martedì 27 ottobre 2009

CARTOLINE DALL'ITALIA


dal blog Vita liquida di Colas

E’ morto a sei anni intossicato dal fumo di un piccolo braciere che la madre aveva acceso per vincere il freddo. Da due settimane l’Enel aveva tagliato i fili della corrente elettrica perché la bolletta non era stata pagata. E’ stato trovato due giorni dopo il decesso, steso accanto alla madre agonizzante, anche lei intossicata dall’ossido di carbonio. E’ accaduto il 17 ottobre a Napoli, quartiere Sanità! Si chiamava Elvis…

Sotto cinquecento metri di acqua, lunga da 110 a 120 metri e larga una ventina, con un grosso squarcio a prua dal quale fuoriesce un fusto. Si trova venti miglia al largo di Cetraro (Cosenza). I fusti sarebbero 120, tutti pieni di rifiuti tossici. E la nave è una delle tante fatte sparire nei nostri mari con il loro carico mortale. Dal dialogo tra due boss della ‘ndrangheta agli atti dell’inchiesta: "Basta essere furbi, aspettare delle giornate di mare giusto, e chi vuoi che se ne accorga?". "E il mare? Che ne sarà del mare della zona se l'ammorbiamo?". "Ma sai quanto ce ne fottiamo del mare? Pensa ai soldi che con quelli, il mare andiamo a trovarcelo da un'altra parte...".

Di notizie come queste negli ultimi 10 anni ce ne sono state tantissime, alcune più efferate e drammatiche, altre meno. Tutte indegne di un Paese civile! Assorbite e dimenticate, cancellate con un colpo di spugna dalla memoria collettiva del Paese. Questa è l’Italia di oggi. L’Italia che dimentica, l’Italia senza memoria.

La perdita del senso della Storia e la dispersione dell’attenzione nei rivoli delle storie individuali, sembra essere la caratteristica prevalente della nostra epoca. La commozione soggettiva si accende all’improvviso per il clamore mediatico di un evento (spesso drammatico), ma dura solo il tempo necessario a metabolizzarlo. Poi cala di nuovo. L’evaporazione delle emozioni sembra essere la conseguenza di una sensibilità individuale divenuta esile, di una incapacità di condividere con gli altri la consapevolezza del tempo vissuto.

La potenza delle idee – l’ideologia avremmo detto nel scorso secolo – capace di trasfigurare gli uomini in eroi che si preoccupano del bene comune, o in organismi collettivi consapevoli del destino comune, sembra svanita nel nulla.

La Storia, svuotata di significati immanenti, si mostra come una mera successione di eventi. Rinunciamo ad alzare lo sguardo oltre il giardino ben curato che avvolge la nostra vita, oppure, se proprio siamo costretti, ci limitiamo ad una fuggevole visione. Giusto il tempo di percepirne il bagliore, poi torniamo a volgerci verso lo scorrere quotidiano del piccolo mondo che ci appartiene.

La mancanza di pensiero forte attorno al perseguimento del “bene comune”, ha cessato di alimentare la politica, frantumandone e disperdendone i luoghi di elaborazione, restituendo alla nostra coscienza la percezione di un’assenza, piuttosto che di una presenza, di una distanza, piuttosto che di una comunanza. La politica viene percepita come uno specchio irrimediabilmente rotto perché riflette l’immagine di una società civile disintegrata.

Sul finire del Secolo breve si sono liquefatti in Italia i partiti storici. I partiti governativi, non più necessari per contrastare lo spettro comunista, sono stati abbandonati al loro destino dagli alleati atlantici e, al contempo, il partito che aveva organizzato gli spettri si è ritrovato, superato dagli eventi, con una struttura appesantita ed inadeguata per cogliere le trasformazioni della società civile italiana.

La complessità strutturale della forma partito tradizionale è stata sostituita da aggregazioni altamente instabili e da aree di opinione in perenne movimento rispetto ai nuovi gruppi politici. Tra le ceneri dei partiti storici è andato perduto, insieme alla vacuità delle ideologie, quel senso di appartenenza ad un progetto complessivo, manifestatosi nella forma della “militanza” diffusa, ma soprattutto è andata perduta la volontà di perseguire un progetto condiviso. Hanno prevalso l’interesse particolare e la convenienza corporativa.

Gli italiani non amano la politica perché la politica italiana non si può amare. I suoi riti stanchi, distanti dai bisogni della gente, incapaci di cogliere gli umori del Paese, sono il sintomo di una pratica fondata sulla difesa ad oltranza degli interessi di parte. Senza la prospettiva del bene comune la politica si svuota di significati, perde capacità di attrazione ed efficacia. Diviene un luogo distante, inaccessibile ed incomprensibile.

La politica corrompe ovunque, su questo non c’è dubbio! Produce nel tempo un effetto corrosivo capace di attecchire con facilità nel tessuto connettivo di un paese. Genera relazioni non trasparenti, clientele e dipendenze. Tuttavia l’Italia presenta un’ulteriore anomalia.

La singolarità storica di un paese senza identità torna a mostrare il suo volto peggiore ogni qual volta la politica manca l’obiettivo di coinvolgere, di aggregare, di offrire progettualità condivisa e condivisibile.

Eventi catastrofici, accaduti recentemente, hanno fatto emergere la precarietà strutturale del sud dell’Italia. Ma a leggere quel che se ne scrive e ad ascoltare quel che se ne dice, quei problemi sembrano essere sorti improvvisi e quasi senza una causa. In realtà la questione meridionale data dal 1870. Solo la mancanza del senso della Storia fa apparire questioni irrisolte come problemi nuovi. È mancata in Italia la capacità collettiva di elaborare accadimenti cruciali. Non sono state elaborate le cause vere del fascismo, rinunciando a comprendere quali fantasmi vagassero nei sogni agitati della borghesia. Non sono state elaborate le ragioni della partecipazione dell’Italia al secondo conflitto mondiale, lasciando l’impressione di una farsa piuttosto che di una tragedia. Non è stata elaborata la sconfitta e la guerra civile, lasciando l’illusione che i vinti fossero solo una minoranza nostalgica e che il Paese si fosse liberato, con un’amnistia, degli odi, dei rancori e delle divisioni. Non è stata elaborata l’età del boom economico, che ha svuotato le culture, le identità e le tradizioni di un popolo, offrendo in cambio di un effimero benessere, odi regionalistici, mostruosi egoismi, incertezze e paure. Non è stata elaborata l’epoca delle stragi e degli anni di piombo, abbandonando alla solitudine ed al rancore le famiglie delle vittime e perdendo ogni contatto con il frammento consistente di un’intera generazione. Non è stata elaborata la fine della guerra fredda e il crollo del muro, la disintegrazione dei partiti storici e la nascita di nuovi soggetti politici.

L’impressione è quella di trovarci perennemente nel mezzo di un guado senza alcuna percezione dei territori che abbiamo attraversato per giungere fin là e senza nessuna consapevolezza delle terre oltre quel passaggio. Piuttosto che un popolo siamo un’orda in cammino, senza passato e senza futuro. Capaci di percepire soltanto il presente, continuiamo ad accontentarci di promesse ed illusioni.

Questa è l’Italia.

La mancanza di consapevolezza e la rinuncia a comprendere ha fatto sì che, anche nei momenti di grande ed intensa partecipazione collettiva agli eventi, la barbarie abbia prevalso sul confronto e la sopraffazione dell’avversario abbia rappresentato l’unico fine della politica. Abbiamo attraversato i confini del millennio smemorati e svuotati nella coscienza, sospinti solo dall’insana ansia di cogliere gli attimi senza assaporarli. Ogni volta che gli slanci ideali sono venuti meno, ogni volta che l’attrazione esercitata da qualche progetto aggregante si è esaurita, la tensione verso il particolare è riemersa.

Sono rimaste solo le paure a mobilitare ancora la gente, a ridestare qualche barlume di coscienza. E la politica si è rifondata sulla capacità di rispondere – sia pure con menzogne ed illusioni – alla paura. Paura degli immigrati, dei diversi, del crimine, dell’empia depravazione sessuale, delle molestie, della violazione della privacy, dell’eccesso di Stato con il suo fardello di tasse pesanti. E ancora paura delle catastrofi ecologiche, delle crisi energetiche, degli imponderabili eventi sismici, delle tragiche catastrofi naturali.

La politica ha fallito perché noi abbiamo fallito e solo da questa consapevolezza si può ripartire.




5 commenti:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Confesso che sono rimasto colpito dall'articolo che questo giornalista di 54 anni, che si cela dietro lo pseudonimo di "Colas", ha pubblicato sul suo blog "Vita liquida" e mi ha autorizzato a pubblicare sul mio, come ho fatto.
A mio avviso è una analisi accorata, struggente e spietata del modo di non essere popolo noi italiani, del modo abnorme di fare noi politica nel tempo di mezzo, fra una fase, un avvenimento, un fattore aggregante e l'altro.
Vi è nella sua analisi un inesorabile conseguenzialità che rende inattaccabili le argomentazioni che usa, la valutazioni che fa, che partono da due fatti di cronaca molto gravi e diversissimi fra di loro.
Il primo di miseria senza pietà e senza scampo che si affaccia alla porta di un degrado impressionante, accompagnata dalla morte. Inutile recriminare che l'ENEL non aveva il potere di tagliare l'erogazione di energia elettrica per morosità e l'ha fatto perchè quella madre, per giunta straniera, era priva di qualsiasi tutela sociale, l'ENEL l'ha fatto e nessuno pagherà (omicidio colposo) per quel bambino (un bambino, pensate!) inerme come inerme era quella povera madre, di fronte alla spietatezza del sistema.
L'altro è agghiacciante, la nave, le navi dei veleni dolosamente inabissate nei nostri mari e non solo, piene di scorie nocive e anche nucleari, sintomo di un imbarbarimento della società italiana che una volta fu la culla del diritto.
Non so, per ora, chi è Colas, però posso agevolmente dedurre che fa bene a usare un pseudonimo, che gli consente di scrivere articoli come questo, invisi certamente ad uno schieramento politico e molto probabilmente anche all'altro.
La chiusura dell'articolo lascia trasparire un barlume di speranza.
Speriamo sia vero, anche se si intravvede appena una lucina in fondo al tunnel.
Grazie Colas.

Igor Patruno ha detto...

Ti ringrazio Luigi per aver rilanciato sul tuo blog (molto ben fatto e molto seguito)il mio articolo e ti ringrazio anche per quello che hai scritto a commento... sei riuscito a cogliere esattamente quello che volevo far passare... a presto

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

IL MERITO E' TUTTO TUO.

Francy274 ha detto...

Si, davvero un bell'articolo, hai fatto bene a pubblicarlo sul Tuo blog altrimenti non l'avrei mai letto.
E'vero,non siamo mai stati un popolo noi italiani, dal momento stesso che l'Italia fu fatta iniziarono le bugie di chi questa unione l'aveva voluta per tutt'altri scopi da quelli ideologici. E' da allora che la distanza fra i nordisti e i sudisti è stata sempre ben mascherata da parole coniate ad arte, che nella mente di ogni cittadino hanno evidenziato la differenza di un popolo che mai doveva essere tale.
La paura del diverso gli italiani se la trascinano d'allora, non è un fatto nuovo, così come tutte le altre paure.
Forse l'apertura verso le altre Nazioni lentamente ci sta portando a capire l'origine dei nostri fallimenti, forse Colas ha ragione, perchè da qui si può ripartire.
Solo diventando un popolo la morte di una madre e di un bambino a Napoli, o i rifiuti tossici affondati nel mare della Calabria, e tante altre vergogne ancora, smuoveranno tutte le coscienze fino ad urlare insieme lo sdegno perchè sono danni causati verso l'intera società.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

il commento che segue e' di Roberto Ormanni:
"Hai ragione è un'analisi lucida e senza ipocrisie. Sai bene quante volte ho sostenuto che un popolo senza memoria è un popolo senza storia. E, dunque, senza futuro. E' vero, viviamo sempre e ripetutamente il presente. E, dunque, inutilmente. Finiamo per credere, o per credere di credere - se mi perdoni il gioco di parole - a tutto ciò che si dice finendo per sostituire ciò che viene raccontato con ciò che è accaduto, ma che non conosciamo in realtà. La potenza delle idee di un tempo è stata prima sostituita dalla filosofia del pensiero debole e infine da quella del pensiero assente. E allora, tanto per fare un esempio, nessuno che abbia replicato a Berlusconi quando in pubblico e a gran voce ha detto di essere sempre stato assolto e qualche volta "prescritto" affermando che ciò "equivale all'assoluzione". Come forse pochi sanno, è vero esattamente il contrario e per dimostrarlo basterebbe ricordare che spesso la dichiarazione di prescrizione è preceduta dalla concessione delle attenuanti: come si potrebbe riconoscere le attenuanti a un innocente? Le attenuanti si riferiscono necessariamente a un reato commesso. Il punto è che, a mio parere, molti si limitano ad ascoltare ma quasi nessuno si sforza di leggere. A questo proposito trovo che mai come in questo momento sia tornato di grande attualità un romanzo scritto nel 1955: Fahrenheit 451.
un caro saluto
roberto"