Su una cosa si sono decisamente trovati d’accordo: non è stato l’incontro della pace, quello decisivo in cui con una stretta di mano si chiudono le polemiche del passato e d’amore e d’accordo si apre una nuova fase. E non lo è stato, il faccia a faccia tra Giulio Tremonti e Silvio Berlusconi di oltre due ore che ha preceduto un incontro a quattro tra il premier, il ministro e i colleghi leghisti Bossi e Calderoli, perché ad oggi le posizioni dei due divergono su più punti. E se saranno divergenze conciliabili, lo dirà solo il tempo, anche se per il momento sono escluse clamorose dimissioni del ministro. Anche perché — come lui stesso ama ripetere — le dimissioni «non si annunciano, si danno». Il fatto è che Tremonti, nel suo incontro con Berlusconi, si è presentato con una linea molto chiara e altrettanto indigesta a Berlusconi. Perché ha detto chiaro e tondo che la sua politica economica fatta di rigore «non ha alternative», e non si cambia. E perché, a quanto raccontano nel Pdl, ma lui smentisce categoricamente di aver chiesto alcunché, si sarebbe parlato di una sua nomina a vice premier con delega all’Economia.
Un’ipotesi che cambierebbe completamente la struttura e l’equilibrio del governo sulla quale Berlusconi starebbe comunque sondando partito e alleati. In ogni caso il ministro è stato tetragono nella difesa del proprio operato e per niente disponibile ad aprirsi ai «suggerimenti» che arrivano — gli ha fatto presente il premier — da molti ministri, ma anche da gruppi di parlamentari, dal Pdl intero, e «qualche risposta dobbiamo darla, Giulio, non si può solo dire no, così non si può andare avanti, bisogna confrontarsi, serve collegialità». Ma Tremonti continua a non voler deflettere dalla sua linea di rigore perché, ha ribadito a muso duro al premier, l’Italia ha il primo debito pubblico in Europa e il terzo al mondo, la crisi è sì in via di contenimento e l’economia va meglio, ma il peso si è scaricato tutto sui bilanci pubblici, che hanno fatto da cassa di compensazione ma che ora sono in concorrenza tra loro.
Per questo, ha insistito il ministro, non ha senso che certi «dottor Stranamore » come l’ex ministro di An Mario Baldassarri, in compagnia del «partito della spesa», compilino piani alternativi alla Finanziaria che prevedono sgravi fiscali, e questo con il beneplacito di Fini arrivato di fatto nell’intervista al Corriere della Sera : per Tremonti le tasse non si possono abbassare, e infatti — ha spiegato — non le abbassa nemmeno la Germania che i 5 miliardi di sgravi li compenserebbe con un aggravio della tassa di successione, o la Francia che sul taglio dall’ impôt professionnel avrebbe fatto marcia indietro. Insomma, pensare di diminuire l’Irap oggi non avrebbe senso per Tremonti, non solo perché l’intera spesa sanitaria viene finanziata con quel balzello alle imprese, ma perché è bastato evocare la possibilità di una riduzione dell’imposta per ricevere, ha rivelato al premier, una lettera con richiesta di chiarimenti dall’agenzia di rating Fitch. E quanto contino le valutazioni internazionali Tremonti lo ha ricordato a Berlusconi facendogli notare che la prossima settimana c’è un’asta da 46 miliardi di Btp, e se lo spread sui nostri titoli aumenterà, l’indebitamento salirà e di parecchio. Dunque, stop a chi vuole spendere e spandere senza sapere che — si è sfogato il ministro — per una politica diversa l’Italia, che nella Ue è già stata messa in mora per sforamento del deficit, dovrebbe accordarsi con gli altri partner europei. La linea — è stata la sua conclusione — è obbligata. Per questo nessuno può permettersi di mettere ogni giorno in discussione in tivù o sui giornali l’operato del ministro che la porta avanti. E che chiede al suo premier una copertura visibile, se si crede in lui, se si conta su di lui.
Paola Di Caro
25 ottobre 2009
Un’ipotesi che cambierebbe completamente la struttura e l’equilibrio del governo sulla quale Berlusconi starebbe comunque sondando partito e alleati. In ogni caso il ministro è stato tetragono nella difesa del proprio operato e per niente disponibile ad aprirsi ai «suggerimenti» che arrivano — gli ha fatto presente il premier — da molti ministri, ma anche da gruppi di parlamentari, dal Pdl intero, e «qualche risposta dobbiamo darla, Giulio, non si può solo dire no, così non si può andare avanti, bisogna confrontarsi, serve collegialità». Ma Tremonti continua a non voler deflettere dalla sua linea di rigore perché, ha ribadito a muso duro al premier, l’Italia ha il primo debito pubblico in Europa e il terzo al mondo, la crisi è sì in via di contenimento e l’economia va meglio, ma il peso si è scaricato tutto sui bilanci pubblici, che hanno fatto da cassa di compensazione ma che ora sono in concorrenza tra loro.
Per questo, ha insistito il ministro, non ha senso che certi «dottor Stranamore » come l’ex ministro di An Mario Baldassarri, in compagnia del «partito della spesa», compilino piani alternativi alla Finanziaria che prevedono sgravi fiscali, e questo con il beneplacito di Fini arrivato di fatto nell’intervista al Corriere della Sera : per Tremonti le tasse non si possono abbassare, e infatti — ha spiegato — non le abbassa nemmeno la Germania che i 5 miliardi di sgravi li compenserebbe con un aggravio della tassa di successione, o la Francia che sul taglio dall’ impôt professionnel avrebbe fatto marcia indietro. Insomma, pensare di diminuire l’Irap oggi non avrebbe senso per Tremonti, non solo perché l’intera spesa sanitaria viene finanziata con quel balzello alle imprese, ma perché è bastato evocare la possibilità di una riduzione dell’imposta per ricevere, ha rivelato al premier, una lettera con richiesta di chiarimenti dall’agenzia di rating Fitch. E quanto contino le valutazioni internazionali Tremonti lo ha ricordato a Berlusconi facendogli notare che la prossima settimana c’è un’asta da 46 miliardi di Btp, e se lo spread sui nostri titoli aumenterà, l’indebitamento salirà e di parecchio. Dunque, stop a chi vuole spendere e spandere senza sapere che — si è sfogato il ministro — per una politica diversa l’Italia, che nella Ue è già stata messa in mora per sforamento del deficit, dovrebbe accordarsi con gli altri partner europei. La linea — è stata la sua conclusione — è obbligata. Per questo nessuno può permettersi di mettere ogni giorno in discussione in tivù o sui giornali l’operato del ministro che la porta avanti. E che chiede al suo premier una copertura visibile, se si crede in lui, se si conta su di lui.
Paola Di Caro
25 ottobre 2009
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