Un anno vissuto pericolosamente e il peggio deve ancora venire. Se il 31 ottobre 2008, all’appuntamento annuale della Giornata mondiale del risparmio, i principali banchieri di casa nostra avevano potuto magnificare “la miglior tenuta del sistema creditizio italiano rispetto a quello anglosassone”, nonostante la capitalizzazione di Borsa delle varie Intesa e Unicredit si stesse dimezzando, ora l’onda lunga della crisi economica e l’incancrenirsi di problemi irrisolti con i grandi debitori industriali rischia di esplodere entro fine anno. Ecco allora, al di là delle parole di circostanza e degli slogan da convegno, che cosa bolle davvero nelle cucine del credito all’italiana.
INCUBO ZUNINO. Se il Tribunale ascolterà la richiesta della procura milanese, la Risanamento del costruttore Luigi Zunino sarà dichiarata fallita entro novembre. Risanamento ha immobili per circa tre miliardi - ammesso che siano vendibili - e debiti bancari per identica cifra. I pm ritengono le banche “amministratori di fatto” della società e vogliono farla fallire per meglio tutelare i creditori non bancari, che sono decine di fornitori e migliaia di obbligazionisti. Intesa rischia sul crack Zunino 650 milioni di crediti allegramente concessi; Banco Popolare è fuori di 300 milioni, Unicredit di 267, Popopolare Milano di 77 e la piccola Meliorbanca di un’altra quarantina. Nel disperato tentativo di evitare che si vada nel penale, le banche creditrici stanno mettendo sul piatto altri 800 milioni. Comunque finisca la vicenda giudiziaria, c’è una semplice e grande verità che nessuno dice apertamente: per sviluppare le aree di Santa Giulia e dell’ex Falck di Sesto San Giovanni servono altri miliardi. E come si fa a gettare altri soldi nel pozzo zuniano in tempi di “stretta creditizia” alle imprese? Sarebbe leggermente impopolare.
SUPERDEBITO TELECOM. Non è colpa di Franco Bernabè, ma della sistematica spoliazione messa in atto dalle gestioni passate, se la Telecom di oggi è schiacciata dai debiti e i suoi azionisti bancari tremano all’idea di dover rifinanziare a gennaio la bellezza di 2,7 miliardi di prestiti. In Telco, la cassaforte che custodisce il pacchetto di controllo della società, Generali, Intesa e Mediobanca sono alle prese con un mezzo incubo finanziario e un socio “liquido” ma ingombrante come gli spagnoli di Telefonica. Come non bastasse, ci si mette di mezzo la politica e un governo sempre più ostile e ostaggio del conflitto d’interessi berlusconiano. I Benetton, grandi concessionari autostradali di Stato e soci della famiglia Berlusconi in mille avventure finanziarie, stanno uscendo da Telco e non cacciano più un euro per Telecom. Il governo non vede di buon occhio Telefonica e preme perchè le banche italiane si facciano carico perfino della sua quota. Insomma, per le nostre “banche di sistema”, come direbbe Corrado Passera, si preannunciano nuovi sacrifici “patriottici”.
PULIZIE RINVIATE.
Nell’ansia di non farsi “commissariare” dal Tesoro, le principali banche italiane hanno respinto i “Tremonti bond” il 29 settembre scorso, con un atto di insubordinazione politica che ha mandato di traverso lo spumante al presidente del Consiglio proprio nel giorno del suo genetliaco. A parte il Banco Popolare, che aveva da coprire il buco dello scandalo Italease, e la Popolare di Milano, che da quando è guidata da Massimo Ponzellini è la banca più amata da Bossi e Tremonti, nessuno è passato dallo sportello di Stato. Ora però sono stati messi in cantiere aumenti di capitale (Unicredit) e prestiti obbligazionari (Intesa) che il mercato potrebbe assorbire con qualche difficoltà. Non solo, ma la politica non sta dando una mano agli istituti di credito schiacciati dall’esplodere delle sofferenze bancarie. Secondo una stima del Boston Consulting Group, quest’anno le banche italiane dovranno rinunciare a 8 miliardi di euro di utili per effetto dei maggiori accantonamenti sui crediti a rischio. I crediti dubbi sono aumentati del 20%, ma il Fisco italiano non detassa le “sofferenze” e la lobby europea delle banche non riesce a farle levare dai bilanci consolidati. In più, la moratoria sui mutui concessa da Roma sposta la polvere sotto il tappeto delle banche solo di un anno. Poi, bisognerà ripulirli davvero i bilanci.
(Fra. Bon.)
INCUBO ZUNINO. Se il Tribunale ascolterà la richiesta della procura milanese, la Risanamento del costruttore Luigi Zunino sarà dichiarata fallita entro novembre. Risanamento ha immobili per circa tre miliardi - ammesso che siano vendibili - e debiti bancari per identica cifra. I pm ritengono le banche “amministratori di fatto” della società e vogliono farla fallire per meglio tutelare i creditori non bancari, che sono decine di fornitori e migliaia di obbligazionisti. Intesa rischia sul crack Zunino 650 milioni di crediti allegramente concessi; Banco Popolare è fuori di 300 milioni, Unicredit di 267, Popopolare Milano di 77 e la piccola Meliorbanca di un’altra quarantina. Nel disperato tentativo di evitare che si vada nel penale, le banche creditrici stanno mettendo sul piatto altri 800 milioni. Comunque finisca la vicenda giudiziaria, c’è una semplice e grande verità che nessuno dice apertamente: per sviluppare le aree di Santa Giulia e dell’ex Falck di Sesto San Giovanni servono altri miliardi. E come si fa a gettare altri soldi nel pozzo zuniano in tempi di “stretta creditizia” alle imprese? Sarebbe leggermente impopolare.
SUPERDEBITO TELECOM. Non è colpa di Franco Bernabè, ma della sistematica spoliazione messa in atto dalle gestioni passate, se la Telecom di oggi è schiacciata dai debiti e i suoi azionisti bancari tremano all’idea di dover rifinanziare a gennaio la bellezza di 2,7 miliardi di prestiti. In Telco, la cassaforte che custodisce il pacchetto di controllo della società, Generali, Intesa e Mediobanca sono alle prese con un mezzo incubo finanziario e un socio “liquido” ma ingombrante come gli spagnoli di Telefonica. Come non bastasse, ci si mette di mezzo la politica e un governo sempre più ostile e ostaggio del conflitto d’interessi berlusconiano. I Benetton, grandi concessionari autostradali di Stato e soci della famiglia Berlusconi in mille avventure finanziarie, stanno uscendo da Telco e non cacciano più un euro per Telecom. Il governo non vede di buon occhio Telefonica e preme perchè le banche italiane si facciano carico perfino della sua quota. Insomma, per le nostre “banche di sistema”, come direbbe Corrado Passera, si preannunciano nuovi sacrifici “patriottici”.
PULIZIE RINVIATE.
Nell’ansia di non farsi “commissariare” dal Tesoro, le principali banche italiane hanno respinto i “Tremonti bond” il 29 settembre scorso, con un atto di insubordinazione politica che ha mandato di traverso lo spumante al presidente del Consiglio proprio nel giorno del suo genetliaco. A parte il Banco Popolare, che aveva da coprire il buco dello scandalo Italease, e la Popolare di Milano, che da quando è guidata da Massimo Ponzellini è la banca più amata da Bossi e Tremonti, nessuno è passato dallo sportello di Stato. Ora però sono stati messi in cantiere aumenti di capitale (Unicredit) e prestiti obbligazionari (Intesa) che il mercato potrebbe assorbire con qualche difficoltà. Non solo, ma la politica non sta dando una mano agli istituti di credito schiacciati dall’esplodere delle sofferenze bancarie. Secondo una stima del Boston Consulting Group, quest’anno le banche italiane dovranno rinunciare a 8 miliardi di euro di utili per effetto dei maggiori accantonamenti sui crediti a rischio. I crediti dubbi sono aumentati del 20%, ma il Fisco italiano non detassa le “sofferenze” e la lobby europea delle banche non riesce a farle levare dai bilanci consolidati. In più, la moratoria sui mutui concessa da Roma sposta la polvere sotto il tappeto delle banche solo di un anno. Poi, bisognerà ripulirli davvero i bilanci.
(Fra. Bon.)
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