domenica 4 ottobre 2009

Lodo per bene tra Fini e Woodcock


di Marco Lillo

Un paese normale. Nel quale magistrati e politici non litigano in tribunale ma si comportano lealmente come rappresentanti di un’entità più alta che li accomuna e si chiama Stato. Grazie al buon senso di Gianfranco Fini e di Henry John Woodcock, per un giorno sembra quasi che esista ancora in Italia un elite composta dai leader sotto indagine che non copiano il Marchese del grillo (“Io so’ io e voi non siete un c..”), dichiarando: “Solo miei pari possono giudicarmi”, ma accettano serenamente il processo come i cittadini comuni. Un paese normale nel quale i magistrati rispondono al bel gesto evitando protagonismi e liti nelle quali non vince nessuno e perde la collettività. Una giornata “normale” che però è stata possibile solo grazie al lavoro di un giornale “normale”: il nostro. L’ inchiesta de “IL Fatto Quotidiano” sul fascicolo che vede Fini imputato per diffamazione contro il pm Woodcock, dimenticato in una cancelleria romana, ha rimesso in moto il processo. Solo grazie alla nostra “inchiesta sull’inchiesta”, Fini ha potuto esercitare i suoi diritti di imputato e Woodcock quelli di parte offesa. Che poi quei diritti siano stati usati al meglio da entrambi, nell’interesse generale e non personale, in una gara di lealtà istituzionale, va solo a merito dei protagonisti di questa storia.

Tutto inizia quando “Il Fatto Quotidiano” si accorge di un’incoerenza tra le parole e i fatti. Nel maggio 2008 Fini aveva dichiarato: “Non mi avvarrò del Lodo Alfano e mi farò processare per la querela di Woodcock”. Il pm si era risentito per le parole offensive pronunciate nel 2006 a “Porta a Porta”, in occasione dell’indagine che coinvolgeva il suo portavoce e la ex moglie. Nonostante le belle parole del presidente, dopo un anno e 4 mesi, del processo non si vedeva l’ombra.

La grande stampa, in altri casi sollecita nel criticare i ritardi (vedi le dimissioni di De Magistris, prima invocate con indignati editoriali e poi ignorate) per sedici mesi ha dimenticato di verificare. Appena “Il Fatto Quotidiano” ha chiesto alla Camera e in Procura notizie sul fascicolo, la burocrazia si è rimessa in moto come una lepre. Occhio alle date: il 29 settembre esce il nostro primo articolo che denuncia l’inerzia dei giudici e l’incoerenza “involontaria” di Fini. Il giorno dopo, l’avvocato Giulia Bongiorno, su mandato di Fini, deposita la rinuncia al lodo Alfano. Ieri la notizia della rinuncia alla sospensione del processo viene pubblicata in esclusiva dal nostro giornale e rilanciata da tutti i siti citando la fonte (tranne “La Repubblica” che se ne dimentica). Ieri mattina Woodcock legge “Il Fatto Quotidiano” e capisce al volo cosa deve fare: chiama l’avvocato Bruno La Rosa e gli detta una dichiarazione per le agenzie: “Rimetto la querela contro il presidente Fini perché ha mostrato leale collaborazione tra istituzioni e, soprattutto, fiducia nell’azione della magistratura. La sua sensibilità istituzionale compensa le pur gravi offese arrecate. Da uomo di Stato”, chiude il pm, “ritengo doveroso rimettere querela nei confronti di chi ha dimostrato leale collaborazione tra istituzioni”. Tra una settimana la Corte Costituzionale dovrà decidere sul Lodo Alfano. La bella stretta di mano simbolica tra il leader della destra e il pm più temuto isola ancora di più Berlusconi e lascia ben sperare per la decisione. In fondo la morale di questa storia è che la “normalità” è contagiosa.

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