Per giorni, su il "Fatto Quotidiano", avevamo scritto che i media del Cavaliere si stavano preparando a dare una lezione a Raimondo Mesiano, il giudice "colpevole" di aver quantificato in 750 milioni di euro il danno subito dalla Cir di Carlo De Benedetti in seguito alla corruzione, da parte degli avvocati Fininvest, del giudice di Roma, Vittorio Metta, uno dei tre magistrati che, nel 1991, con una loro sentenza regalarono la Mondadori a Silvio Berlusconi.
Tra ieri e oggi la punizione è arrivata. "Il Giornale", in spregio a tutte le regole deontologiche, ha utilizzato una testimonianza anonima per tentare di dimostrare che Meisano era un pericoloso sostenitore di Romano Prodi. Canale 5, in una trasmissione della mattina cui sono soliti collaborare il direttore di "Chi", Alfonso Signorini, e i suoi cronisti, ha invece trasmesso delle immagini del magistrato riprese con telecamera nascosta. Per due giorni Meisiano è stato infatti costantemente pedinato.
Poco importa che lo scandalo annunciato dal premier-padrone Berlusconi ("su di lui ne vedremo delle belle" aveva detto) non sia esploso perché, evidentemente, su questo magistrato non vi era nulla da raccontare. Berlusconi, infatti, ha vinto lo stesso. Ha lanciato un messaggio preciso: d'ora in poi utilizzerò apertamente non solo i miei giornali, ma anche le mie televisioni, per tentare di distruggere chiunque intralcia il mio cammino. Insomma si colpisce Mesiano, per educarne altri cento.
Si tratta di un metodo tra il terroristico e il mafioso. I giornalisti che partecipano a questo gioco si chiamano complici e non sono semplici dipendenti del Cavaliere che piegano la schiena per salvare la carriera o il posto di lavoro. E complice è pure chi fa finta che tutto questo sia normale. Mentre "Il fatto" raccontava come si stesse preparando la trappola e ricordava le agghiaccianti minacce del capo del governo, quasi tutti tacevano. L'Associazione nazionale magistrati, come buona parte dell'opposizione, ha avuto bisogno di attendere che l'agguato fosse compiuto, prima d'intervenire. Il timore, come sempre, era quello di alzare i toni, d'infilarsi nella rissa. Ma, contro il terrorismo e la mafia ci vuole fermezza e coraggio. Se qualcuno ancora ce l'ha è venuto il tempo che lo dimostri.
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