giovedì 8 ottobre 2009

Il Lodo Mondadori e quella verità mai ascoltata in tv


Nella primavera 2006 la rete televisiva franco-tedesca Arte ha mandato in onda il film documentario “Berlusconi, l'affaire Mondadori”, prodotto in Francia e realizzato dal regista Mosco Boucault con Gianni Barbacetto. Nel film, dedicato alla conquista della Mondadori da parte di Silvio Berlusconi e mai visto in Italia, il giudice Paolo Carfì, presidente del collegio del tribunale che nell’aprile 2003 aveva condannato in primo grado Cesare Previti e i suoi coimputati nel processo Imi-Sir/Lodo Mondadori, per la prima volta accetta di spiegare lo svolgimento di quel processo. Quella vicenda è nei giorni scorsi arrivata al suo esito finale dal punto di vista civile, con la sentenza che ordina ora alla Fininvest di pagare 750 milioni di euro alla Cir di De Benedetti, a cui è stata sottratta la Mondadori attraverso una sentenza comprata e venduta. Il giudice Carfì ebbe a subire, durante il processo, una serie infinita di ricusazioni, rimessioni, attacchi, a cui non ha mai risposto. Pubblichiamo qui, tratto dal film andato in onda in Francia e in Germania, una parte del suo racconto dello svolgimento processuale che nessuno in Italia ha potuto finora ascoltare.

di Paolo Carfi

Il Tribunale da me presieduto ha calcolato che se la segretaria di Metta avesse dattiloscritto la sentenza che il giudice aveva scritto a mano, avrebbe avuto bisogno di non meno di cinque giorni, lavorando a tempo pieno. Aveva infatti dichiarato di essere in grado di dattiloscrivere 20, 25 pagine al giorno. Calendario alla mano, deve avere cominciato a scriverla il 18 gennaio. Quindi il giudice Metta avrebbe avuto a disposizione per scrivere 120 pagine su una vicenda estremamente complessa, solamente i giorni 15, 16 e 17 gennaio. E al Tribunale è parso praticamente impossibile, anche in considerazione del fatto che i tempi medi del giudice Metta per depositare qualsiasi tipo di sentenza erano dai 60 ai 90 giorni. Dunque la sentenza era stata scritta prima della Camera di consiglio del 14 gennaio del 1991. E questo era un grave indizio circa la preferenza accordata a una delle parti del processo.

Il giudice Metta e i soldi

È risultato, dall’esame dei conti correnti del giudice Metta, che nell’arco di un anno e mezzo, dal 1990 fino alla metà del ’91, sui suoi conti correnti erano stati depositati, in contanti e in varie rate con cadenza più o meno mensile, oltre 600 milioni di lire, con versamenti che vanno dai 10-15 milioni di lire ai 60 milioni di lire per volta. Nell’aprile 1992, il giudice Metta firmò un compromesso per l’acquisto di un appartamento in Roma da 900 milioni, cioè 450 mila euro attuali. Di questi 900 milioni, 150 furono pagati con soldi prelevati dal giudice dal suo conto corrente, 350 milioni erano un mutuo stipulato dal giudice con la banca, gli altri 400 milioni furono dal giudice consegnati in contanti in una valigetta.

Per sette volte gli imputati hanno chiesto la ricusazione (prevista dal nostro qualora ritenga che nel corso del processo il giudice abbia compiuto atti contro di lui, oppure che non abbia dimostrato imparzialità). Per sette volte la Corte d’appello ha respinto la richiesta. Per sette volte gli imputati hanno fatto ricorso in Cassazione. Per sette volte la Cassazione ha respinto definitivamente la richiesta. Ma questo ha comportato in alcuni momenti la paralisi del processo.

Inoltre nel corso del processo sono state varate anche numerose leggi che non solo avevano delle conseguenze dirette sul processo in corso, ma che hanno comportato anche il blocco del processo stesso, in alcuni casi anche per diversi mesi. La legge sulle rogatorie internazionali fu appunto approvata dal Parlamento nell’ottobre del 2001 e prevedeva che tutti i documenti arrivati dall’estero e trasmessi dall’autorità straniera (migliaia di pagine) fossero timbrati foglio per foglio dall’autorità giudiziaria straniera. Fino ad allora invece era stata sufficiente una semplice lettera di trasmissione con cui l’autorità giudiziaria straniera confermava l’autenticità degli atti. Il problema era estremamente rilevante nel processo Imi-Sir/Lodo Mondadori perché , guarda caso, le prove principali a carico degli imputati erano rappresentate da documenti bancari provenienti dall’estero, Svizzera, Lussemburgo, Liechtenstein, Montecarlo... In base alla nuova legge, noi avremmo dovuto, immagino, affittare camion su camion per rimandare tutti questi documenti all’estero per far timbrare tutto. Conseguentemente il processo sarebbe rimasto paralizzato per mesi.

I conti all’estero

Pochi giorni dopo la pubblicazione della sentenza Mondadori di Metta, avvenuta il 24 gennaio 1991, si erano realizzate delle movimentazioni finanziarie estero su estero che, come dire, avevano colpito la pubblica accusa. Mi riferisco in particolare al fatto che in data 13 febbraio 1991 dal conto All Iberian, riconducibile alla Fininvest, parte la somma di 272.732.868 dollari americani (3 miliardi di lire italiane) e va sul conto Ferrido, altro conto riconducibile alla Fininvest. Il giorno successivo, 14 febbraio 1991, questa somma di danaro viene accreditata sul conto Mercier, acceso presso la Darier Hentsch di Ginevra da Cesare Previti. Pochi giorni dopo, intorno al 25 febbraio 1991, la metà di questa somma, pari a 1 miliardo e mezzo di lire italiane, viene dal conto di Previti accreditata sul conto Careliza di Acampora, altro conto acceso all’estero. Da lì, nell’ottobre 1991, una somma pari a 425 milioni viene dal conto di Acampora ritrasmessa al conto di Previti che, ricevuta questa somma di danaro, lo stesso giorno lo trasmette a favore del conto Pavoncella, intestato ad Attilio Pacifico, presso una banca di Chiasso. Appena pervenuta questa somma, Pacifico la preleva in contanti, e siamo al 16 ottobre 1991. Poi di questa somma non vi è più traccia documentale.

La legge è uguale per tutti

In conclusione, il Tribunale ha ritenuto che il quadro indiziario a carico degli imputati con riferimento al caso Lodo Mondadori fosse di particolare gravità. Il tribunale ha messo insieme tutti questi indizi: la stesura della sentenza in tempi rapidissimi e assolutamente incompatibili sia con la logica sia con le abitudini del giudice Metta; il fatto che si può ritenere che la sentenza sia stata scritta prima del 14 gennaio 1991 e fuori dai circuiti del tribunale; il fatto che neanche venti giorni dopo la pubblicazione della sentenza arrivano sul conto di Previti 3 miliardi di lire con l’itinerario che è stato descritto; il fatto che al giudice Metta compaiono improvvisamente in mano 400 milioni, utilizzati per l’acquisto della casa... Insomma, tutto questo ha fatto ritenere al Tribunale provata la responsabilità degli imputati non solo per il caso Imi-Sir, ma anche per il caso Lodo Mondadori.

Devo dire che ci sono stati dei momenti in cui ho pensato veramente che l’unica cosa importante fosse non tanto la decisione che eravamo chiamati a prendere – e cioè decidere se erano colpevoli o innocenti – quanto arrivare comunque a concludere questo processo. Riuscire a portarlo malgrado tutto a conclusione, perché solamente in questo modo quella frase che campeggia alle spalle di ogni giudice nelle aule giudiziarieitaliane,“La legge è uguale per tutti”, ha un senso. E credo che quella frase sia l’unica cosa che dia un senso al lavoro di un magistrato.

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