di Marco Lillo
Un paese normale. Nel quale magistrati e politici non litigano in tribunale ma si comportano lealmente come rappresentanti di un’entità più alta che li accomuna e si chiama Stato. Grazie al buon senso di Gianfranco Fini e di Henry John Woodcock, per un giorno sembra quasi che esista ancora in Italia un elite composta dai leader sotto indagine che non copiano il Marchese del grillo (“Io so’ io e voi non siete un c..”), dichiarando: “Solo miei pari possono giudicarmi”, ma accettano serenamente il processo come i cittadini comuni. Un paese normale nel quale i magistrati rispondono al bel gesto evitando protagonismi e liti nelle quali non vince nessuno e perde la collettività. Una giornata “normale” che però è stata possibile solo grazie al lavoro di un giornale “normale”: il nostro. L’ inchiesta de “IL Fatto Quotidiano” sul fascicolo che vede Fini imputato per diffamazione contro il pm Woodcock, dimenticato in una cancelleria romana, ha rimesso in moto il processo. Solo grazie alla nostra “inchiesta sull’inchiesta”, Fini ha potuto esercitare i suoi diritti di imputato e Woodcock quelli di parte offesa. Che poi quei diritti siano stati usati al meglio da entrambi, nell’interesse generale e non personale, in una gara di lealtà istituzionale, va solo a merito dei protagonisti di questa storia.
Tutto inizia quando “Il Fatto Quotidiano” si accorge di un’incoerenza tra le parole e i fatti. Nel maggio 2008 Fini aveva dichiarato: “Non mi avvarrò del Lodo Alfano e mi farò processare per la querela di Woodcock”. Il pm si era risentito per le parole offensive pronunciate nel 2006 a “Porta a Porta”, in occasione dell’indagine che coinvolgeva il suo portavoce e la ex moglie. Nonostante le belle parole del presidente, dopo un anno e 4 mesi, del processo non si vedeva l’ombra.
La grande stampa, in altri casi sollecita nel criticare i ritardi (vedi le dimissioni di De Magistris, prima invocate con indignati editoriali e poi ignorate) per sedici mesi ha dimenticato di verificare. Appena “Il Fatto Quotidiano” ha chiesto alla Camera e in Procura notizie sul fascicolo, la burocrazia si è rimessa in moto come una lepre. Occhio alle date: il 29 settembre esce il nostro primo articolo che denuncia l’inerzia dei giudici e l’incoerenza “involontaria” di Fini. Il giorno dopo, l’avvocato Giulia Bongiorno, su mandato di Fini, deposita la rinuncia al lodo Alfano. Ieri la notizia della rinuncia alla sospensione del processo viene pubblicata in esclusiva dal nostro giornale e rilanciata da tutti i siti citando la fonte (tranne “
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