"Vuol sapere se ho sbagliato? Vuole che lo ripeta, tre, quattro, cento volte? Sì, ho sbagliato. In questa storia ne esco a pezzi, maciullato, messo alla gogna, per colpa di chi si è infilato nella mia vita privata in una mattina di luglio. Un incubo, lo ricordo come un incubo. Sono entrati in quella stanza, hanno detto di essere delle forze dell'ordine, hanno rovistato nel mio portafoglio, hanno preso dei soldi. Per evitare il peggio ho staccato tre assegni. Tutto si è svolto in pochi minuti, nessuno di loro ha mostrato tesserini né dei carabinieri né della polizia, quelle facce, quei movimenti rapidi, quel terrore, quel senso di angoscia...".
La voce di Piero Marrazzo trema, da pochi minuti si è autosospeso dalla carica di presidente delle Regione Lazio. I suoi occhi sono lucidi ma ancora controllati. La luce del tardo pomeriggio entra spietatamente nella stanza di villa Piccolomini, sede di rappresentanza della Regione, disadorna, con tre bandiere e una piccola foto di Napolitano. Da uno stereo esce musica di Morricone sparata a palla. Marrazzo è in maglione di cachemire rosso, camicia a quadri azzurri e jeans. A sorvegliare che nessuna risposta sia fuori luogo e scalfisca i confini del segreto istruttorio, l'avvocato Luca Petrucci e tre uomini dello staff Marrazzo.
Perché non ha denunciato subito il caso alla magistratura?
"Paura e vergogna. Da quel luglio è calato il silenzio, io ho bloccato gli assegni ma nessuno ha provato ad incassarli. Ho detto: è andata. Ma avevo ancora paura, una paura fottuta. Temevo che una violenta incursione nella mia sfera privata potesse rovinare tutto. Così ho taciuto fino al 21 ottobre, quando sono stato convocato dal giudice. Ho taciuto e ho sbagliato, ho commesso un tremendo errore, dovevo denunciare tutto. Ma mi sono vergognato, si può dire che un presidente della Regione ha provato vergogna? Sì, me lo lasci dire. Forse dovevo parlarne con la mia famiglia, con i giudici, con gli inquirenti, raccontare tutto. Nella concitazione di quel giorno di luglio ai due uomini che mi si paravano davanti ho dato anche un numero di telefono, non il mio diretto, non il mio telefonino, ma un numero d'ufficio e lì, alcune settimane fa, è arrivata una strana telefonata... ".
Che telefonata?
Marrazzo accenna a spiegare, ma viene bloccato da Petrucci e dal suo staff: "C'è un'inchiesta in corso. Si viola il segreto istruttorio, tutto quello che c'era da dire è contenuto nella testimonianza resa ai magistrati il 21 ottobre". Vorremmo chiedere al governatore dei soldi spesi negli incontri hard, di una prestazione che sarebbe stata pagata addirittura 3000 euro, della cocaina strisciata sul tavolo, delle tante testimonianze di trans che raccontano di una abitudine sessuale che ha aperto al presidente della Regione Lazio la strada di un baratro politico fulminante, del secondo video, delle tre telefonate che avrebbe fatto l'altro ieri al viado Natalì. Nulla. L'avvocato lo blocca. E' una delle condizioni poste per l'intervista: non si parla dell'inchiesta.
Solo su un punto Marrazzo e Petrucci, sono categorici: "L'altro ieri non c'è stata alcuna telefonata. È falso. Comunque abbiamo raccontato tutto ai giudici e i quattro carabinieri sono accusati di concussione, non di estorsione". Differenza sostanziale che permette a Marrazzo di aggiungere: "Io non ho mai ricevuto pressioni dopo quella mattina di luglio, non sono stato ricattato, niente nei miei comportamenti politici ha risentito di forme esterne di condizionamento. Lo posso giurare davanti a tutti, davanti ai miei figli, a mia moglie... ".
Ecco, sua moglie, giorni difficilissimi.
"Vuol sapere la verità? A me dell'incarico di presidente delle Regione ormai non me ne frega nulla, ma del rapporto con mia moglie sì. Le ho chiesto perdono, ho sbagliato, forse lei ha capito. Io sono cattolico e arrivo ad ammettere che ho peccato, ma un monsignore molto importante diceva: "In chiesa si può entrare anche attraverso un peccato". E io ho sbagliato. Ma sa quando ho toccato il fondo? Quando ho visto gli occhi di mia figlia di otto anni sconvolti l'altra sera mentre guardava alla tv un servizio sul caso Marrazzo. E quando si è messa ad urlare chiedendo della madre...".
Il presidente si ferma, gli si increspa la voce, non riesce a deglutire, porta le mani agli occhi, piange, cambia stanza.
Poi ritorna e intima: "Questo non lo scriva. Mi hanno ammazzato, ma non sono morto. Da vittima sono stato trasformato in carnefice. In questi anni è stato piazzato troppo tritolo sotto la mia sedia, mi hanno voluto annientare dal primo momento, ma non mi arrendo. Stamattina quando ci siamo sentiti per l'intervista io stavo andando al cimitero di Prima Porta a pregare sulla tomba di mio padre, il grande Joe Marrazzo... ".
Le lacrime lo interrompono di nuovo. "Sono giorni che non riesco a sfogarmi". Si ferma. Batte l'indice rumorosamente sul tavolo di legno. Prende fiato.
Ma perché in questi due giorni ha dato una versione che non ha retto, parlando di video-bufala, di complotto?
"Perché c'era stato un impegno tra uomini delle istituzioni a rispettare il segreto istruttorio. Io l'ho fatto, altri hanno violato il patto d'onore. Adesso io mi sono autosospeso da presidente della Regione e dal Pd: lo dovevo ai miei elettori, ai cittadini del Lazio, per una forma di estrema coerenza. Vede, il mio caso è diverso da quello di Berlusconi. Non credo che siano storie parallele. Anche perché hanno due epiloghi completamente differenti. Il senso delle dieci domande di Repubblica al presidente del Consiglio è, credo, questo: o racconta la verità o si dimetta. Io ho raccontato la verità ai giudici e poi mi sono dimesso. Come vede, due storie diverse".
Poi Marrazzo esce dalla stanza, torna con "La strada", il libro di Cormac McCarthy. "C'è un padre che in punto di morte parla al figlioletto che gli sussurra: "Ce la caveremo papà". E il padre gli risponde: "Sì, ce la caveremo". Ecco, io alla mia famiglia voglio dire: ce la caveremo, nonostante il mio errore, ce la caveremo".
(25 ottobre 2009)
2 commenti:
UN PO' MI FA ANCHE PENA. SCHIAVO DI UNA DIPENDENZA SESSUALE.
UN ALTRO CHE NON SI E' FATTO CURARE.
Urge uno squadrone di psichiatri per i nostri politici, ma possibilmente non italiano!
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