede erano state annullate dagli elettori, che dopo aver barrato il simbolo del Pdl avevano aggiunto: «Questo è per Kaká».
Tutti aspettano dal premier ciò che il premier però — almeno per il momento — non intende dare, perché si sentirà pur vittima della sua generosità, «è così che mi fregano», ma si sente soprattutto al centro di oscure «trame», e se ora il fronte giudiziario è Bari, immagina se ne aprano altri a Palermo, a Milano, pare anche a Firenze. Non crede, almeno così dà conto, a chi lo invita a guardare verso gli Stati Uniti, perché «con Obama abbiamo chiarito tutto, con la signora Clinton le relazioni sono eccellenti, e ho uno splendido rapporto con la presidente Pelosi».
No, è in Italia — a suo modo di vedere — l’epicentro del terremoto, è verso i palazzi della politica nazionale che tende lo sguardo, e di Massimo D’Alema dice oggi che «usa mezzucci». Avrà anche ragione il premier quando rigetta certe accuse dell’opposizione, perché è difficile immaginarlo a capo di un regime se poi non ne controlla i gangli più importanti, ed è esposto in questo modo. Emblematica è l’immagine di ieri, con Berlusconi che confida al telefono di non sentirsi spiato, proprio mentre è sotto l’occhio furtivo di una telecamera.
Tuttavia per il premier resta il problema di uscire da quella che Ferrara ha definito «l’incredibile condizione di minorità in cui si è ficcato». E resta il nodo di governare il Paese, di dare risposte agli interrogativi che il presidente della Camera pone ormai da mesi, a partire dalla necessità di varare una riforma dello Stato che sia condivisa dall’opposizione, per passare alla costruzione di una forza, il Pdl, che secondo Fini «di fatto non è ancora nata»: «La Lega è l’unico partito vero in Italia».
Chissà se pensa anche a «Gianfranco » quando dice di sentirsi vittima della sua stessa generosità, è certo che per misurare la distanza dal «cofondatore», il Cavaliere usa l’ironia: «Gianfranco alla Camera ha otto commessi che lo seguono ovunque. Io a palazzo Chigi ne ho uno solo». Ma non c’è sorriso sul volto di Berlusconi. Non era così che immaginava la vigilia di un G8 molto delicato. Dovesse superarlo senza intoppi forse inizierebbe per lui il 26 luglio.
Francesco Verderami
20 giugno 2009
Serve una «palingenesi», questo è l’auspicio di chi tiene disinteressatamente alle sorti di Silvio Berlusconi. Perché senza uno scatto del premier — come scriveva l’Elefantino sul Foglio l’altro ieri — si protrarrebbe un «clima da 24 luglio permanente». Ed è impensabile che la politica viva l’eterna vigilia di un crollo, la fine di un’era, quella berlusconiana, che il presidente della Camera nemmeno prevede. Ma non c’è dubbio che a lungo andare il clima che si respira nel Palazzo e nel Paese avrebbe un costo per la democrazia, potrebbe portare — come dice Gianfranco Fini — alla «sfiducia dei cittadini verso le istituzioni».
È come se la nemesi si fosse abbattuta sul Cavaliere: per quindici anni il suo privato ha contribuito alle sue vittorie pubbliche, e adesso lo costringe sulla difensiva. E mentre in passato a Berlusconi veniva contestato il modo in cui si proponeva agli elettori e li conquistava, ora gli viene chiesto — gliel’ha chiesto ieri il quotidiano dei vescovi, Avvenire — «un chiarimento con l’opinione pubblica » sui suoi fatti personali.
Tutti attendono un gesto da Silvio Berlusconi, coinvolto in una storia di feste e di donnine che al momento ha minato la sua immagine, non i suoi consensi. Al di là dei giochi di potere e di macchinazioni giudiziarie, il premier dice di sentirsi vittima anche di se stesso, «vittima cioè della mia generosità». È una valutazione complessiva, non per questo legata alle ultime vicende, che però riflette lo stato d’animo del Cavaliere e anche il suo atteggiamento, le sue scelte che stupiscono, ma fino a un certo punto, chi lo conosce bene.
Malgrado gli ultimi due mesi siano stati costellati da errori mediatici e di tattica politica, malgrado la sua macchina di voti si sia inceppata, difende i collaboratori più stretti e le loro mosse, con la stessa foga con cui difende se stesso. Perché non è stato solo Ferrara a criticare Nicolò Ghedini per quel concetto, «utilizzatore finale», di cui pure l’avvocato si è scusato. Eppure Berlusconi — a quanti gli facevano notare l’errore e i rischi che determinava — ha chiesto comprensione per il penalista: «Poveretto, deve fare tante cose ogni giorno».
All’indomani delle elezioni europee, aveva sottratto Adriano Galliani alle accuse di numerosi dirigenti del Pdl che gli addebitavano una percentuale nella perdita di consensi, dato che a due giorni dalle elezioni l’amministratore del Milan aveva rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport con la quale aveva di fatto annunciato la cessione di Kaká al Real Madrid. «È un amico di vecchia data. Non vi mettete pure voi, che già in famiglia...», era stata la risposta del premier: «Il fatto è che c’era una perdita nel bilancio societario e non potevo ripianarla io, in un momento di crisi economica come questo». Eppure Berlusconi sapeva quanto avesse pesato l’addio del calciatore brasiliano. Alle sole Provinciali di Milano, infatti, tremila schede erano state annullate dagli elettori, che dopo aver barrato il simbolo del Pdl avevano aggiunto: «Questo è per Kaká».
Tutti aspettano dal premier ciò che il premier però — almeno per il momento — non intende dare, perché si sentirà pur vittima della sua generosità, «è così che mi fregano», ma si sente soprattutto al centro di oscure «trame», e se ora il fronte giudiziario è Bari, immagina se ne aprano altri a Palermo, a Milano, pare anche a Firenze. Non crede, almeno così dà conto, a chi lo invita a guardare verso gli Stati Uniti, perché «con Obama abbiamo chiarito tutto, con la signora Clinton le relazioni sono eccellenti, e ho uno splendido rapporto con la presidente Pelosi».
No, è in Italia — a suo modo di vedere — l’epicentro del terremoto, è verso i palazzi della politica nazionale che tende lo sguardo, e di Massimo D’Alema dice oggi che «usa mezzucci». Avrà anche ragione il premier quando rigetta certe accuse dell’opposizione, perché è difficile immaginarlo a capo di un regime se poi non ne controlla i gangli più importanti, ed è esposto in questo modo. Emblematica è l’immagine di ieri, con Berlusconi che confida al telefono di non sentirsi spiato, proprio mentre è sotto l’occhio furtivo di una telecamera.
Tuttavia per il premier resta il problema di uscire da quella che Ferrara ha definito «l’incredibile condizione di minorità in cui si è ficcato». E resta il nodo di governare il Paese, di dare risposte agli interrogativi che il presidente della Camera pone ormai da mesi, a partire dalla necessità di varare una riforma dello Stato che sia condivisa dall’opposizione, per passare alla costruzione di una forza, il Pdl, che secondo Fini «di fatto non è ancora nata»: «La Lega è l’unico partito vero in Italia».
Chissà se pensa anche a «Gianfranco » quando dice di sentirsi vittima della sua stessa generosità, è certo che per misurare la distanza dal «cofondatore», il Cavaliere usa l’ironia: «Gianfranco alla Camera ha otto commessi che lo seguono ovunque. Io a palazzo Chigi ne ho uno solo». Ma non c’è sorriso sul volto di Berlusconi. Non era così che immaginava la vigilia di un G8 molto delicato. Dovesse superarlo senza intoppi forse inizierebbe per lui il 26 luglio.
Francesco Verderami
20 giugno 2009
1 commento:
Non c'è che dire: un'altra anima 'candida', che usa speciose argomentazioni logiche per difendere il Capo (non è Ferruccio De Bortoli)
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