L’Italia propone a Belgrado un caso emblematico di un recupero “impossibile”, quello degli affreschi del Mantegna alla Cappella Ovetari a Padova. La mostra “Andrea Mantegna. Gli affreschi della Cappella Ovetari a Padova. Un tesoro ritrovato” sarà allestita dal 23 ottobre al 20 novembre nella capitale serba presso l’Istituto Italiano di Cultura per iniziativa dello stesso Istituto, della Soprintendenza ai Beni Storici ed Artistici del Veneto e della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. Quest’ultima ha finanziato il recupero degli affreschi del Mantegna e il restauro della Cappella Ovetari agli Eremitani e, con questa mostra, oltre a presentare uno degli interventi di restauro tra i più complessi, intende anche ringraziare la Serbia per il prestito, nel 2007, dei tesori archeologici del Museo Nazionale Serbo di Belgrado esposti al Museo Nazionale Archeologico di Adria nella grande mostra “Balkani. Antiche civiltà tra i Danubio e l’Adriatico”.
La celebre Cappella affrescata da Mantegna e, con lui, da Antonio Vivarini, Giovanni d’Alemagna, Bono da Ferrara, Ansuino da Forlì e Nicolò Pizolo, venne letteralmente disintegrata l’11 marzo 1944. Ciò che restava di un grande capolavoro della storia dell’arte erano decine migliaia di frammenti di varie proporzioni, quasi tutte minuscole. Con oltre 1.800 frammenti Cesare Brandi, già negli anni Quaranta, ricompose la scena raffigurante il Martirio di San Giacomo, mentre il resto venne stivato, in modo indifferenziato, in gradi cassoni, dove il tutto è rimasto sino al 2001. Quell’anno, grazie alla convenzione stipulata tra la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, la Curia Diocesana, la Soprintendenza competente sul territorio e l’università di Padova, prese avvio una straordinaria avventura: con l’aiuto di una strumentazione multimediale innovativa, realizzata da docenti e tecnici dell’università patavina con il sostegno economico della Fondazione, i minuscoli frammenti sono stati tolti dalle casse in cui avevano riposato per quasi mezzo secolo, sono stati classificati uno per uno (quelli di dimensioni superiori al centimetro quadrato sono risultati essere 80.735), poi scannerizzati e infine controllati tramite il computer che li ha confrontati tra loro, sulla base delle immagini fotografiche degli affreschi scomparsi. Ciò nel tentativo di ricomporre, per quanto possibile, il più gigantesco puzzle della storia dell’arte. All’occhio elettronico si è aggiunto quello degli esperti come Gian Luigi Colalucci, Carlo Giantomassi e Donatella Zari, che hanno applicato i minuscoli brani pittorici, identificati con certezza, nella loro ubicazione originaria, fissandoli su pannelli fotografici riproducenti in scala 1:1 gli affreschi perduti. Pur nella invitabile frammentarietà dell’esito, si è così compiuto un passo significativo nel tentativo di recuperare lo straordinario ciclo pittorico mantegnesco; recupero certamente incompleto, ma in parte ancora incrementabile in futuro. L’occasione è stata eccezionale, sotto gli aspetti tecnici e scientifici, e gli esiti ottenuti comunque insperati: oggi, altri brani pittorici molto importanti sono stati tolti all’oblio e finalmente ricollocati al loro posto.
A Belgrado, insieme con lo storico modello ligneo della chiesa danneggiata realizzato all’indomani dell’evento bellico, e con materiali iconografici e filmati, saranno esposti alcuni esempi di scene ricomposte con ciò che rimane dei frammenti originali. Raggiungeranno la sede espositiva i due grandi pannelli relativi alla scena del “Martirio di S. Giacomo”, questi ultimi ricomposti sotto la direzione di Cesare Brandi, allora direttore dell’Istituto Centrale del Restauro, negli anni immediatamente successivi al conflitto, ed altri due con la raffigurazione del “Padre Eterno benedicente”, oltre ad altri lacerti con raffigurazioni di Serafini e di elementi decorativi, quali libri, festoni e racemi: “voci” evocative di un capolavoro che la guerra aveva rese mute per sempre. Le opere a Belgrado racconteranno un brano di storia violenta per l’arte e per gli uomini, ma anche la storia di una fattiva collaborazione ai fini del recupero di un pezzo importante di patrimonio dell’umanità. “Questa mostra – affermano Giovanni Gentili e Anna Maria Spiazzi, curatori dell’esposizione belgradese - può ben essere considerata anche come uno dei possibili modelli necessari al recupero di opere d’arte bisognose di interventi del genere, sia in territorio serbo che altrove. Stante la collaborazione stipulata tra il ministero per i Beni e le attività culturali della Repubblica Italiana e il ministero della Cultura di Serbia inerente il personale tecnico e scientifico addetto alla manutenzione e al restauro del grande patrimonio storico-artistico locale, la mostra si pone in ipotesi anche come preziosa documentazione scientifica per gli addetti a tali mansioni”.
La celebre Cappella affrescata da Mantegna e, con lui, da Antonio Vivarini, Giovanni d’Alemagna, Bono da Ferrara, Ansuino da Forlì e Nicolò Pizolo, venne letteralmente disintegrata l’11 marzo 1944. Ciò che restava di un grande capolavoro della storia dell’arte erano decine migliaia di frammenti di varie proporzioni, quasi tutte minuscole. Con oltre 1.800 frammenti Cesare Brandi, già negli anni Quaranta, ricompose la scena raffigurante il Martirio di San Giacomo, mentre il resto venne stivato, in modo indifferenziato, in gradi cassoni, dove il tutto è rimasto sino al 2001. Quell’anno, grazie alla convenzione stipulata tra la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, la Curia Diocesana, la Soprintendenza competente sul territorio e l’università di Padova, prese avvio una straordinaria avventura: con l’aiuto di una strumentazione multimediale innovativa, realizzata da docenti e tecnici dell’università patavina con il sostegno economico della Fondazione, i minuscoli frammenti sono stati tolti dalle casse in cui avevano riposato per quasi mezzo secolo, sono stati classificati uno per uno (quelli di dimensioni superiori al centimetro quadrato sono risultati essere 80.735), poi scannerizzati e infine controllati tramite il computer che li ha confrontati tra loro, sulla base delle immagini fotografiche degli affreschi scomparsi. Ciò nel tentativo di ricomporre, per quanto possibile, il più gigantesco puzzle della storia dell’arte. All’occhio elettronico si è aggiunto quello degli esperti come Gian Luigi Colalucci, Carlo Giantomassi e Donatella Zari, che hanno applicato i minuscoli brani pittorici, identificati con certezza, nella loro ubicazione originaria, fissandoli su pannelli fotografici riproducenti in scala 1:1 gli affreschi perduti. Pur nella invitabile frammentarietà dell’esito, si è così compiuto un passo significativo nel tentativo di recuperare lo straordinario ciclo pittorico mantegnesco; recupero certamente incompleto, ma in parte ancora incrementabile in futuro. L’occasione è stata eccezionale, sotto gli aspetti tecnici e scientifici, e gli esiti ottenuti comunque insperati: oggi, altri brani pittorici molto importanti sono stati tolti all’oblio e finalmente ricollocati al loro posto.
A Belgrado, insieme con lo storico modello ligneo della chiesa danneggiata realizzato all’indomani dell’evento bellico, e con materiali iconografici e filmati, saranno esposti alcuni esempi di scene ricomposte con ciò che rimane dei frammenti originali. Raggiungeranno la sede espositiva i due grandi pannelli relativi alla scena del “Martirio di S. Giacomo”, questi ultimi ricomposti sotto la direzione di Cesare Brandi, allora direttore dell’Istituto Centrale del Restauro, negli anni immediatamente successivi al conflitto, ed altri due con la raffigurazione del “Padre Eterno benedicente”, oltre ad altri lacerti con raffigurazioni di Serafini e di elementi decorativi, quali libri, festoni e racemi: “voci” evocative di un capolavoro che la guerra aveva rese mute per sempre. Le opere a Belgrado racconteranno un brano di storia violenta per l’arte e per gli uomini, ma anche la storia di una fattiva collaborazione ai fini del recupero di un pezzo importante di patrimonio dell’umanità. “Questa mostra – affermano Giovanni Gentili e Anna Maria Spiazzi, curatori dell’esposizione belgradese - può ben essere considerata anche come uno dei possibili modelli necessari al recupero di opere d’arte bisognose di interventi del genere, sia in territorio serbo che altrove. Stante la collaborazione stipulata tra il ministero per i Beni e le attività culturali della Repubblica Italiana e il ministero della Cultura di Serbia inerente il personale tecnico e scientifico addetto alla manutenzione e al restauro del grande patrimonio storico-artistico locale, la mostra si pone in ipotesi anche come preziosa documentazione scientifica per gli addetti a tali mansioni”.
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